di Elio Varutti
C’è una gran lapide sul Colle di S. Giusto a Trieste. È grande perché contiene i nomi di 64 morti nella strage di Vergarolla, a Pola, in Istria, avvenuta il 18 agosto 1946. Un terzo di quei nomi sono bambini. Sessantaquattro è il numero delle vittime accertate; qualcuno è stato letteralmente polverizzato. Erano tutti italiani. Ma cosa successe? Perché, oggi, si sa poco di quel tremendo attentato? Chi lo progettò? Fu solo una fatale disgrazia?
L’eccidio venne scordato dalla storia a causa della guerra fredda. Non si doveva dar fastidio a Tito e alle sue truppe vittoriose contro il nazifascismo. Non si intende negare il ruolo della resistenza iugoslava, tuttavia, vi sono delle ombre disumane che, dalla caduta del Muro di Berlino, si chiariscono sempre di più, come le eliminazioni degli italiani nelle foibe e come la strage di Vergarolla.
Recentemente l’opinione pubblica ha sentito il nome di quell’amena spiaggia di Pola, com’è Vergarolla, appunto, nelle decine di repliche dello spettacolo sull’esodo giuliano dalmata intitolato Magazzino 18, di Simone Cristicchi, che sta girando ancora in Italia, Croazia, Slovenia, Canada e Usa.
Era il 18 agosto 1946. La guerra era finita da più di un anno ormai. Pola era un’enclave italiana amministrata dagli alleati, mentre gran parte dell’Istria era stata occupata dalle forze militari titine. Anche Trieste stava per diventare il Territorio Libero di Trieste, amministrato dagli alleati, fino al 1954. Sulla spiaggia di Vergarolla, affollata di bagnanti, famigliole e bimbi, c’era chi assisteva alle gare di nuoto della coppa Scarioni. Pochi polesani si preoccupavano delle numerose mine e delle bombe disinnescate ammucchiate lì vicino. Era un deposito d’esplosivi a cielo aperto. Qualcuno andò ad innescarne una, oppure piazzò una bomba, per fare saltare “per simpatia” tutto il resto, come direbbe un artificiere.
Lo si è scoperto nel 2008, quando furono aperti gli archivi inglesi, come riporta Il Gazzettino del 18 agosto 2014. La responsabilità del misfatto è da attribuirsi all’Ozna, la polizia segreta di Tito, ma tale conclusione è stata contestata da parte slava. «Tra la paura delle foibe e la strage di Vergarolla – dicono gli esuli riparati in Italia – da Pola se ne andò il 90 per cento degli abitanti».
In questi giorni la strage è stata ricordata in una mesta e partecipata cerimonia a Trieste, proprio il 18 agosto 2014, con la relazione ufficiale del generale Riccardo Basile, presidente della Famiglia Polesana, oltre ad altre associazioni di esuli e combattentistiche d’arma e a Antonella Grim, assessore comunale di Trieste, figlia di esuli pure lei.
Anche a Pola c’è un cippo per ricordare le vittime del vile attentato. Quest’anno, oltre all’onorevole Gian Luigi Gigli, deputato del gruppo Per l’Italia, ha presenziato alla cerimonia per il 68mo anniversario della strage anche Franco Iacop, presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. Lo slogan più ascoltato è stato quello di “superare gli antichi odi e costruire una nuova Europa”. Chissà se avrà buon esito l’interrogazione di alcuni deputati di Pd e 5stelle, depositata lo scorso giugno, che domanda l’istituzione di una commissione di storici per indagare sulla strage?
Mi permetto di fare alcune precisazioni e di accennare a qualche lettura di approfondimento per chi fosse interessato.
Il numero dei caduti nella strage di Vergarolla oscilla, secondo le fonti storiche, tra gli 80 e i 100 individui. Il numero totale delle vittime identificate e segnate nella lapide in Colle di San Giusto risale a 64 persone. Circa 200 furono i feriti. Nella bara di Renzo Micheletti, di sei anni – come ha scritto Simone Cristicchi, a pag. 42 del suo Magazzino 18 – riposano solo giocattoli.
In Parlamento, a Roma, diversi rappresentanti dei partiti si sono interessati alla questione di Vergarolla, sin dalla fine del 2013.
Le fotografie del mio articolo pubblicato nel web si riferiscono al 2011, anno dell’inaugurazione del monumento sul Colle di S. Giusto a Trieste. Nel 2014 hanno partecipato alla cerimonia di ricordo del 18 agosto oltre 250 persone, con vari labari di associazioni di esuli giuliani e dalmati e di associazioni combattentistiche d’arma. In prima fila c’erano il gonfalone del Comune di Trieste e quello della Famiglia Polesana.
A Udine ho intervistato sull’esodo istriano, nei giorni 11 maggio 2004 e 10 febbraio 2008, la signora Maria Millia, vedova Meneghini (Rovigno 1920 – Udine 2009). Era figlia di Anna Sciolis, e di Domenico Millia, detto Mimi, che faceva il fabbro a Rovigno. Durante i colloqui, mi ripeteva più volte, con gli occhi gonfi di dolore: “Perché i gà fato sciopar tuta quela roba a Vergarola, quei cativi?”. Un’altra fonte orale sul caso è: Rosalba Meneghini Capoluongo, Udine 1951; intervista del 3 dicembre 2011.
Maria e i suoi familiari sono venuti via nel 1947, in seguito al terrore generatosi tra gli italiani dell’Istria dopo l’attentato di Vergarolla, appunto, e per la paura delle foibe. Da tanti fuoriusciti che arrivavano nel capoluogo friulano in quel frangente, non furono nemmeno accolti al Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano, attivo dal 1947 al 1960. Non c’era più posto. Quando era pieno, conteneva oltre 2000 esuli. Mimi, il fabbro di Rovigno e Anna, sua moglie, allora dovettero adattarsi, con altri profughi istriani, a dormire per qualche giorno nella cripta del Tempio Ossario di Udine. Il “materasso” era il pavimento della chiesa, senza neanche quel po’ di paglia che davano almeno nelle baracche del Centro Raccolta Profughi di Laterina, in provincia di Arezzo. Maria Millia non voleva ritornare in Istria e parlava poco della sua esperienza dell’esodo, per paura. Nel 1993 accettò di rivedere l’Istria, ma col broncio.
Riguardo alle fonti bibliografiche sull’esodo giuliano dalmata i miei riferimenti principali sono nelle opere recenti di Fulvio Salimbeni, Raoul Pupo, Gianni Oliva, Roberto Spazzali, Franco Cecotti, Annalisa Vukusa, Guido Rumici, Oddone Talpo, Sergio Brcic, Jan Bernas e Simone Cristicchi, il quale nonostante non sia uno storico, ma un cantautore, dedica ben sei pagine alla strage di Vergarolla nel suo libro (da pag. 41 a pag. 46, oltre alle pagg. 7 e 95), pur riprendendo brani da Jan Bernas. Vedi ad esempio:
Collezione Maria Millia Meneghini, Udine, fotografie.
Sono stati utilizzati vari siti istituzionali per l’articolo. Molto utili a questo elaborato nel suo complesso sono stati i seguenti siti:
(Pubblicato il 3 giugno 2016 © «Arcipelago Adriatico» – Interventi)