Il regno di Ferdinando IV di Borbone segnò per Napoli il momento di affrancamento dalla Corona spagnola e il posizionamento del Regno non solo tra le potenze borboniche ma anche tra le altre potenze mediterranee, nell’ottica di costruzione di una progressiva indipendenza e di una politica di neutralità attiva sia sullo scenario italiano che mediterraneo. A ricostruire la figura di Ferdinando IV e a riscattarlo dall’immagine di una sorta di fantoccio nelle mani dell’astuta moglie o dell’ancora più astuto emissario del padre, è il libro di Emilio Gin – docente di Storia moderna e di Storia del Mezzogiorno presso l’Università degli Studi di Salerno – “Ferdinando IV di Borbone. Il Regno di Napoli e il Grande Gioco del Mediterraneo“, fresco di stampa per Rubbettino. Su gentile concessione dell’Editore, pubblichiamo un ampio stralcio del volume.
di Emilio Gin
Il 7 ottobre 1759, il gran pavese della flotta congiunta iberica e napoletana accoglieva a bordo re Carlo di Borbone per far vela verso il suo nuovo trono in terra spagnola. Di quella giornata disponiamo di un affresco suggestivo di Antonio Joli che, su commissione reale, raffigurò per la memoria dei posteri il momento della partenza. Le due opere del vedutista modenese, riprodotte in vari esemplari, esprimevano bene l’immagine che Carlo voleva si conservasse al termine del suo regno napoletano. Nella “veduta da mare” della scena, Napoli vi appare in tutto il suo splendore di città rinnovata dai cospicui interventi urbanistici dell’età carolina, dal porto al palazzo reale, che ne avevano donato l’aspetto di una moderna capitale europea. Per di più, sulla collina di Capodimonte faceva già sfoggio della sua imponenza la futura reggia, i cui lavori di costruzione erano in realtà appena iniziati, a formulare esplicitamente l’auspicio che la stagione di rinnovamento potesse svolgersi ininterrotta anche durante il regno del giovanissimo figlio di Carlo. Accanto alla città, l’altra grande protagonista della rappresentazione, vividamente raffigurata nell’olio su tela dell’artista sia nella veduta da terra che in quella da mare, era la flotta. Un’esaltazione del ruolo di grande potenza marittima della Spagna, ma anche una pubblica riconferma dello stretto rapporto che a lungo, anche e in special modo sul mare, aveva legato Madrid a Napoli, antemurale mediterraneo, quest’ultima, contro la minaccia ottomana e pilastro periferico ma fondamentale, mediante lo Stato dei Presidi, per garantire la proiezione della forza e dell’influenza iberiche sul resto della Penisola. […]
Nella veduta da terra della partenza di Carlo raffigurata da Antonio Joli, oltre alla moltitudine chiassosa e festante, a rimarcare la gratitudine del popolo napoletano verso il sovrano borbonico, un altro particolare attira lo sguardo dell’osservatore. Sulla destra, una carrozza proveniente dal porto si apre la via tra le ali di folla per andare incontro a quella reale. Si tratta della vettura di Tanucci, appena nominato a capo del consiglio di Reggenza, accorso a prestare il suo omaggio al monarca al momento dell’imbarco. Il pennello dell’artista fissava così a colori vivaci l’essenza della situazione politica nell’istante in cui Carlo lasciava la capitale. Proprio la direzione delle carrozze simboleggiava il trasferimento dei poteri effettivi dal sovrano al reggente ma anche, quanto e come la flotta alla fonda nel mare azzurro del Golfo, la stretta convergenza che avrebbe unito in futuro il cammino dei due regni borbonici. […]
In sostanza, al momento della partenza, Carlo aveva imposto al Regno una condizione di subordinazione simile a quella che egli stesso aveva dovuto subire durante gran parte del suo tempo trascorso a Napoli. Si può dunque ben dire che sino alla maggiore età di Ferdinando, e ancora per alcuni anni dopo, Carlo possa considerarsi davvero il sovrano di una duplice monarchia.
A partire proprio dai giudizi sulla sua educazione superficiale di cui disponiamo, l’immagine di Ferdinando è ben nota e finisce per riflettersi in un gioco di luci contrapposte a quella, ugualmente celebre e stereotipata, della moglie. Un re «inconscio», dedito alla bella vita «alla caccia, alle femmine, alla buona tavola; e purché gli si lasciassero fare le dette cose, era pronto a intimare la guerra, a fuggire, a promettere, a spergiurare, a perdonare e ad uccidere, spesso ridendo allo spettacolo bizzarro» a cui faceva da contraltare una regina dallo «spirito torbido», che «non ebbe né elevatezza mentale, né accorgimento e prudenza; e fece di continuo il danno suo e di tutti».
