1. Nuova Rivista Storica (NRS), ha compiuto, con l’uscita del fascicolo del gennaio-marzo 2017, cento anni. È con Archivio Storico Italiano (1842) e Rivista Storica Italiana (1884), il più antico periodico d’impianto storico generalista di respiro compiutamente nazionale e internazionale presente nello scenario culturale del nostro Paese. NRS è una rivista che ha prodotto storia, accompagnato gli Italiani nella loro storia e che è stata oggetto di storia come testimonia la ricca produzione saggistica elencata nella Nota bibliografica alla fine di queste pagine. La sua nascita segnò una svolta fondamentale per gli studi storici italiani. Una svolta che prese forma nel primo decennio del Novecento, ma alla quale lo scoppio della Grande Guerra impresse una forte accelerazione, contribuendone a meglio precisare obiettivi e strategia.
La globale e rivoluzionaria trasformazione geostrategica, politica, sociale, provocata dal primo conflitto, fu determinante nel condizionare il programma, formulato dalla Direzione (Corrado Barbagallo, Guido Porzio, Ettore Rota), che si presentava orgogliosamente «diverso da quello comune alle altre riviste storiche» (Il nostro programma, fasc.1, gennaio-marzo 1917). In esso si auspicava di poter «esercitare una speciale azione nell’ambito della nostra cultura storiografica che nel pensiero dei suoi ideatori è parsa la più conforme ai bisogni dell’ora che volge». In altre parole, NRS intendeva dare «maggiore spazio alla vita e alla politica» agli stimoli provenienti dalla «storia anche attuale e attualissima e persino alla storia in divenire» da cui l’analisi del passato doveva attingere «il suo più vitale nutrimento».
Allo stesso tempo la nuova rivista segnava un deciso allontanamento, in netta polemica con la vocazione antiquaria e specialistica perseguita da altri periodici, come Rivista Storica Italiana diretta da Costanzo Rinaudo, da quel «metodo critico-storico ereditato dalla storiografia tedesca che, pur essendo stato utile per la metodologia delle fonti, stava trasformando la storia in filologia, paleografia, diplomatica, archeologia, perdendo di vista l’interesse e il panorama generali». Con questa indicazione, la Direzione di NRS riprendeva, con la stessa urgenza, l’appello lanciato da Benedetto Croce, nell’ottobre 1915, finalizzato a «creare la coltura storica che manca agli italiani, in relazione alla vita politica e sociale e intellettuale», e a modificare in profondità, sotto la spinta dell’evento bellico, il vecchio assetto storiografico post-unitario, risvegliandolo dal torpore erudito, avvicinandolo «a nuove esigenze non solo presenti ma ora pressanti e stringenti».
La rivista non si prefiggeva, certamente di «rincorrere il presente», anche se proprio nel primo fascicolo, accanto a contributi dedicati alla Grecia classica, alla Riforma protestante, ai rapporti di cultura tra Italia e Francia nel XVIII secolo, compariva il saggio di Ettore Rota, La guerra europea e il problema delle sue cause, che apriva un osservatorio sulle dinamiche militari, diplomatiche politiche della guerra in corso e sulle loro conseguenze di lunga durata, destinato a mantenersi attivo fino al 1920. NRS cercava, invece, di sviluppare pienamente il paradigma della «storia presente», formulato da Croce nel 1912, per cui la «vera storia», distinguendosi dalla «storia filologica», e cioè dalla «storia non più pensata ma unicamente ricordata nelle astratte parole», doveva generarsi sempre dall’esperienza dei tempi attuali, poiché «solo un interesse della vita presente può muovere a indagare un fatto passato che solo in quanto si unifica con un interesse della vita presente, non risponde a un interesse passato, ma presente».
Il paradigma della «storia presente» era anche lo strumento scelto da NRS per instaurare un rapporto armonioso, ma mai subordinato, con le altre scienze umane (economia, diritto, geografia politica, studi religiosi, letterari, filosofici) fino a comporre quel modello di «storia generale» che si svilupperà nell’intervallo tra le due guerre: fondamentalmente politica ma attenta alle vicende dell’economia e della società come a quelle della cultura, della storia istituzionale, delle relazioni internazionali. Quel modello, era funzionale inoltre ad allargare il pubblico dei cultori di storia, molto di là dalla tradizionale platea accademica, fino ad abbracciare la classe media colta, per attribuire all’analisi del passato il ruolo di formazione politica e civile permanente di quella classe e per fare degli storici i «maestri della Nazione», un ruolo che non andava mai confuso con quello di «consiglieri del Principe».
