di Matteo Luigi Napolitano
Ho letto con grande attenzione l’articolo del professor Paolo Luca Bernardini, intitolato “Modesta difesa della storiografia italiana”, in cui l’autore prende le distanze dal collega tedesco Christof Dipper e dai suoi indebiti attacchi alla storiografia contemporaneistica italiana. Anche se devo obbiettare a Bernardini che la ferma replica agli argomenti del docente germanico è stata rapida e circostanziata, proprio sulla rivista, “Italia contemporanea”, che ha ospitato il libello di Dipper.
Più utile è, però, soffermarsi, qui, su due questioni. Da dove scaturisce l’attacco di Dipper alla storiografia italiana? A cosa è finalizzato questo attacco?
Dipper ha ritenuto di dover riflettere sulla storiografia italiana partendo dalla sua esperienza di commissario “straniero” nell’ambito della prima tornata di Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN). Quindi si è trovato a dover leggere (almeno così si spera) tutti i titoli di tutti i candidati di quella tornata, vantandosi poi, a torto, di poter esprimere un’idea precisa sullo stato in cui versano gli studi contemporaneisti in Italia. Se si vogliono esprimere sentenze tanto totalitarie, bisognerebbe farsi un’idea dello stato dell’arte diversa da quella che si può avere dai lavori degli aspiranti cattedratici, molti dei quali, grazie al giudizio di Dipper, evidentemente molto diverso da quello espresso nelle sue esternazioni, sono poi ascesi ai fastigi della carriera universitaria.
Terminati i lavori nella ASN, dunque, il “commissario Dipper” ha messo nero su bianco le impressioni, quasi tutte negative, lasciategli da quell’ambiente accademico che fino al giorno prima lo aveva accolto e tenuto in grembo, che lo aveva garbatamente trattato da autorevole benemerito collega senza essersi accorto di aver ospitato un redivivo “Grande Inquisitore”.
A che cosa mira l’attacco di Dipper? L’articolo era destinato unicamente al mondo accademico tedesco, essendo apparso su un’autorevolissima rivista storica, ben nota in Italia, sia alla storiografia contemporaneistica sia a quella delle relazioni internazionali. Perché Dipper non ha ritenuto di aprire il dibattito proprio in Italia? Non sarebbe stato, più corretto avviare il dibattito proprio nel Paese e proprio con studiosi con cui Dipper aveva lavorato fianco a fianco per molto tempo? Pubblicare invece una filippica anti-italiana in tedesco sicuramente desta perplessità. E lascia spazio a speculazioni sul motivo per cui Dipper abbia deciso di agire in tal guisa, e non in altro modo formalmente più corretto.
I giudizi di Dipper sono tagliati con l’accetta. Ma anche nella presunzione c’è geometrica precisione, e quindi una prima osservazione gli va rivolta. Su Dipper pende l’aggravante di saperne sicuramente molto meno di coloro i cui lavori è stato chiamato a giudicare. Non che ciò sia un reato, sia chiaro; ma la nettezza dei giudizi di Dipper ha svelato un’incauta onniscienza che, messa nero su bianco, ne ha rivelato l’incompetenza. Dipper accusa la storiografia italiana di provinciale senza ricordare di aver messo alla gogna, in veste di commissario, proprio quei lavori di spiccato taglio internazionale che hanno trovato ottima accoglienza nel mondo della ricerca anglosassone e…. persino Germania.
Lo ripetiamo a chiare lettere: è il sistema universitario italiano il primo imputato. Esso ha prodotto un effetto distorto della pur legittima esigenza di misurarsi con l’estero; scadendo talvolta in una pervasiva sudditanza culturale, in una sorta di “meaculpismo” acritico per cui noi italiani ci auto-fustighiamo a prescindere, sempre bisognosi di uno straniero che certifichi la nostra qualità in tutti i campi.
E qui giova forse aggiungere una riflessione. Gli altri sistemi universitari, per esempio quello tedesco (piuttosto regionale e localistico, ma questo solo pochi lo dicono) o quello anglosassone, consentirebbero mai a uno storico italiano non contemporaneista di esser parte giudicante in una commissione di concorso per un Ordinariato di Storia Contemporanea, esattamente nei termini in cui ciò è avvenuto per l’ASN? E se la risposta a questo interrogativo è “no, semplicemente no”, che motivo aveva il nostro sistema universitario (che, lo si ricordi, è un sistema di ricerca e di insegnamento nell’alta cultura e nell’alta formazione) di rendersi prono allo “straniero” per procedere al reclutamento delle giovani generazioni.
