di Andrea Giuseppe Cerra
Cento anni fa, l’11 ottobre 1924, nacque a Giarre, in Sicilia, Rosario Romeo, uno dei maggiori esponenti della storiografia italiana del Novecento e in particolare uno dei grandi storici del Risorgimento. La sua città natale ha ritenuto doveroso rendere omaggio all’insigne cittadino invitando l’allievo e biografo del maestro, Guido Pescosolido, professore emerito presso la Sapienza Università di Roma, a tenere una lectio magistralis. Il titolo dell’intervento riassume il lungo magistero: “Rosario Romeo nel centenario della nascita: uno storico liberaldemocratico tra Volpe Croce e Marx da Giarre a Strasburgo”.
Romeo si laureò nel 1947 in Scienze Politiche all’Università di Catania con una tesi sulle “Origini del Risorgimento in Sicilia”. La ricerca avviata con la tesi di laurea fu perfezionata all’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, fondato da Benedetto Croce e diretto da Federico Chabod, e di quest’ultimo seguì il rigore filologico e l’esempio scientifico. Studioso saldamente ancorato alla cultura liberale e crociana, «la sua fama di storico fu enorme a livello nazionale e internazionale. Sin dal suo esordio nel 1950 con il volume Il Risorgimento in Sicilia, rimasto ad oggi un classico insuperato della storiografia italiana, segnò una svolta fondamentale nella ricerca e riflessione storica sul Risorgimento non solo siciliano ma nazionale». Romeo ebbe il merito di sottrarre la Sicilia ai limiti di una esclusiva storia regionale, ricostruendone la realtà dalla metà del Settecento fino all’unificazione e inserendo l’isola con chiarezza argomentativa nel più ampio contesto di tutto il processo del Risorgimento italiano. Da un simile studio ne esce una immagine singolare ed efficace, una società isolana dalle strutture economiche ancora arretrate, con una larga massa contadina povera e ignorante, messa ai margini e impossibilitata a ottenere lo sperato riscatto, oppressa da proprietari terrieri rentier. Pescosolido sottolinea il legame tra la prima opera e i riferimenti culturali che caratterizzarono il “fare Storia” di Romeo: «il Risorgimento in Sicilia incarnava compiutamente l’ideale dello storico crociano che rivolgeva lo sguardo al passato spinto dalla necessità, di vichiana memoria, di conoscere le origini (la vichiana guisa del loro nascimento) dei problemi del presente; uno storico che prescindeva da qualsiasi concezione teleologica della storia anche se vi vedeva un progressivo affermarsi della libertà al di sopra di qualsivoglia condizionamento, e condivideva quindi l’idea crociana del primato, nel divenire storico, della dimensione etico-politica».
Il vasto riconoscimento tributato alla prima opera monografica di Romeo gli permise a soli 31 anni di vincere il concorso per professore ordinario in Storia del Risorgimento nell’Università di Messina, divenendo due anni più tardi preside della facoltà di Magistero. Nel 1962 passò alla Facoltà di Magistero di Roma e l’anno successivo, si trasferì nella Facoltà di Lettere e Filosofia della stessa università. Nel 1977-78 fu docente nell’Istituto Universitario Europeo di Firenze. Dal 1979 al 1984 fu rettore della Luiss di Roma, che aveva fondato assieme a Guido Carli. Fu direttore scientifico dell’Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia e socio nazionale dell’Accademia dei Lincei «una carriera accademica, dunque, di vertice, che si intrecciò con una attività storiografica che non ebbe soste e produsse la opera più importante di Romeo, Cavour e il suo tempo, accompagnata da un impegno civile e politico che crebbe col passare degli anni fino alla morte». Romeo si distinse non solo nel mestiere di storico, ci ricorda Pescosolido. Infatti, dal punto di vista ideologico, politico e dell’impegno civile, ebbe modo, a Napoli, di entrare a far parte dell’area liberaldemocratica e meridionalistica al fianco di Ugo La Malfa, Vittorio De Caprariis, Francesco Compagna, Giuseppe Galasso, Renato Giordano; un’adesione che segnò, pur nell’alveo del pensiero liberale, un’accentuazione della componente democratica e statalista rispetto alla precedente più spiccatamente liberale e liberista. Impegno civile che si manifestò anzitutto nell’attività giornalistica: a partire dal 1974 dalle colonne del «Giornale nuovo» di Indro Montanelli denunciò il disfacimento della scuola e dell’Università, la messa fuori mercato di gran parte dell’apparato industriale da parte del sindacalismo irresponsabile degli anni Settanta e il dissennato uso delle partecipazioni statali, la mancanza di una seria programmazione e di una politica dei redditi ad essa indispensabile, il dissesto della finanza pubblica, la paralisi progressiva dei poteri di controllo centrali e periferici dello Stato e il patteggiamento tra questo e gruppi di interesse privati.
