di Marco Bresciani
Ancor prima che un repertorio di idee e affetti, il genere epistolare appare oggi come un reperto archeologico. In quanto strumento di comunicazione intellettuale ed emotiva, personale e politica, appartiene a un’epoca lunga, ma ormai lontana, e ne costituisce una via d’accesso privilegiata. Da questo punto di vista, il carteggio tra Furio Diaz e Antonio Giolitti è esemplare di una stagione che concepì tra politica e cultura un nesso indissolubile, anche se costellato di laceranti dilemmi e conflitti. Come spiegano Giovanni Scirocco e Giulio Talini nella loro accurata introduzione, questa ricchissima raccolta di lettere che Diaz e Giolitti si scambiarono tra il 1945 e il 1998 si presta a molteplici letture: quale materiale per la ricostruzione di due biografie; quale fonte per la storia della cultura e della storiografia; quale contributo all’analisi della storia dell’Italia repubblicana.
La mole dell’epistolario dipende tanto dall’intensità dell’amicizia giovanile tra Diaz e Giolitti, quanto dalla successiva sporadicità delle occasioni di frequentazione e collaborazione diretta. Nati rispettivamente nel 1916 e nel 1915, Furio e Antonio diventarono amici nell’estate del 1934 a Castiglioncello, condivisero memorabili esperienze come il viaggio nella Francia del Front populaire, coltivarono insieme le speranze della “liberazione” dal fascismo. Negli scambi successivi al 1945 emergono illuminanti frammenti retrospettivi di quelle “vite, sostanzialmente di studio e di preparazione, incentrate soprattutto in un obbiettivo che ci era assolutamente comune e che presupponeva la negazione di ciò che ci circondava” (Diaz, 2 giugno 1954).
Durante la guerra diventarono entrambi comunisti, poi socialisti con la crisi del 1956. Nel frattempo, i percorsi dello “storico puro” e dell’“animale assai politico” si erano biforcati, senza mai perdere la possibilità di incrociarsi. Diaz, sindaco comunista di Livorno dal 1944 al 1954, intraprese la carriera di studioso di valore internazionale, ma continuò a seguire con passione le vicende pubbliche italiane fino alla crisi del 1992-1993. Giolitti avviò una militanza politica che dopo la fuoriuscita dal Pci lo portò ai vertici del Psi, facendone un protagonista della stagione del centro-sinistra e della programmazione economica, prima della nomina a commissario europeo per le politiche regionali tra il 1977 e il 1985 e della candidatura da indipendente nelle file del Pci nel 1987.
Nel carteggio la voce di Giolitti è più asciutta e incisiva, oltre che più rarefatta, di quella di Diaz. Pur senza rinunciare alla “politica delle virtù”, egli era consapevole di quanto i partiti fossero “strumenti
alquanto rozzi ma per ora insostituibili di un’azione politica intesa in senso molto ristretto, pratico, contingente”. Di qui la consapevolezza dell’inutilità, ancor più dell’impossibilità, di “chiedere a un partito di essere anche un centro di elaborazione teorica, una fucina di grandi ideali, un produttore di culture” (Giolitti, 18 settembre 1961). Invece la ricerca di “un vero moto produttore d’idee e di cultura, di diffusione e verifica degli elementi interpretativi della realtà del nostro tempo” che fosse impostata “su altre basi, non rigorosamente inquadrate nell’ambito della routine di partiti”, costituiva il programma dello studioso dell’illuminismo europeo (Diaz, 22 settembre 1961).
Non stupisce quindi che il loro scambio epistolare fosse scandito da un senso di “aridità” o “inaridimento” del presente che si sarebbe acuito negli ultimi decenni. Se però si vuole misurare la distanza che ci separa dal loro mondo, più che di “ritiro dell’intellettuale nel privato” sarebbe meglio parlare della sua fine come esito della contrazione di uno spazio pubblico strutturato intorno ai partiti politici di massa. Proprio per questo possono suonare attuali le parole con cui Giolitti denunciava la “crisi di una civiltà di fronte alla quale sono venute meno tutte le alternative”: “Cerchiamo di salvare almeno alcuni valori (…). Ma come, con quale politica, con quale azione? La domanda resta senza risposta, e non solo per la sinistra italiana” (Giolitti, 28 giugno 1970).
FIGLI DI UN “SECOLO TORMENTATO”. Il carteggio tra Furio Diaz e Antonio Giolitti, 1945-1998, a cura di Giovanni Scirocco e Giulio Talini, Società editrice Dante Alighieri, Roma 2023, pp. 359, € 15,00
(Pubblicato in © «L’Indice dei libri del mese» – Giugno 2024, Anno XLI, Numero 6, pp. 32-33)