di Alessandro Rico
«Offensiva in tutte le direzioni». È la nuova direttiva di Mosca, dopo che, sempre secondo la versione del Cremlino, l’attacco all’Ucraina era stato rallentato, vista la «disponibilità ai negoziati» di Kiev. Siamo alla soluzione finale? Di certo, queste sono le ore decisive della guerra.
Anche gli Americani sembrano convinti che i russi prenderanno presto la capitale, tanto che hanno offerto al presidente, Volodymyr Zelensky, una via di fuga. Per Vladimir Putin, il fattore tempo è dirimente. Se non si sbriga a chiudere la partita, finisce impantanato.
Qualcuno, alludendo all’apparente fermezza della resistenza ucraina, inizia a evocare un rischio Vietnam per lo Zar. O, per rimanere alla storia russa, un secondo Afghanistan. Come stanno davvero le cose? La Russia sta per sferrare la zampata definitiva? Oppure sul campo sta succedendo qualcosa di inatteso? Le forze ucraine stanno tenendo botta?
E con l’invio di armamenti da Occidente, il Blitzkrieg si trasformerà in una devastante guerra di logoramento? Germano Dottori, docente di studi strategici alla Luiss, conferma: «Questa operazione è sostenibile solo se dura poco e non ha alti costi». A quanto tempo corrisponda quel «poco», non è facile stabilirlo: parliamo di giorni, se non di ore. Per interpretare gli eventi, abbiamo in mano pochi dati di fatto.
Primo: finora, l’avanzata degli invasori non è stata fulminante. Secondo: i sistemi d’arma utilizzati dai russi, o almeno quelli che è stato possibile riconoscere nei rari video diffusi in Rete, sono piuttosto datati. In qualche caso – gli elicotteri – si tratta di veri e propri residuati sovietici. Esemplari risalenti ormai a un paio di generazioni fa. Non sono stati schierati i T14 Armata, i tank più all’avanguardia; e non sono state impiegate le divisioni d’élite dell’esercito.
Per quale motivo? Un’ipotesi è che Mosca, ben lungi dalle vette tecnologiche raggiunte dalla Nato, non disponga di molto meglio. I suoi pezzi più blasonati fanno parte del comparto missilistico e aerospaziale.
Al contrario, anche per via dell’interruzione degli approvvigionamenti metallurgici e motoristici dall’Ucraina, dei temibili carri armati di ultima generazione, in otto anni, sono stati realizzati soltanto 100 pezzi.
Un’altra ipotesi, come osserva lo storico Eugenio Di Rienzo, è che Putin abbia puntato su «una guerra “morbida”, se mai sia possibile definire tale una guerra». Il Cremlino starebbe evitando un assalto totale, «per provocare il minor numero possibile di morti», sperando di poter intavolare delle trattative con i militari ucraini. Ai quali, effettivamente, il presidente della Federazione ha fatto appello venerdì. «Trovo significativo che sia circolata la notizia, magari in sé una bufala, che Zelensky fosse nascosto in un bunker, difeso non dalle truppe, bensì dalle milizie di estrema destra di Pravj Sektor. È come dire: si è aperta una breccia nell’esercito regolare».
Anche Vito Comencini, deputato leghista e grande conoscitore del Donbass, riferisce di «diversi soldati ucraini passati dalla parte dei russi». E sottolinea che l’attacco di Mosca non è stato condotto in forze: «Non è vero che ci sono 100.000 uomini sul territorio e i russi si sono sforzati di colpire in modo chirurgico, concentrandosi su obiettivi militari e strategici». Ieri, per la verità, la giornata si era aperta con la notizia di un palazzo a Kiev semidistrutto da un missile di Putin. Mosca, invece, ha smentito: tutta colpa di un proiettile antiaereo ucraino. È arduo distinguere la verità dalla propaganda.
Quanto all’eroica resistenza della capitale, l’occidente rilancia, comprensibilmente, la versione incoraggiante di Kiev. Altri osservatori descrivono, al contrario, un Paese in rotta. Secondo Comencini, armare i civili è infatti un segno di disperazione, senza contare che così li si espone a un massacro.
Un sacrificio per la patria? Oppure qualcuno sta predisponendo degli scudi umani? Non è chiaro, comunque, perché la Russia dovrebbe dosare l’intensità dell’aggressione, se è in grado di rovesciare in un batter d’occhio Zelensky. Spera di salvare l’ultimo brandello di reputazione internazionale, per potersi, un domani, risedere al tavolo con Usa ed Europa?
«Di questo, a Putin, non importa nulla», assicura Dottori. «Il punto è che ai russi, che si spari sugli ucraini, non è affatto gradito. La metà delle famiglie russe ha parenti in Ucraina. Io sono sposato con una lettone di etnia russa e posso assicurarle che, sulle chat dei russi in Italia, si legge di tutto e di più contro la guerra».
In effetti, pure dentro la classe dirigente si erano aperte delle crepe sul conflitto: lo zar ha dovuto vincere le resistenze dell’intelligence e persino del suo ministro, Sergej Lavrov. «La Difesa russa», nota Dottori, «a differenza delle autorità di Kiev, non comunica i numeri delle perdite umane inflitte: si limita a trasmettere i dati sui bersagli colpiti e le infrastrutture eliminate, ma tace sulle persone che vengono uccise. Non è un caso». Putin, insomma, ha ben presente che al successo della campagna bellica è legata pure la tenuta della sua leadership.
Così, ribadisce il professor Di Rienzo, «Più dura lo stillicidio, più per la Russia la situazione diventa difficile. Ed è destinata a rimanere tale. L’Orso russo può annientare il nemico e installare un governo fantoccio. E poi? L’Ucraina è uno Stato di 40 milioni d’abitanti; è più grande della Francia; ha meno collegamenti; come la controlli, considerato anche che i Paesi Nato si muoverebbero, anzi si sono già mossi, per attivare focolai di rivolta? Non è difficile ipotizzare, infatti, che da tempo esista in Ucraina un’organizzazione Stay Behind, creata, finanziata, rifornita di armamenti di ultima generazione da Usa, Regno Unito, Polonia. Una «Gladio» certo più efficiente di quella costituta in Italia negli anni della Guerra Fredda affiancata da addestratori provenienti da queste Nazioni e da formazioni di Foreign Fighters, d’estrazione neo-nazista, reclutati in Svezia, Norvegia, e da elementi russofobi provenienti dalle Repubbliche baltiche. Quand’anche si scongiurasse un nuovo Vietnam, ci sarebbe sempre lo spettro di un nuovo Afghanistan e a parti capovolte di un nuovo Iraq»
(Pubblicato il 27 febbraio 2022 © «La Verità»)