Proprio per perseguire questa finalità, nel primo fascicolo del 1918, la Direzione riaffermava il programma di base del periodico diretto a «fare in modo che lo scrivere di storia sia non tediosa esercitazione critica su questioni minute e disorganiche, non illustrazione spicciola di testi e di documenti, ma, essenzialmente, interpretazione e intelligenza dei fatti sociali, specie di quelli politici, nel senso più ampio e comprensivo della parola». Si trattava di un programma che esaudiva le aspettative dei migliori della storiografia italiana, Gaetano Salvemini e Gioacchino Volpe, che, già nel gennaio del 1906, si erano prefissati di dar vita a «una rivista diffusa che sia vivo organo di cultura storica anche presso i non specialisti e che possa trovare accoglienza anche nella biblioteca delle persone colte e delle scuole secondarie». Proposta che aveva come condizione preliminare quella di allontanarsi «dai lavori in cui l’erudizione sia scopo a sé stessa, per agitare invece questioni larghe e vitali e lasciare tutto ciò che è caduco e transitorio nella storia e trattare invece di preferenza ciò che ne è la trama».
A questo programma NRS è restata devota nella sua lunga vita che ha attraversato gli anni terribili della guerra mondiale, del primo dopoguerra, della stagione della dittatura fascista: quando la rivista, oggetto di una campagna di stampa intimidatoria, infiltrata da agenti dell’Ovra, dovette rassegnarsi a veder scomparire dalla Direzione, il nome di Gino Luzzatto, colpito dalle leggi razziali, e rischiò nell’ottobre 1938 di scomparire, secondo il progetto accarezzato già nel 1935 dal Ministro dell’Educazione Nazionale, Cesare De Vecchi di Val Cismon, per essere accorpata a «Rivista Storica Italiana» diretta da Gioacchino Volpe. Questa fedeltà si è mantenuta inalterata anche durante il periodo difficile ma entusiasmante della ricostruzione materiale e morale del Paese, nella prima e nella seconda Repubblica, con i loro momenti di eccellenza e di caduta e oggi nell’età della globalizzazione con le sue occasioni da sfruttare e con i suoi rischi da affrontare.
Rivista non di tendenza, né ideologica né metodologica, tesa a valorizzare il messo tra storia del passato e analisi del presente, a essere campo d’indagine non solo della storia italiana ma anche della storia europea ed extraeuropea, la NRS, resta certo legata al modello della «storia generale», sviluppatasi nell’intervallo tra le due guerre, fondamentalmente politica ma attenta alle vicende dell’economia e della società come a quelle della cultura, della storia istituzionale, delle relazioni internazionali. Ma è aperta al contributo di altri settori storiografici: la storia materiale e quella della mentalità, la storia della medicina e dei grandi fenomeni epidemici, la storia militare, la storia della demografica, la storia del pensiero politico e naturalmente la Gender History, e la LGBT History, della sono quale recentemente sono stati pubblicati alcuni contributi. Né sottovaluta l’apporto fondamentale di altre discipline come la Geopolitica. Essa vigila, però, per evitare che quest’apertura non conduca a una deriva politologica o sociologica o peggio a una frantumazione del sapere storico nella nebulosa di categorie o sottocategorie storiografiche, effimere e poco significanti, dove potrebbe venir meno la finalità di ricostruire la storia nelle sue grandi articolazioni, ambizione, questa, che costituisce il suo principale e irrinunciabile obiettivo.
2. L’organigramma del Comitato editoriale e del Comitato scientifico è composto di 35 unità, tutte ovviamente reclutate nel mondo universitario italiano e straniero o in istituzioni di alta cultura italiane e straniere. Al Direttore («non despota ma cireneo», per usare un’espressione di Federico Chabod), responsabile della funzione di collegamento e d’indirizzo generale, si affianca un Direttore giudicamene «responsabile» e un Comitato di direzione, composto di 11 membri per i settori scientifico-disciplinari 11/A1 (Storia Medievale), 11/A2 (Storia Moderna); 11/A3 (Storia Contemporanea; Storia dell’Europa orientale ); 11/A4 (Scienze del libro e del documento e Scienze storico-religiose) 14/B2 (Storia delle relazioni internazionali delle Società e delle Istituzioni extra-europee). Settori per i quali, la NRS è stata inserita nella Fascia “A” dall’Agenzia Nazionale di Valutazione della Sistema Universitario e della Ricerca.