Molti storici, sia chiaro, sono in grado di parlare di Medioevo o di Guerre Mondiali indipendentemente dalla loro appartenenza di area. Il mio esempio corre a molti, moltissimi grandi maestri, guarda caso italiani (Romeo, De Felice, Saitta, Galasso, Cardini). Ovviamente ce ne sono anche di stranieri; ma a noi francamente non sembra che Dipper rientri in questa categoria. E’ un modernista; coltiva la Storia contemporanea, ma a che titolo e soprattutto con quali titoli? Eppure a Dipper è stato consentito di giudicare degnissimi colleghi da perfetto “étranger aux affaires”, senza neppure accertare la perfetta conoscenza della nostra lingua. Perché?
Ancora una volta, però, preme qui sottolineare che non è tanto la pur peregrina partecipazione degli stranieri all’ASN il vero problema. Il vero problema è che Dipper, uscito dall’ASN, si è messo a contestare lo stato degli studi storici contemporaneisti in Italia, e lo ha fatto partendo da basi debolissime. Le autorevoli repliche piovute sul suo incauto intervento stanno a dimostrarlo. Rimando agli scritti di Paolo Macry, Fulvio Cammarano, Vinzia Fiorino, Antonio Bonatesta e Andrea Claudi in risposta a Dipper.
In sintesi l’analisi, compiuta da Dipper con teutonica furia, è affetta da macroscopiche mancanze
Vi è poi una delicata situazione che riassumiamo per gli aspetti a noi noti e, per ciò che ci riguarda, di ardua decrittazione. Par di capire che, nell’avviare le procedure concorsuali, all’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca siano pervenuti i curricula di nove studiosi stranieri, candidatisi a partecipare al sorteggio del commissario straniero per Storia Contemporanea. L’Agenzia avrebbe trasmesso al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca solo cinque dei nove nomi pervenuti, dato che gli altri quattro non erano candidabili perché professori stranieri in quiescenza. Tra questi quattro nomi vi sarebbe stato anche quello di Christof Dipper. Se le cose sono andate in questo modo, è lecito allora domandarsi da dove e come mai sia riapparso il nome di Dipper: che cos’è successo esattamente nella fase finale del sorteggio di un professore straniero da aggregare commissari italiani.
Ora, certamente quello di Dipper è un attacco del tutto inconsistente, ma purtroppo è stato avvalorato dal luogo fisico in cui il saggio è apparso. Il periodico ospitante è una rivista come “Italia Contemporanea”, i cui meriti sono noti, ma che finanziata dalla Rete degli Istituti per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea è messa in grado di pubblicare grazie ai sussidi usciti dalle tasche del contribuente italiano. Nulla di male, ovviamente, che a “Italia Contemporanea” sia risparmiata la faticosa navigazione sul mare tempestoso del libero mercato culturale. Non può, però, non destare sorpresa che proprio questa rivista abbia pubblicato un tale intervento, in cui l’Italia, che per Dipper è “terra del malaffare e del familismo amorale”, finisce per apparire abitata da un “popolo di zingari”, per ripetere la frase del tristemente noto feldmaresciallo Albert Kesselring, pronunciata l’8 settembre 1943.
Il triste e tristo “affaire Dipper” è emerso solo ora, almeno per coloro che non ne sono state vittime. Ma c’è chi comprese, immediatamente, il pericolo di ospitare “consoli stranieri”, poco o nulla titolati, nei nostri processi di valutazione. Il mai troppo compianto storico e maestro Giuseppe Galasso, nel suo intervento del 6 dicembre 2012, scriveva:
Quel che si nota è che, salvo errore, nessuno dei nomi dei Commissari stranieri è di larga fama e perentoria autorità. Naturalmente, il discorso deve cambiare da disciplina a disciplina, e non pare che a ciò si sia fatta abbastanza attenzione. Siamo, si dice però, ad esempio, per le materie storiche, nella media ordinaria degli studi di cui ciascuno di quegli stranieri è specialista, media, certo, bene assicurata in Italia da numerosi nostri studiosi. Non c’è nessun Le Goff o Furet o Elliott o Hobsbawm o Wolfgang Mommsen, tanto per fare nomi di studiosi eminenti, viventi e non, degli ultimi decenni. Valeva la pena di mettere su un meccanismo così roboante per giungere a un livello alla portata ordinaria degli italiani che in Italia e fuori godono di una certa considerazione, per non parlare delle eccellenze, che certo anche qui vi sono? Per di più, qualcuno di questi «stranieri» è considerato tale, pur essendo italiano, perché incardinato in università estere. Basta questo, si chiede, per credere che si sia immuni dai deprecati malvezzi italici da evitare?
(Pubblicato il 28 luglio 2018 – © «Corriere della Sera» – La nostra storia)