di Corrado Stajano
«Un paradiso abitato da diavoli», disse di Napoli Benedetto Croce in una conferenza tenuta il 12 giugno 1923 (nel volume laterziano Uomini e cose della vecchia Italia, ripubblicato da Adelphi). Questo giudizio potrebbe fare da spina dorsale al libro di Antonino De Francesco, La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale (Feltrinelli, pp. 254, 20). Professore di Storia moderna alla Statale di Milano, De Francesco ha scritto un utile libro sugli stereotipi e sui luoghi comuni che da secoli hanno rappresentato un tormento per chi crede nell’ Italia unita e non ha prevenzioni razzistiche sugli uomini e sulle donne del Sud. Non pochi dei quali hanno contribuito nel tempo, coi loro comportamenti e le loro parole in libertà, al cliché del popolo meridionale, miserabile plebe senza pane che vive alla giornata, privilegiato per il sole che su quelle terre non tramonta, coi mandorli in fiore già in febbraio. Cominciarono alla fine del Settecento gli stranieri del Grand Tour a creare quel mito. Nel loro viaggio d’iniziazione quasi obbligata scrittori, letterati, artisti, esteti fecero la scoperta immaginifica di un mondo primitivo, l’Africa in Europa. I resoconti sono spesso intelligenti, da Goethe a Henry Swinburne a Norman Douglas a Edward Lear a tanti altri innamorati del costume e dell’antica civiltà, anche se, a far da protagonisti delle loro pagine, sono spesso, con le amate rovine, il pittoresco, il diverso, la gioiosa miseria. Purtroppo il Bel Paese di allora non esiste più, basta leggere i racconti usciti postumi di Vincenzo Consolo, La mia isola è Las Vegas, per capire il disastro che, soprattutto nella seconda metà del Novecento, ha distrutto nel Sud storia e cultura.
Il libro di De Francesco è una sorta di bibliografia ragionata di quel che fu scritto sul problema Nord-Sud dalla Rivoluzione napoletana del 1799 a oggi (viene in mente che, nella dolente polemica sul napoletano Istituto di studi filosofici dell’avvocato Gerardo Marotta, di grandi meriti culturali, ci si è dimenticati di Gennarino Serra di Cassano, il giovane patriota che fu decapitato dalla soldatesca sanfedista in piazza del Mercato. Dal 20 agosto di quell’anno un portone del Palazzo Serra di Cassano dove ha – aveva? – sede l’Istituto è rimasto chiuso in segno di lutto. Deve venir chiuso ora anche l’altro portone per il disinteresse da parte di chi dovrebbe preoccuparsi di quella miniera di saperi?). I temi del libro di De Francesco sono quelli di sempre, spesso irrisolti ancora oggi: il carattere di chi è nato nel Sud, inaffidabile, superstizioso, violento, passionale; il Sud sfruttato dal Nord e viceversa; l’inferiorità antropologica meridionale; la corruzione che devasta il Sud (sembra aver fatto scuola anche nelle capitali morali del Nord); la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, organizzazioni criminali che avrebbero dovuto e potuto essere eliminate dalla secolare repressione di polizia e magistratura, e sono invece fiorenti per gli avalli interessati e per le compromissioni di una certa classe dirigente politica.
Non esiste un solo Sud e De Francesco lo fa ben capire. Napoli e la Sicilia hanno storie e destini differenti. Vincenzo Cuoco e Pasquale Villari sono i patrioti intellettuali che nel saggio di De Francesco fanno da pilastri al sentire civile. Cuoco, sfuggito al patibolo nel 1799, esule, non nasconde l’esistenza del degrado sociale e civile di larga parte della gente meridionale, fa proprie le tesi di Montesquieu sul peso che ha il clima nella formazione del carattere del popolo del Sud, ma attribuisce la responsabilità della situazione di quelle regioni alle élite che seguono modelli stranieri anziché battersi per la costruzione di una cultura politica nazionale.
Villari, con le sue Lettere meridionali, uscite in volume nel 1885, giudica con assoluta libertà intellettuale le cause dell’arretratezza socio-economica del Sud, la corruzione, la violenza, il clientelismo e il malaffare della Destra, ma non risparmia il trasformismo e l’ambiguità della Sinistra al potere dopo le elezioni del 1876. Il libro mette in rilievo l’ardore di uomini come Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino e l’importanza della loro inchiesta La Sicilia. Colpiscono chi legge la dissennatezza e gli stereotipi di scrittori conosciuti come Renato Fucini, Matilde Serao, ma anche Cletto Arrighi e Luigi Capuana, l’amico di Verga, con le sue semplificazioni contro il verismo che sarebbe stato responsabile anch’esso del pregiudizio antimeridionale. Fanno rizzare i capelli in testa gli scritti di sconosciuti, Fanny Zampini-Salazaro, per esempio, una signora della buona borghesia napoletana. È persino ammirata dalla pratica dello sfregio, capace di restituire nella popolana che lo subisce l’intensità del sentimento dell’uomo che per incontenibile gelosia l’ha colpita. L’analisi dei giornali dell’epoca, i processi – il caso Nasi, il delitto dello scultore Cifariello che uccide la moglie per gelosia (assolto), il processo Cuocolo – danno il segno del tempo più di tante vuote elucubrazioni.
La palla al piede è ricco di informazioni e di analisi che permettono al lettore di giudicare da sé. Peccato che il presente sia trascurato, in un momento di razzismo montante come il nostro, di revival neoborbonico al Sud e di progetti secessionisti al Nord messi in moto dalla Lega che ha persino inventato una regione inesistente, la Padania. Il libro, minuzioso dai primi dell’Ottocento all’Unità al crispismo al giolittismo al laurismo al gattopardismo, è invece povero nel racconto dei decenni successivi. Il tema del fascismo al Sud è frettoloso, manca un accenno alla Resistenza al Nord e al parallelo continuismo del Sud ed è trascurato il mezzo secolo democristiano fino alla «discesa in campo» di Berlusconi. I romanzi e i saggi, oltre che di Consolo e di Sciascia, di Piero Bevilacqua, di David Lane, di Ermanno Rea, di Giorgio Ruffolo, di Giovanni Russo, di Vito Teti avrebbero potuto offrire qualche approfondimento utile per capire ancor meglio il problema in generale e l’oggi in particolare. Il pregiudizio antimeridionale, in questo tempo globale sconquassato e popolato di grandi migrazioni, è infatti più che mai attuale.
(Pubblicato in – © «Corriere della Sera» – 22 settembre 2012)