Al Comitato editoriale e del Comitato scientifico si affianca una Redazione, composto da 10 unità, adibita al lavoro di messa a norma tipografica, al contatto con gli autori e con i referees, alla gestione del sito web, e a interfacciarsi con i più importanti database internazionali nei quali la rivista è repertoriata (https://www.nuovarivistastorica.it/indicizzazione-e-valutazione/).
Il rapporto tra le tre sezioni che compongono l’organigramma della rivista non è verticale ma orizzontale. Ogni membro dell’Editorial Board è provvisto di una funzione di proposta, d’iniziativa, di realizzazione. Ad esempio, dei cinque numeri monografici che sono stati prodotti da NRS, dal 2009 al 2017, tre, quelli dedicati a “Guerra e conflitti”, al “Pellegrinaggio in età tardo-medievale”, a “L’Italia e il primo conflitto globale, 1914-1918” sono stati decisi e organizzati dal Comitato di direzione. I restanti, invece, (“I labirinti del colpo di Stato”; ”L’Eni e la fine dell’età dell’oro”) sono frutto dell’iniziativa e del lavoro dei membri del Comitato scientifico.
Il Comitato Editoriale copre con i suoi membri, l’intera geografia della Penisola e conta sulla presenza attiva di 8 studiosi stranieri, inglesi, irlandesi francesi, spagnoli, serbi, turchi (uno nel Comitato di direzione, gli altri in quello scientifico). Dato questo che insieme alla decisione di pubblicare contribuì redatti sia in italiano sia nelle principali lingue di cultura europee (inglese, francese, spagnolo, tedesco), garantisce la piena apertura internazionale della rivista. Al termine di un incisivo processo di svecchiamento, iniziato nel 2008, la maggioranza dei membri del Comitato editoriale è ora composta da quaranta-cinquantenni, meno numerosi (solo 6) sono invece i sessantenni e i settantenni presenti nel Comitato di direzione e in quello scientifico. I trenta-quarantenni sono concentrati nella Redazione. Si tratta di una scelta non voluta e piuttosto di un prezzo che NRS ha dovuto pagare all’invecchiamento del personale accademico del nostro Paese, la cui responsabilità ricade, per larghissima parte, sulla politica universitaria dei passati e del presente governo. Non ancora sufficiente la presenza di studiose di sesso femminile (solo 11): un dato che presenta una criticità evidente che la direzione è intenzionata a risolvere il più rapidamente possibile.
Essendo programmaticamente NRS una «rivista non di tendenza», i membri del Comitato editoriale e gli autori attivi nella rivista rappresentano percorsi di formazione, provenienza da scuole, proposte culturali, appartenenze ideologiche e politiche, diverse e a volte contrastanti che hanno provocato su alcuni temi (ad esempio, la vexata ma non esaurita questione delle Rivoluzioni/Rivolte del XVII secolo; il nesso storico problematico Mezzogiorno/unificazione; l’analisi della politica estera fascista nella sua proiezione globale, il processo di transizione dell’Europa orientale dopo il crollo dell’Urss) un dibattito vivace che è sempre uscito allo scoperto sulle pagine del nostro periodico.
Questa discordia concors non ci impensierisce. Riteniamo, infatti, che la fedeltà al progetto di una «storia generale», di taglio internazionale al passo con i tempi, perseguito dalla rivista, sia titolo sufficiente per non incrinare la coesione di un gruppo di lavoro. Preferiamo, poi, subire l’accusa di eclettismo che abiurare alla missione di NRS, formulata già negli anni Cinquanta, secondo la quale: «La Rivista, fedele al suo intento di favorire lo sviluppo della ricerca e il libero confronto delle idee, è aperta a ogni espressione e discussione di risultati o tendenze nel campo della storia e della sua metodologia».
Nell’ultimo decennio, l’impegno a garantire la piena libertà di ricerca, anche contro i possibili condizionamenti che potrebbero provenire dal Comitato editoriale, è stato rafforzato con l’adozione di un Codice etico elaborato sulla base delle line-guida elaborate dal COPE e della pratica della double-blind peer review, alla quale sono sottoposti, dopo il primo vaglio del Comitato di direzione e di quello scientifico, tutti i contributi che pervengono alla redazione, salvo le sezioni Interpretazioni e rassegne, Forum valutate da un solo referee e ovviamente le recensioni.
