di Lorenzo Terzi
Un saggio sulla storia del Mezzogiorno contro l’oblio della storiografia ufficiale e gli apprendisti stregoni dell’analisi del passato
Eugenio Di Rienzo, ordinario di Storia moderna presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”, nonché direttore della «Nuova Rivista Storica», ha indirizzato, in anni recenti, i suoi interessi di ricerca verso il problema del rapporto fra diplomazia e opinione pubblica d’Europa e il Regno delle Due Sicilie nel momento della crisi e del crollo. Del 2012 è la monografia Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee, edita per i tipi di Rubbettino. Ora Di Rienzo è tornato sul tema con il saggio L’Europa e la «questione napoletana». 1861-1870, pubblicata da D’Amico Editore di Nocera Superiore nell’ambito della collana Alètheia.
Il lavoro dello storico romano è premesso, nel volume in esame, alla ristampa del discorso tenuto alla Camera dei Comuni di Londra l’8 maggio 1863 da lord Henry George Charles Gordon Lennox, parlamentare inglese vicino al leader del partito conservatore Benjamin Disraeli. In quella sessione lord Lennox, che pure nel passato aveva dimostrato viva simpatia per la politica piemontese e per le aspirazioni unitarie, denunciò “che l’avvento di un regime illiberale e inumano era stato il solo guadagno che l’Inghilterra aveva procurato alle popolazioni meridionali, favorendo la sostituzione del «despotism of a Bourbon» con lo «pseudo-liberalism of a Victor Emmanuel»”. In altre parole, secondo il nobile inglese, se non era possibile negare che ciò che veniva chiamata “Italia unita” doveva la sua esistenza alla protezione e all’aiuto morale della Gran Bretagna piuttosto che a Garibaldi o alle vittorie delle armi francesi, “non era, d’altra parte, ammissibile contestare che, in questo modo, il Regno Unito aveva prostituito la sua politica estera appoggiando un’aggressione illegittima che aveva portato all’instaurazione di un vero e proprio «Reign of Terror»”.
A riprova di tale assunto, Lennox citava l’ondata di epurazioni indiscriminate contro il personale amministrativo borbonico di ogni ordine e grado e, soprattutto, il brutale metodo repressivo attuato mediante il ricorso sistematico all’arresto arbitrario dall’Abruzzo alla Campania, alla Basilicata, alla Puglia. La requisitoria del lord inglese si fondava sulla solida base della sua testimonianza oculare: di recente, infatti, Lennox aveva soggiornato nell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie e, con l’espressa autorizzazione di La Marmora, aveva visitato le carceri di Napoli, della sua provincia e di Salerno, incontrandovi diversi capi della resistenza borbonica, ma anche moltissimi popolani palesemente estranei agli addebiti loro contestati, tutti incarcerati su semplice sospetto, in condizioni bestiali di sovraffollamento, assieme a rei convinti per motivi politici e a delinquenti comuni.
Con il suo atto di accusa, il parlamentare britannico stigmatizzava l’incoerenza e l’uso di due pesi e due misure da parte dello stesso Cancelliere dello Scacchiere, Gladstone, che a suo tempo aveva definito il regno di Ferdinando II “negazione di Dio” proprio in seguito a una sua ispezione nelle prigioni borboniche. La lettura del testo di lord Lennox costituisce senza dubbio un’eccellente opportunità per ripercorrere il dibattito politico che vide scontrarsi opinioni differenti, sovente opposte, sul problema dell’unificazione italiana presso le istituzioni parlamentari del Regno Unito, ovvero della nazione che pure, più di ogni altra, intervenne attivamente a favorire il processo risorgimentale.
Tuttavia la parte più preziosa del volume pubblicato da D’Amico Editore è senz’altro rappresentata dal citato saggio di Di Rienzo. Lo storico, infatti, non si limita a illustrare le circostanze relative all’intervento di Lennox, ma pone con nettezza e senza pregiudizi di sorta il problema storiografico della “nazione napoletana” e della sua persistenza in epoca postunitaria, come sentimento e aspirazione all’autonomia dei territori un tempo compresi sotto la denominazione “Due Sicilie”, inserendosi autorevolmente nel filone di altre recenti e pregevoli opere di storici professionisti e di seri ricercatori quali Aurelio Musi e Gigi Di Fiore. L’apparato critico dello studio di Di Rienzo può inoltre vantare una ricchissima bibliografia: esso fornisce, pertanto, uno strumento di primaria importanza per eventuali successivi approfondimenti sugli argomenti trattati dall’autore.
La lettura delle pagine dello storico della “Sapienza” non può non indurre, perciò, ad amare riflessioni circa le occasioni perdute dalla storiografia, soprattutto del Sud, che troppo spesso – per un malinteso senso di opportunità – ha omesso di fare i conti “con l’allargamento del processo unitario al Mezzogiorno e con l’opposizione (armata e intellettuale) che una parte considerevole delle popolazioni meridionali aveva opposto tra 1860 e 1870 a quel processo”, come rileva lo stesso Di Rienzo in apertura del libro.
Non solo: l’aver evitato di parlare di quella opposizione – o l’aver trattato di essa in maniera frettolosa, quale fenomeno marginale e contiguo alla delinquenza comune – ha prodotto la problematica conseguenza del pullulare di studi parziali e “alternativi”. Alcuni di essi posseggono indubbiamente notevole valore informativo e autentico rigore scientifico, come le opere del ricercatore irpino Edoardo Spagnuolo, giustamente ricordate e apprezzate da Di Rienzo. Per contro, purtroppo, si è concessa l’occasione di attribuirsi patenti di “storico” a una pletora di epifenomeni, pretenziosi avventurieri della ricerca, i quali hanno avuto buon gioco nel porsi come eroi della “verità storica”, laddove di eroico vi sono solo gli sforzi di costoro nel combattere pervicacemente contro la grammatica e la sintassi, per non parlare della metodologia storica e archivistica.
(Pubblicato il 15 gennaio 2017 – © «Ulisse online»)