di Franco Cardini
Ecco un libro che, a prima vista, potrebbe sembrare una lettura ideale per un pubblico abbastanza colto, amante della storia in genere e di quella contemporanea in particolare, attento al passato ma ben conscio che in esso stanno ben piantate per terra le radici del presente e consapevole al tempo stesso che la storia non si domina, non si dirige, non s’indovina neppure: e che la sua libertà è per noi fonte d’angoscia continua. Specie se e quando il “sapere” di per sé non ci basta. E vorremmo comprendere senza tuttavia giudicare, senza doversi chiedere “da che parte stare”, senza cedere alla tentazione di “capire chi ha ragione”.
Ecco perché la lettura di Eugenio Di Rienzo, Sotto altra bandiera. Antifascisti italiani al servizio di Churchill (Neri Pozza, pagine 237, € 19,00) è disperante. Perché finisce di parlare di doveri morali e civici. E magari per porre gli uni contro gli altri. “Right or wrong, it’s my country”: così ci è stato detto (qualcuno lo dice ancora) che pensino gli inglesi. Lo fanno veramente? E se lo fanno, hanno ragione? Come si fa ad “aver ragione” anche quando si sta dalla parte del torto? La prima e la seconda guerra mondiale, con i loro molti e intricati episodi di “fedeltà” e di “tradimento, con la necessità di giudicare chi facendo una certa scelta era un eroe e chi uno spregevole criminale, hanno complicato le cose. Cesare Battisti e Nazario Sauro sono stati giudicati traditori e delinquenti da parte di tanti bravi e onesti cittadini trentini e triestini che non si sognavano nemmeno di negare la loro italianità, ma che si rifiutavano di adire al dogma secondo il quale tutti i membri di una nazione debbano per forza essere cittadini di un medesimo Stato: il che è stato per lungo tempo un assurdo non senso, e anche da un paio di secoli a questa parte è solo una contestabile scelta ideologica. E dopo l’8 settembre del ’43, era davvero così ovvio seguire gli ordini di un re che, abbandonando il suo popolo e fuggendo, gli comandava rigorosamente di resistere contro chi fino a un istante prima era l’alleato?
Molti italiani, durante la seconda guerra mondiale, si misero dalla parte di Winston Churchill e lo servirono. Erano patrioti antifascisti che avevano scelto di servire la causa della libertà, o venduti al nemico dal momento che la patria è sempre la patria chiunque la governi? Erano eroi della libertà decisi a battere a qualunque costo un avversario inumano e disumano o gente di parte che dal cambio di regime contavano di ottenere qualche vantaggio, o persone che cercavano vendetta o rivalsa, oppure dei puri e semplici sicari prezzolati e corrotti. Ma atteniamoci alla prima e più pulita ipotesi. Certo, allora la situazione era tragica: e il dilemma fra tradire la patria o servire una dittatura poteva essere per molti un lacerante dramma morale.
Chissà che cosa passava per la mente di Eugenio di Rienzo quando, da storico e da cittadino, ha potuto accedere ai documenti or ora desegretati degli Archivi nazionali di Londra? Deve esserglisi dischiuso dinanzi un Giardino delle meraviglie. Ma forse anche un detestabile Inferno, un disgustoso verminaio di menzogne e di doppiogioco interessato.
Badate: qui si parla di personaggi illustri, magari anche di qualche “Padre della Patria democratica”, di qualche “mostro sacro”. E pochi ne escono davvero, diciamo la verità, a testa alta. Forse in fondo solo Benedetto Croce, che peraltro in comune con Winston Churchill aveva la “colpa” (se era colpa) di aver espresso più volte in passato positivi giudizi sul Duce. E benino ne esce Gaetano Salvemini, che senza dubbio pensava ed agiva in modo coerente con la sua speranza di una sconfitta dell’Italia fascista, a patto però che il Paese ne uscisse con meno danni possibile in modo da poter serenamente riprendere un cammino più libero e più giusto. Ma gli altri, fossero vecchi antifascisti oppure neofiti guadagnati alla causa dagli eventi? Parliamo di personaggi quali Emilio Lussu, Alberto Tarchiani, Aldo Garosci, Max Salvadori, Leo Valiani? E magari di altri ancora – al servizio di Churchill o no -, come il grande Arturo Toscanini e i suoi concerti “di beneficenza” per finanziare le superfortezze volanti che avrebbero bombardato la sua gente?
Una delle pagine più cupe, in questo libro amaro, è quella della morte di Mussolini. Pare che gli americani, sempre pronti a farsi paladini della giustizia per tutti i popoli, volessero processarlo pubblicamente: sempre in nome del genere umano, s’intende. Ma c’era chi remava contro. I soliti comunisti, stalinisti sanguinari che lo volevano a tutti i costi morto ammazzato? O non piuttosto magari mister Churchill, che con il Duce aveva mantenuto anche qualche rapporto ambiguo , che temeva qualche carta compromettente o qualche testimonianza scomoda e che quindi avrebbe preferito vederlo accoppare così, alla malandrina, e poi far passare quell’assassinio come “giustizia popolare”, salvo scandalizzarsi magari per lo spettacolo di bassa macelleria di Piazzale Loreto? Eh, gli italiani, questi barbari arretrati…
Comunque, fossero stati specchiati patrioti o furbastri opportunisti o livorosi vendicativi, tutti quelli che militarono “sotto altra bandiera” furono più o meno retribuiti. Parafrasando Giulio Andreotti potremmo dire che chi sta col vincitore magari fa peccato (o commette un crimine), però ci guadagna.
(Pubblicato il 25 agosto 2023 © «Avvenire»)