di Gigi Di Fiore
Fu Londra a subire i maggiori danni commerciali dalla «questione napoletana
Chi subì più danni commerciali subito dopo l’unità d’Italia? Il Sud, il Nord? No, fu l’Inghilterra, nel 1862 maggiore potenza economica del mondo, che aveva riconosciuto per prima il regno di Vittorio Emanuele II. Le esportazioni inglesi nelle regioni delle ex Due Sicilie scesero da 2.071.521 lire sterline a 1.321.329. Fu l’immediato effetto della scomparsa della Nazione napoletana, come spiega il saggio L’Europa e la «questione napoletana» 1861-1870 (pp. 158, € 12,00) di Eugenio Di Rienzo, ordinario di Storia moderna alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma la Sapienza, pubblicato dalla D’Amico editore, giovane casa editrice di Nocera Superiore.
Il libro unisce all’analisi di Di Rienzo la ristampa anastatica del discorso che lord Henry Lennox tenne durante il dibattito dell’8 maggio del 1863 alla Camera dei Comuni di Londra. Quel dibattito fu un bilancio di parte inglese sui primi due anni di unificazione italiana. Lord Lennox aveva visitato 6 carceri meridionali (Santa Maria Apparente, Concordia, Santa Maria Agnone carcere femminile, Vicaria, Nisida, Salerno), su autorizzazione del generale-prefetto di Napoli, Alfonso La Marmora. Ne fece una radiografia disincantata, nonostante si definisse «ardente sostenitore di Vittorio Emanuele II». Nel saggio introduttivo, Di Rienzo fa il punto sulle principali questioni che l’Italia si trovò ad affrontare dopo l’annessione della ex Nazione napoletana: la guerra civile del brigantaggio, il ruolo di mafia e camorra nell’unificazione, la situazione finanziaria e produttiva, il patriottismo dei meridionali rimasti legati alle Due Sicilie. Scrive Di Rienzo: «Se non c’era una Borbonia felix, certamente non esisteva nessun Piemonte, nessuna Liguria, nessuna Lombardia, nessuna Toscana felix, per non parlare della situazione di arretratezza economica e di degrado sociale della pianura veneta, dei territori alpini, dell’Appennino emiliano e romagnolo, dell’Agro pontino equiparabili a quella delle province più povere delle Due Sicilie».
Ma gran parte dell’originalità di questo lavoro fresco di stampa è la poco esplorata prospettiva del confronto che nacque nel Parlamento inglese sul neonato regno d’Italia. Nel dibattito dell’8 maggio 1863 alla Camera dei Comuni, si fecero i conti con le perdite economiche legate all’impoverimento immediato del Sud Italia, causato dall’alta tassazione, dalla confusione amministrativa, dalla guerra civile in corso. Il Mezzogiorno era diventato, di colpo, pessimo mercato per i beni prodotti in Inghilterra. I deputati si divisero sulle restrizioni delle libertà, di stampa e personale, esistenti in Italia. Lord Lennox denunciò la censura preventiva (27 giornali sequestrati solo a Napoli) e le migliaia di sospettati politici finiti in galera rimasti per mesi in condizioni disumane senza processo. Tre donne, le sorelle Francesca, Carolina e Raffaella Avitabile, rimasero in carcere 22 mesi accusate di aver fatto sventolare una bandiera borbonica alla finestra. Era invece un lenzuolo bianco che avevano lavato e messo ad asciugare. Alla Vicaria, dovevano esserci 600 prigionieri, invece ne erano rinchiusi 1200. Nel suo discorso, chiedeva lord Lennox: «Dov’è finito lord Gladstone, che accusava il sistema di prigioni borbonico come negazione di Dio? Quando visitai le carceri, il signor Gladstone era così bene conosciuto dai detenuti che pensarono che un inglese del 1862 potesse fare lo stesso che un inglese nel 1851». Invece i tempi erano cambiati, come spiega Di Rienzo, come gli interessi politico-diplomatici inglesi.
Scrive Di Rienzo: «La questione napoletana divenne, tra il 1861 e il 1870, argomento che travalicò i confini d’Italia, imponendosi all’attenzione dei governi, dei parlamenti e dell’opinione pubblica dei maggiori Stati europei». Una «particolare attenzione» di cui si occupa il libro, nuova fonte preziosa sull’annessione all’Italia della ex Nazione napoletana.
(Pubblicato il 18 dicembre 2016 – © «il Mattino»)