di Bruno Figliuolo
Il 7 agosto è scomparso Mario Del Treppo, uno dei maggiori medievisti della seconda metà del Novecento. Era nato a Pola il 29 marzo del 1929. Trasferitosi a Napoli nel 1946, vi si laureò nel 1953, discutendo con Ernesto Pontieri una tesi sull’abbazia molisana di S. Vincenzo al Volturno in età longobarda. Fu poi per un biennio borsista presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli, diretto allora da Federico Chabod, dove gli fu offerta l’opportunità di recarsi per alcuni mesi a Barcellona, a studiare il movimento commerciale di quel porto e l’economia catalana del Quattrocento. E Chabod, oltre a Gioacchino Volpe, Federigo Melis, Fernand Braudel e Cinzio Violante, fu in effetti da lui sempre indicato tra i propri maestri.
A Napoli, salvo un triennio trascorso presso l’Università di Roma “Tor Vergata” (1981-1984), si svolse tutta la sua carriera accademica, dalla nomina ad assistente ordinario (giunta nel 1953), all’ottenimento della cattedra di professore ordinario (1968), fino alla messa in quiescenza (2004). Fu membro dell’Accademia Napoletana di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia Pontaniana, dell’Academia de Buenas Letras di Barcellona e dell’Accademia dei Lincei. Uomo di grande probità e di solide doti morali, dedicò tutta la propria vita all’insegnamento e alla ricerca, specie d’archivio, guadagnandosi la stima generale e incondizionata di colleghi, studenti e allievi.
La sua disponibilità al dialogo era quasi assoluta. Egli arrivava sempre prestissimo in Ateneo, nei giorni in cui aveva lezione o altri impegni, e sempre se ne allontanava solo dopo molte ore e dopo aver parlato a lungo e senza risparmiarsi, de quolibet e con passione, con allievi, colleghi, studenti; con chiunque, insomma, palesasse il desiderio di interloquire con lui o anche solo di ascoltarlo. C’era sempre un gruppo di fedeli adepti (non saprei trovare termine migliore) ad attenderlo fino alla fine e ad accompagnarlo poi nel lungo viaggio di ritorno verso casa. Egli amava infatti passeggiare per Napoli, e siccome risiedeva piuttosto lontano dal centro, studiò negli anni vari itinerari che gli consentissero di coniugare il piacere di camminare per qualche chilometro tra le bellezze cittadine con la necessità, a un certo punto, di prendere un mezzo di trasporto pubblico per superare l’ultimo tratto del tragitto e ascendere alla meta. Era accompagnato, in questo peregrinare, dai suoi più affezionati, la severa attenzione verso i quali gli permise di formare una tra le due o tre più apprezzate ‘scuole’ italiane.
Impegno, lavoro, severità di giudizio erano categorie che Mario Del Treppo applicava d’altronde anzitutto e senza sconti nei confronti di sé stesso. Mai, nemmeno per un attimo, egli, spinto magari dalla vanità, ha indugiato verso la facile notorietà. Nel 1977 un suo saggio, La libertà della memoria, suscitò una certa eco nazionale, tanto che un settimanale di grande prestigio e di notevole tiratura, “L’Espresso”, volle dedicare un articolo al suo autore. Ebbene, Del Treppo nella circostanza rifiutò di farsi intervistare e finanche di fornire a quel periodico una propria foto. Del saggio, nella circostanza, scrisse qualche parola Galasso e una sua foto, di molti anni precedente, spuntò dall’archivio di Nello Ajello, direttore di quel medesimo periodico, il quale aveva conosciuto Del Treppo in anni giovanili.
Egli, coerentemente con il dettato del proprio magistero e in ottemperanza alla deontologia professionale, passava lunghe giornate in archivio. Trascorreva poi mesi, dalla mattina alla sera inoltrata, senza quasi alzarsi dalla scrivania, a esaminare tale materiale, contando i dati e ripercorrendo le somme al centesimo, nella consapevolezza che qualsiasi affermazione si faccia vada resa in forma quantitativa e percentualizzata, e soprattutto che una sintesi interpretativa debba basarsi su tutta la documentazione disponibile.
Nel 1955 egli stampò il primo lavoro significativo, tratto dalla tesi di laurea. Si trattava della parte in cui si occupava della struttura sociale, economica e insediativa dell’area del Volturno, e nella quale largo spazio era dedicato a un fenomeno nuovo, l’incastellamento, che proprio lui aveva individuato terminologicamente e concettualmente, interpretandolo come il principale frutto e la chiave del grande cambiamento che si era verificato in gran parte dell’area tra inizi X e fine XI secolo.
