di Eugenio Di Rienzo
Poche leggende storiografiche sono così infondate come quella tessuta intorno al Pontefice Benedetto XIV (il bolognese Prospero Lorenzo Lambertini) da Alfredo Testoni, nel 1905, in un’opera teatrale di grande successo, interpretata da Ermete Zacconi per il cinema e da Gino Cervi per la televisione. In quella commedia, il Papa, destinato a reggere la Chiesa di Roma dal 1740 al 1758, appariva come un parroco bonario, indulgente, disposto a risolvere ogni questione con una battuta del suo grasso dialetto emiliano piuttosto che prenderla di petto. Un «Papa buono» ante lettera, quindi, che, secondo uno dei suoi contemporanei (l’abate napoletano Ferdinando Galiani) aveva adottato una particolare forma di governo: «l’arte di non fare». Secondo Galiani, Lambertini fu maestro insuperato nell’utilizzare «quella difficilissima scienza che permette di comprendere quanto si possa ricavare dalla naturale medicina del tempo e quanto, invece, sia rischioso anticipare il corso degli eventi con un’intempestiva decisione, seminando panico e spavento nella pubblica opinione».
Che Benedetto XIV sia stato, al contrario, un vigoroso pastore del suo gregge lo dimostra la bella biografia di Gaetano Greco (Salerno Editrice, pp. 409, € 24) che costituisce la prima opera scientifica dedicata a questo personaggio. Lambertini si trovò a guidare la navicella di Pietro in un’epoca difficile e tumultuosa quando gli Stati europei erano ormai decisi a limitare o a distruggere gli antichi privilegi del clero, quando il vento dell’Illuminismo spingeva le coscienze verso l’approdo dello scetticismo, dell’incredulità, dell’ateismo, quando, infine, la proiezione della Chiesa verso l’Asia e le Americhe obbligò questa istituzione a fare i conti con la prima globalizzazione culturale che avrebbe investito il Vecchio Continente. A tutte queste sfide Benedetto XIV rispose sempre con decisione, miscelando fermezza e duttilità, disponibilità e rigore. Veri e propri capolavori diplomatici furono la serie dei Concordati, stipulati con Spagna, Portogallo, Prussia, Austria, Principati italiani. Grazie a essi il Pontefice riuscì a preservare l’autonomia della Chiesa e, allo stesso tempo, ad accogliere le rivendicazioni dei sovrani nell’ambito del diritto civile e penale come in quello economico e finanziario, in modo da non ostacolare il crescente rafforzamento del potere civile. Notevole fu poi la sua apertura verso le esigenze del mondo laico al quale era concessa la possibilità di contrarre «matrimoni misti», tra coniugi di diversa confessione, e verso lo stesso clero con l’approvazione di forme di vita religiose femminili, alternative al tradizionale monachesimo.
Figlio della sua epoca, Benedetto XIV fu contemporaneamente un «despota illuminato» e un monarca assoluto, disposto a combattere le antiche superstizioni (l’esistenza dei vampiri, la «caccia alle streghe») ma anche determinato a porre un limite invalicabile tra ortodossia e tentazione di arrivare a un rischioso accomodamento con il nuovo spirito dei tempi. Due esempi, in particolare, ci restituiscono, a tutto tondo, la personalità di questo Papa riformista e conservatore. La questione dei cosiddetti «Riti cinesi», dove Lambertini contrastò duramente il tentativo dei missionari gesuiti, installatisi nell’antico Regno di Mezzo, di utilizzare parole e cerimoniali cristiani per assimilare credenze e pratiche di culto delle culture indigene, confondendo, ad esempio, la venerazione degli antenati con il culto dei santi. Il problema ebraico, infine. In questo caso, Benedetto XIV, combatté la vecchia polemica cristiana contro i figli di Abramo, denunciando come mistificazioni le accuse più infamanti che lo riguardavano, ma non rinunciò, certo, a una politica d’intransigente discriminazione e persecuzione nei suoi confronti, sanzionando il diritto della Chiesa cattolica di rapire i bambini israeliti per ricondurli alla «vera fede» attraverso la pratica dei «battesimi forzati».
(Pubblicato il 15 luglio 2011 – © «il Giornale»)