Questo sistema di valutazione, sicuramente non perfetto come ha dimostrato la ricca letteratura scientifica a riguardo, è comunque di grande utilità non solo per la rivista ma anche per l’autore. Un buon referaggio non deve essere soltanto una pratica inquisitoria, da cui deriva un verdetto di assoluzione o condanna, ma deve trasformarsi, invece, in dialogo, mediato dalla redazione, tra valutatore e valutato, attraverso il quale, grazie alle segnalazioni e ai suggerimenti del primo, un contributo di qualità, ma non esente da imperfezioni o da lacune documentarie e bibliografiche, può migliorare nella sua forma definitiva. Non esitiamo a parlare, a questo riguardo, di «valore pedagogico» della blind peer review.
Per quello che riguarda la questione di una maggiore diffusione internazionale della rivista, comunque presente nelle maggiori biblioteche europee e dell’anglosfera. si ricorda che dal 2015, i testi delle recensioni pubblicate su «Nuova Rivista Storica» sono indicizzati e offerti in libera consultazione nel portale Recensio.net, curato dalla Biblioteca Nazionale della Baviera e dalle Università di Colonia e di Magonza. Previo accordo con queste istituzioni, il Comitato direttivo si propone di offrire in libera consultazione anche le sezioni Forum e Interpretazioni e rassegne.
Si ricorda altresì che gli articoli pubblicati su «Nuova Rivista Storica» sono catalogati e repertoriati nei seguenti indici: Thomson Reuters, Web of Science, Arts and Humanities CitationIndex (formerly ISI); Scopus Bibliographic Database; Scimago Journal & Country Rank; ESF-ERIH (European Science Foundation); AIDA (Articoli Italiani di Periodici Accademici); EBSCO Information Services; JournalSeek; ESSPER; BSN, Bibliografia Storica Nazionale; Catalogo italiano dei periodici (ACNP); Google Scholar.
3. Per la storia della rivista dal 1945 fino alla fine degli anni Novanta, sintetizzata sul sito (https://www.nuovarivistastorica.it/info/), ci limitiamo a sottolineare che in quei decenni il periodico si è mantenuto sostanzialmente fedele ai suoi principi ispiratori. Dopo quella data NRS ha conosciuto un progressivo, nei primi anni quasi insensibile, periodo di depotenziamento. Troppo spazio era stato concesso alla Storia medievale, rispetto agli altri settori disciplinari, e non infrequentemente il Medioevo di NRS si ridusse a un Medioevo esclusivamente italocentrico, studiato con prevalente riferimento alle regioni settentrionali del nostro Paese e con particolare attenzione a eventi e temi di portata non generale.
Dal 2008, e poi negli anni successivi, grazie al “rivoluzionario” rinnovamento del Comitato Editoriale, cui si è fatto riferimento, la rivista e la collane di volumi «Biblioteca della Nuova Rivista Storica» arrivata oggi al suo 62° titolo (https://www.nuovarivistastorica.it/biblioteca/), e «Minima Storiografica» ricca di 9 titoli (https://www.nuovarivistastorica.it/minima-storiografica/) sono tornate ad essere strumenti di «storia generale», nel senso più pieno del termine, e, insieme, di «storia globale» aperte a problematiche vastamente internazionali e al largo contributo di studiosi stranieri, anche grazie alla possibilità di pubblicare in esse, come si è detto, contributi redatti in francese, inglese, spagnolo, tedesco.
Il Medioevo è tornato a essere il lungo Medioevo europeo e mediterraneo, storiograficamente indagato per prospettive ampie che si muovono lungo tutto l’arco geografico e cronologico dell’età di mezzo. Sicuramente un Medioevo, che guarda, oltre all’Italia dove il lavoro della rivista ha individuato gli elementi di un vero e proprio “mercato nazionale dopo il XIII secolo, verso occidente e settentrione. Ma anche un Medioevo studiato nella proiezione italiana verso l’Africa settentrionale, il Levante, il Mar Nero, i Balcani, analizzato come età di scontro e incontro di religioni diverse, diverse etnie, diverse culture, come spazio economico diversificato eppure unificato da una rete commerciale aggregante e da un’interazione diffusa e pervasiva. Analogamente, per la Storia Moderna, si è privilegiata l’attenzione al dibattito storiografico internazionale sulle grandi tematiche dell’History of the World come la struttura e l’evoluzione dell’Impero spagnolo e dei suoi sottosistemi europei, americani, asiatici; l’impatto globalizzante dell’evangelizzazione gesuitica, a livello economico e culturale; il gioco delle diplomazie impegnate nella costruzione di un comune diritto internazionale europeo; l’emergere nelle loro peculiarità degli antichi Stati italiani, con particolare concentrazione sul Vice Regno e sul Regno di Napoli, poi Regno delle Due Sicilie, con la sua proiezione mediterranea, e la loro interazione con gli altri organismi politici della Penisola come con quelli europei e extra-europei.
