di Eugenio Di Rienzo
Grazie al sistema di decrittazione Magic, i servizi segreti alleati intercettavano il dispaccio del 3 marzo 1943, trasmesso dall’ambasciatore del Giappone a Madrid, nel quale si informava il ministro degli Esteri Togo dell’incontro avvenuto a Roma, tra Ribbentrop, Ciano, il delegato spagnolo Serrano Súñer e il cardinale Spellman per stipulare un armistizio tra Italia, Germania, Usa, Regno Unito. Prontamente informato del comunicato, il rappresentante nipponico a Berlino, Hiroshi Oshima, incassava, il 13 marzo, la ferma smentita di Ribbentrop e dell’ambasciatore italiano, Dino Alfieri, sull’attendibilità di quella notizia che si rivelava essere un semplice episodio della strategia di contro-informazione organizzata dall’Intelligence alleata per suscitare contrasti all’interno delle forze dell’Asse. Della stessa opinione era anche il diplomatico italiano Luca Pietromarchi che, nel suo diario, annotava che in quel momento Mussolini escludeva «ogni possibilità d’intendersi con gli Inglesi» mentre era invece determinato a «giocare la famosa carta che egli ha asserito più volte di tenere in riserva» e cioè di arrivare ad una pace separata tra Roma, Berlino e Mosca.
Il tentativo di interrompere lo scontro tra Asse e Unione Sovietica, perseguito dal Giappone fin dal dicembre del 1941, aveva sempre potuto contare sul sostegno italiano. Sebbene la nostra storiografia abbia sistematicamente negato o sottovalutato l’efficacia di questa manovra, sottolineando l’inconciliabilità ideologica dei tre regimi totalitari, i negoziati nazi-sovietici per arrivare ad un accordo, favorite dai buoni uffici di Tokyo e Roma, si svilupparono attivamente a partire dall’inizio del 1942 per poi continuare tra alti e bassi fino al maggio del 1943. Dopo quella data, i preliminari diplomatici si arenarono provvisoriamente sullo scoglio rappresentato dalla richiesta tedesca di fare dell’Ucraina uno Stato satellite del Reich e dalla pretesa russa di ottenere il ripristino delle frontiere del 1941.
L’imminente crollo italo-tedesco in Tunisia e la minaccia di una prossima invasione della Sicilia spingevano, tuttavia, Mussolini a insistere nuovamente con Hitler, durante l’incontro di Salisburgo del 7-10 aprile 1943, per ottenere una neutralizzazione del fronte orientale che avrebbe consentito di concentrare una grande massa d’urto germanica a difesa della Penisola. La richiesta veniva ribadita anche durante l’incontro tra i due leaders, svoltosi, a Feltre, il 19 luglio. Durante lo svolgimento del summit, le prime informazioni sulla sconfitta tedesca, nella titanica battaglia tra forze corazzate ingaggiata contro i sovietici, a Kursk, sembravano però liquidare definitivamente questa possibilità. Da questo momento, infatti, la perdita di iniziativa della Wermacht avrebbe consentito a Stalin di negoziare da una posizione di forza, rendendo la trattativa inaccettabile per il Führer.
Il Duce proseguiva, però, nel suo disegno anche dopo il colpo di Stato della notte del 24 luglio, che aveva posto le basi costituzionali per il rovesciamento del regime fascista. Nella mattina del giorno successivo, poche ore prima di incontrare Vittorio Emanuele, Mussolini riceveva l’ambasciatore giapponese Shinokuro Hidaka, rivelandogli di nutrire ancora forti speranze di convertire Hitler ad una politica di pacificazione con l’Urss. Il messaggio, che qui pubblichiamo, conservato nei National Archives di Londra (Hw, 1/1891), con il quale Hidaka relazionava al proprio governo i contenuti del colloquio di Palazzo Venezia ci offre una versione molto diversa da quella fino ad ora conosciuta. A Hidaka, Mussolini appariva un uomo provato ma non piegato dalle decisioni del Gran Consiglio, persuaso che l’avanzata alleata era destinata a dilagare senza ostacoli dalla Calabria alla dorsale appenninica, arrivando alla conquista di Roma, ma convinto anche questa eventualità si sarebbe potuta evitare se fossero cessate le ostilità tra Germania e Russia. In quel caso, continuava il Duce, le sorti del conflitto avrebbero subito un immediato ribaltamento a favore del Patto Tripartito e, alla notizia di un’intesa con l’Urss, egli avrebbe imbandierato a festa la città di Roma.
Sia William Deakin che Renzo De Felice hanno considerato l’abboccamento del 25 luglio un dilettantesco bluff diplomatico orchestrato da Mussolini ad uso e consumo del teatro politico interno. La realtà sembra però essere molto diversa da questa lettura. Il 2 settembre, Oshima telegrafava a Tokio l’annuncio di una ripresa dei contatti russo-tedeschi e di una prossima missione di Ribbentrop a Mosca per pattuire i termini dell’armistizio. Le stesse notizie si riaffacciavo in un memoriale del Foreign Office del 23 novembre. Ancora alla fine dell’agosto 1944, Churchill informava il War Cabinet dell’esistenza di un forte «partito isolazionista» sovietico deciso a rompere l’alleanza con gli anglo-americani per arrivare ad un duraturo affiatamento con la Germania. Come testimoniano altri numerosi documenti diplomatici giapponesi, le trattative russo-sovietiche per arrivare ad una pace separata sarebbero continuate, infatti, fino al gennaio del 1945, a soli pochi mesi di distanza dal crollo finale del Terzo Reich.
Il rapporto del diplomatico giapponese
Parlando con aria seria e franca, Mussolini mi informò sull’assoluta esigenza che Giappone, Italia e Germania dovessero proseguire la guerra insieme, aggiungendo tuttavia che la necessità più urgente era quella di far cessare le ostilità tra Germania e Russia. La Germania non era, infatti, riluttante ad aiutare l’Italia ma il suo impegno sul Fronte orientale le impediva di sostenere adeguatamente il suo alleato.
Durante l’incontro al Brennero del 18 giugno 1940, egli aveva detto ad Hitler che dopo aver sbaragliato la Francia, la Germania doveva impegnare tutte le sue forze sullo scacchiere mediterraneo. Mussolini aveva aggiunto che, nonostante l’incompatibilità ideologica tra Germania e Urss, Hitler doveva evitare uno scontro con i Russi e aveva sottolineato gli svantaggi di aprire un nuovo teatro bellico. Hitler però non lo aveva ascoltato. Da allora ed in particolare dallo scorso ottobre, Mussolini aveva insistito continuamente su quel punto e aveva intenzione di insistere con il Führer anche successivamente.
Il potenziale bellico dell’Italia era modesto, soprattutto nel settore aeronautico, e se, dalla Sicilia, fosse stato lanciato uno sbarco sulla Penisola, non ci sarebbe stato altro da fare che abbandonare alle devastazioni del nemico l’Italia a Sud degli Appennini, compresa Roma, sebbene egli non avesse intenzione di lasciare la capitale […].
Sul punto di congedarmi, Mussolini mi ripeté che era una follia voler continuare a combattere contro l’immenso spazio russo e che il primo ministro Tojo doveva continuare i suoi sforzi per favorire la pace tra Germania e Urss. Quando si fosse giunti a quel risultato, egli avrebbe imbandierato a festa l’intera città di Roma […].
(Pubblicato il 27 giugno 2010 – © «Libero»)