Seguì la lunga stagione degli studi sull’economia catalana, tema che richiedeva ovviamente una preparazione tecnica non comune; ciò che lo spinse a entrare in contatto e a frequentare Federigo Melis, dal quale ricavò quella capacità di comprendere le fonti contabili e ragionieristiche che avrebbero poi in buona parte sostanziato molti suoi lavori, soprattutto il più maturo: il poderoso volume sui mercanti catalani nel Quattrocento (1972). L’opera fu presto tradotta in catalano (nel 1976, dopo la morte di Francisco Franco) ed ebbe una straordinaria influenza su quella rinascente storiografia.
Subito dopo, egli si gettò a capofitto nell’analisi delle strutture, delle vicende e delle congiunture del Mezzogiorno. E alla storia del Mezzogiorno e di Napoli lungo l’intero arco della sua vicenda almeno medievale, Del Treppo ha in fondo dedicato tutta la sua vita scientifica, in consapevole controtendenza rispetto ai filoni storiografici più in voga e più generalmente remunerativi dell’epoca, almeno sul piano concorsuale e su quello della fama. Vi si dedicò anche negli anni in cui si occupò di cose catalane, perché ebbe sempre ben chiaro che il punto più alto della parabola di Barcellona coincise con il regno del Magnanimo e con il suo incontro con Napoli: un incontro che sarebbe riduttivo definire conquista, perché il re iberico si rese ben conto che la capitale del suo impero mediterraneo non avrebbe potuto essere che Napoli.
Un tale gigantesco sforzo interpretativo fu possibile perché assai presto egli era riuscito a vedere e ad afferrare il filo che univa tutti questi temi: il capitalismo moderno, che costituiva una sorta di rete che, a partire dal Mediterraneo, collegava a un livello superiore tutti gli spazi, tutte le economie e tutte le società del mondo conosciuto.
Il primo frutto concreto della sua attenzione al Mezzogiorno fu Amalfi medievale (1977), un libro che affronta tutti gli aspetti della vita cittadina. Quello stesso anno furono pubblicati due dei suoi più importanti saggi metodologici e programmatici: il primo è La libertà della memoria, nel quale si rivendica la libera responsabilità interpretativa dello storico ma soprattutto si discutono, con piglio e grande competenza filosofica, i capisaldi teorici dello strutturalismo in rapporto allo storicismo; il secondo è Medioevo e Mezzogiorno, contributo nel quale egli ripensò tutta la storiografia sulla monarchia meridionale, additando il percorso a suo avviso da seguire e i temi più originali da approfondire per impostare in maniera maggiormente corretta l’analisi della storia del sud della Penisola e spiegarne la vicenda evolutiva.
Nei venti o trent’anni successivi Del Treppo sviluppò pienamente i temi di storia meridionale, anzitutto illustrando in due lunghi e densissimi saggi le strutture dell’economia della regione, le cui radici affondavano nel complesso mondo mediterraneo; mostrandone altresì il rapporto strettissimo con l’economia e gli uomini d’affari fiorentini; e portando infine a maturazione due lavori relativi alla politica economica mediterranea di Federico II di Svevia, il cui studio gli appariva indispensabile nell’ottica di un’analisi di lungo periodo sulle strutture istituzionali ed economiche della monarchia meridionale, e alcuni altri inerenti a particolari aspetti dell’economia del Mezzogiorno in età alfonsina, questi ultimi sfociati in una pregevolissima sintesi di riflessione sulla complessiva esperienza del regno aragonese, datata 1986.
Alla luce di quanto egli ha scritto e dei numerosi lavori inediti che ha lasciato a un passo dalla conclusione, l’affermazione che ho fatto in principio circa la posizione centrale che Mario Del Treppo occupa nel pantheon della nostra medievistica mi pare ancora riduttiva. Chi altri può vantare la conoscenza di una varietà di temi così ampia? Del Treppo ha scritto in maniera ineccepibile di storia della storiografia, della cultura, dell’insediamento, dell’agricoltura, delle istituzioni, dell’economia, della città, finanche di storia dell’arte e di altro ancora. Chi altri ha indagato altrettanto a fondo l’intero arco cronologico del Medioevo e oltre? Dai Longobardi agli Svevi agli Angioini agli Aragonesi, non c’è secolo o dominazione cui egli non abbia dedicato contributi originali. Chi altri, infine, può presentare studi di altissima qualità che spazino su di un orizzonte geografico altrettanto ampio? Aragona-Catalogna, Mezzogiorno, Sicilia, Mediterraneo tutto, Firenze: a queste aree Mario Del Treppo ha dedicato approfonditi studi sostanziati da robuste ricerche d’archivio.
(Pubblicato il 13 settembre 2024 © «Corriere della Sera» – La nostra storia)