Il giudizio crociano appena citato, in effetti, si poneva a valle di quello elaborato già dai contemporanei, a ridosso dei tragici eventi del Novantanove, e poi dai primi storici liberali che avevano riletto la storia recente del Regno come il prodotto della velenosa influenza di una regina volitiva e instabile, e del suo onnipotente amante, il ministro Acton. […]
In un’opera di grande respiro, Giuseppe Galasso ha rivisitato a fondo l’intera vicenda del regno di Ferdinando mettendo meglio a fuoco il ruolo dei protagonisti e gli equilibri di potere interni al governo. In tale direttrice, il binomio Acton-Maria Carolina appare meno inossidabile di quanto la vulgata storiografica abbia sempre dato per scontato. Certo, per Galasso, la derogante personalità della Regina e la sua invadenza a corte furono favorite dal carattere «patetico e ridicolo» di un Re dotato, però, di buon senso e anche di una certa capacità di resistenza passiva alle impennate isteriche della consorte proprio appoggiandosi a volte allo stesso Acton.
Sulla spinta del fiorire di studi sul tema della queenship nell’Europa moderna, di recente proprio Maria Carolina è stata oggetto di un risveglio dell’interesse storiografico che ne ha modificato in parte il quadro rispetto a quello consolidato. Ne è emersa una figura poliedrica, impegnata nel campo dell’arte, della musica e della cultura, oltre agli aspetti più noti quali il suo appoggio iniziale alla cultura illuministica e alla diffusione della Libera Muratoria nelle Due Sicilie. Più in ombra, o sulla falsariga dell’interpretazione tradizionale, è stato lasciato proprio il suo rapporto con il marito sul piano politico. Ferdinando, a oggi, resta ancora una figura per lo più caricaturale, in attesa di una revisione più approfondita. È possibile però seguire il filo degli eventi dalla prospettiva scelta cercando di giungere a osservazioni fondate. […]
Volendo accennare brevemente al tema dell’educazione, è infatti opportuno sottolineare quanto essa fosse stata voluta e seguita strettamente da Carlo che impose al tutore di Ferdinando, il principe di San Nicandro, di puntare sulle materie scientifiche e soprattutto sull’attività fisica all’aria aperta e la caccia. Ciò derivava dalla preoccupazione costante per la salute del figlio, dopo il duro colpo dell’invalidità del primogenito Filippo, ma anche dalle personali inclinazioni di Carlo stesso che, sia detto per inciso, praticava la caccia con assiduità pari se non maggiore rispetto a Ferdinando. […]
Non è secondario notare a questo proposito quanto in Tanucci il tema delle carenze educative di Ferdinando tornasse alla ribalta poco tempo prima dell’arrivo di Maria Carolina a Napoli e quando l’effervescenza giovanile di quest’ultima pose poi a rischio il legame di dipendenza del giovane sovrano nei confronti del ministro toscano e, di conseguenza, dello stesso Carlo III. Anche in questo caso, il “tedio per gli affari” e l’indolenza del sovrano potevano essere ampiamente recuperati, a patto che il giovane Re continuasse a seguire scrupolosamente i consigli di Tanucci spalleggiato dal “paterno oracolo” madrileno. L’immagine originale di Ferdinando che si addormenta durante i consigli o li diserta del tutto perché stanco per le feste e per le battute di caccia è, in effetti, quella costruita da Tanucci in alcune lettere nella sua corrispondenza con Carlo nei momenti di maggiore disturbo dovuto all’invadenza e alle intemperanze di Maria Carolina, immagine assurta poi a canone interpretativo in tutta la storiografia successiva. […]
A ben vedere, tutta la vicenda lascia capire quanto, in definitiva, sia Carlo, sia Tanucci che Maria Carolina percepissero tutta la difficoltà, e dunque il bisogno di appoggiarsi gli uni agli altri, a imbrigliare ciascuno per i propri scopi il volere di Ferdinando che preservava così il suo margine di manovra giocando di sponda. A tale proposito, valga ancora la testimonianza di Tanucci che rilevava quanto, a un certo punto, Ferdinando talvolta ottenesse ciò che voleva spacciandolo per un desiderio della Regina, oppure – al contrario – si rifiutasse di andare in consiglio se apertamente suggeritogli dalla moglie. Dopotutto, il Re era lui e, come Carlo nei confronti di Maria Amalia, gelosissimo delle proprie prerogative e disposto a concedere spazio alla moglie non tanto “per quieto vivere”, come si è sempre sostenuto, ma per allentare la pesantissima tutela imposta da Carlo e dal suo zelante referente a Napoli.
(Pubblicato il 5 febbraio 2023 © «il Quotidiano del Sud» )