Anche la Storia contemporanea, la Storia dell’Europa orientale e quella delle Relazioni internazionali hanno conosciuto un simile percorso di rimodulazione e aggiornamento che in qualche misura può essere, però rubricato, anche come “ritorno alle origini”. Si è fatto di nuovo spazio, ai grandi problemi storiografici, tra prima e ultima età contemporanea, fino alla «storia in divenire», che qui proviamo molto sommariamente a elencare:
- la costruzione di un nuovo ordine europeo, tra Guerra di Crimea, conflitti austro-franco-prussiani e il suo venir meno nella stagione delle Guerre balcaniche, tale da inglobare in una prospettiva internazionale anche la storia del processo unitario italiano, considerato nelle sue luci e nelle sue, superando i limiti di una ricerca ispirati ai dogmi del vecchio “risorgimentismo”;
- la Grande Guerra, il periodo post-bellico, il secondo conflitto mondiale, analizzati nei loro aspetti politici, diplomatici, militari, strategici, economici, entro e fuori lo scenario europeo, in una prospettiva autenticamente globale;
- il colonialismo nella politica estera italiana dalla seconda metà del Novecento al secondo dopoguerra, analizzato nelle sue peculiarità e nelle analogie con gli altri sistemi coloniali;
- la storia della diplomazia italiana dal 1861 alla Prima Repubblica;
- l’analisi della «diplomazia culturale», sperimentata dalle Grandi Potenze durante la Guerra Fredda, legata allo sfruttamento del sistema di comunicazione di massa (arti grafiche, cinema, radio, televisione);
- la storia della Prima e della Seconda Repubblica, analizzata su base documentaria e non alla luce di svianti paradigmi ideologici;
- i problemi politici, connessi all’approvvigionamento energetico negli anni Settanta e Ottanta del Novecento;
- la storia della moda e dell’arredamento, considerata come indicatore della metamorfosi dei processi sociali, del cambio di mentalità, della trasformazione della vita quotidiana, dei rapporti familiari e di quelli tra generi, indotti dall’impatto dell’industrializzazione e dal mutamento del mondo del lavoro nel XX secolo;
- l’attuale crisi dell’assetto geopolitico mondiale, determinato dal crollo dell’Unione Sovietica, dall’impatto della globalizzazione, dall’esplosione delle «primavere arabe» e dall’entrata in scena di nuove Potenze a vocazione neo-imperiale (Cina, Federazione Russa, India, Iran) e dall’aprirsi di nuovi fronti di crisi ai confini orientali dell’Unione Europea e dell’Alleanza atlantica, nel Medio Oriente, nel Mediterraneo, nel Mar rosso e nell’Indopacifico.
Importantissimo, infine, per il rinnovamento tematico di NRS è stato l’apporto di studiosi stranieri (Francesi, Britannici, Spagnoli, Statunitensi, Tedeschi) e soprattutto di quelli, molto numerosi, provenienti dall’Europa centro-orientale (Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, Polonia, Ungheria, Serbia, Romania, Federazione Russa, Turchia), dalle Repubbliche sudamericane (in particolare dall’Argentina) dall’Asia centrale (Kazakistan). Un parterre internazionale di collaboratori che la Direzione del periodico conta di allargare, a breve, anche a storici mediorientali, nipponici, con i quali ha già stabilito contatti.
4. Oggi fare storia vuol dire, in primo luogo, confrontarsi con un archivio di fonti ben più ampio di quello utilizzato dall’analista del passato solo 20 o 30 anni fa. Al documento epigrafico, cartaceo, iconografico si è aggiunto, senza naturalmente sostituirlo quello letterario, audiovisivo (filmico, televisivo, persino attinente al mondo dello strip cartoon e del disegno animato) e lo sterminato dossier di dati disponibili sul web. È questa un’occasione, che la NRS deve certamente raccogliere ma con cautela, tentando di costruire, in primo luogo, una «gerarchia di fonti» che impedisca al flusso di nuove informazioni di interferire negativamente con la corretta prassi della ricerca.
Lo stesso si può ripetere per alcune impostazioni metodologiche generali, sicuramente affascinanti, in linea teorica, ma non prive di pericoli e difficoltà nel loro concreto maneggio. Il frettoloso e “modaiolo” uniformarsi del lavoro storiografico ai paradigmi della World History, in supina assonanza con una più generale, rozza filosofia della globalizzazione, nel tentativo di liberarsi del pregiudizio eurocentrico, può produrre un inconveniente rilevante, paradossalmente analogo a quello rappresentato dalla microstoria, perché quest’approccio, basato sull’esigenza di una generale contestualizzazione delle storie dei gruppi umani fioriti in qualsiasi parte del globo e in ogni epoca, delinea un’evoluzione storica generale, scarsamente differenziata, e individua un tempo piano del divenire storico, dove difformità di genesi e di esiti e l’emergere di vertici o di successi storici vengono ad appiattirsi nel sostanziale parallelismo in cui sono disposte le vicende mondiali.
Inoltre, la World History, riducendo o addirittura abolendo la rilevanza dei confini politici e quindi delle macro-organizzazioni istituzionali (Stati e Imperi), muovendosi in una dimensione trans-regionale, segnata dalle migrazioni, dalle diaspore, dalle reti super-nazionali, culturali, economiche e sociali, se è certamente utile per superare le strettoie di una storiografia fondata sul primato assoluto della statualità, non tiene conto, però, della diversa lezione della Geopolitica che fa della frontiera etnica, confessionale, imperiale, statale il nodo centrale della dinamica storica. Infine, la World History rischia di dare spiegazioni insufficienti e addirittura travianti per interpretare correttamente lo sviluppo storico dei nostri tempi dove si assiste all’impetuosa rinascita delle frontiere etnico-religiose e dei confini politici-militari, dall’Europa orientale, al Mediterraneo, all’Asia meridionale, e alla scomparsa ma anche alla ricomparsa di nuovi Stati-Impero in Medio Oriente, nell’Asia meridionale e nell’Indopacifico.
5. Il segnale d’allarme da più parti lanciato a proposito di una “crisi della scienza storica” ed addirittura di una “inutilità del mestiere di storico” non è sottovalutato dal Comitato editoriale di NRS. Siamo alla presenza, infatti, di un inarrestabile processo di «analfabetizzazione storica», spontaneo e indotto, che interessa tutti di Paesi di democrazia avanzata e di cui è responsabile, in primo luogo, il degrado della scuola e dell’università, poi la scomparsa della passione ideologica novecentesca, infine la difficoltà di fare entrare in contatto con il nostro modello storiografico utenti provenienti dal mondo extra-europeo e quindi estranei alle nostre tradizioni culturali, il cui numero già rilevante, è destinato ad aumentare a brevissimo termine.
La parte più consistente dei tradizionali destinatari dell’editoria storiografica (il pubblico di media cultura non specialistica) si è assottigliato fino quasi a scomparire. In Italia, ma anche fuori dei nostri confini, il comune lettore di storia è oggi attratto unicamente dal lato sensazionalistico, scandalistico, parascientifico dell’analisi del passato: il Medioevo come narrazione fantasy; i grandi processi di trasformazione economica e politica del XIX e XX secolo descritti alla luce di una ricostruzione complottistica; la vita dei protagonisti della politica del passato indagata unicamente negli aspetti privati e pruriginosi della loro esistenza.
Pur essendo stati sempre favorevoli a un rapporto di cooperazione tra storiografia e mondo dell’informazione, NRS deve ammettere che il sistema mediatico è stato impari al compito che avrebbe potuto assumere in questo campo. Nel nostro Paese, specialmente, continua a essere assente la figura dell’operatore giornalistico e televisivo, «mediatore» tra letteratura storiografica di livello scientifico e lettori non specializzati, figura che invece esiste o meglio sopravvive nel mondo anglosassone. Anche noi storici abbiamo, comunque, gravi responsabilità per aver spesso ghettizzato la nostra produzione in comparti iper-specialistici, microstorici, a volte francamente provinciali e municipali, o averla proiettata, senza averne le forze, in ambiziosi e velleitari panorami mondialisti, abdicando ad affrontare l’analisi dei grandi «problemi storiografici», l’indagine su personalità, eventi, cicli storici, rotture epocali che dopo aver inciso profondamente sul passato segnano ancora il nostro presente. Una sfida, questa che, ieri come oggi, rappresenta l’obiettivo prioritario e lo sforzo quotidiano di NRS.
NOTA BIBLIOGRAFICA
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