Una lezione molto apprezzata, quella di Pescosolido, in cui si sono rintracciati anche gli elementi della querelle Romeo-Gramsci. Romeo affrontò le tesi di Gramsci in un saggio pubblicato nel 1956 nella rivista «Nord e Sud», e poi in un secondo saggio sulle origini dell’industrializzazione italiana uscito nella stessa rivista nel 1958. Entrambi i saggi furono ristampati poi in Risorgimento e capitalismo nel 1959. Nel primo saggio Romeo riprese le argomentazioni di Chabod sul contesto internazionale dell’unificazione politica italiana e ribadì che un tentativo di rivoluzione sociale di tipo giacobino come quella ipotizzata da Gramsci avrebbe provocato l’opposizione delle potenze europee, in primis della Francia, e avrebbe quindi compromesso la stessa unificazione politica della penisola. Tuttavia, a differenza di Chabod, Romeo affrontò anche il problema del mancato o asfittico sviluppo industriale della penisola prodotto dall’assenza di una rivoluzione agraria. Al riguardo osservò che, ammesso anche che una rivoluzione agraria si fosse realizzata, lo sviluppo capitalistico del Paese e il processo di industrializzazione della penisola non ne sarebbero stati accelerati, bensì ritardati, come lo stesso Marx aveva sostenuto in linea generale nel III libro del Capitale e come era stato concretamente verificato da Lefebvre, Soboul e altri storici marxisti nelle aree della Francia che erano state investite dalla rivoluzione rurale giacobina.
«La reazione degli storici gravitanti nell’orbita del Pci era stata irritata e violenta, ma rimase sostanzialmente elusiva delle argomentazioni di Romeo sul rapporto tra piccola proprietà familiare e sviluppo del capitalismo, quindi sostanzialmente non incisiva. Romeo aveva replicato ancora su Nord e Sud con un secondo saggio in cui, sulla base di statistiche sia ottocentesche sia recentissime dell’Istat, aveva confutato la lettura pessimistica delle condizioni e dell’andamento dell’economia italiana nel primo ventennio postunitario data da tutta la letteratura gramsciana, ma anche da storici dell’economia come Gino Luzzatto». Romeo sostenne che la produzione e le esportazioni all’estero di derrate agricole avevano avuto un incremento senza precedenti nella storia dell’agricoltura italiana dell’Ottocento, producendo una quantità considerevole di surplus di capitale agricolo, che era stato in gran parte prelevato dallo Stato attraverso imposte e altre forme di prelievo dalle campagne ed era stato impiegato nel più grande processo di infrastrutturazione, soprattutto ferroviaria, che la storia d’Italia ricordi. Tale accumulazione di capitale era stata poi funzionale al primo decollo industriale localizzato soprattutto in Lombardia-Piemonte-Liguria. Lo Stato in definitiva aveva operato come agente surrogatore nel promuovere lo sviluppo in un Paese arretrato, secondo i canoni collaudati della teoria economica anglosassone del secondo dopoguerra nella quale spiccava il nome di Alexander Gerschenkron.
«Se si fosse posta in atto una rivoluzione agraria di tipo gramsciano – ha continuato Pescosolido -, questa avrebbe travolto non solo il latifondo meridionale, cosa che non sarebbe stata negativa secondo Romeo, ma anche tutte le altre forme di organizzazione produttiva capitalistica o para-capitalistica, come la mezzadria, presenti nel Centro-Nord, ma anche nel Sud delle aree delle colture specializzate, che erano state le vere artefici della crescita produttiva e dell’accumulazione di capitale del primo ventennio di vita nazionale unitaria». Con la ipotizzata rivoluzione agraria, così come sostenne Emilio Sereni, l’andamento della produzione, dello sviluppo capitalistico nelle campagne e della formazione del mercato nazionale sarebbe stato rallentato o addirittura bloccato, con riverberi non certo positivi sull’industrializzazione della penisola. «Analisi che circa trent’anni dopo avrebbe apertamente e onestamente condiviso anche il più autorevole storico marxista del secondo dopoguerra, Giorgio Candeloro, il quale nel 1986 nel capitolo riassuntivo dell’XI volume della Storia dell’Italia moderna iniziata nel 1956 con una esplicita ispirazione gramsciana, ammetteva, che «l’azione sui contadini», ove fosse stata posta in atto al momento dell’Unità, non avrebbe portato a un miglioramento della loro condizione, e forse l’avrebbe addirittura peggiorata, dando quindi ragione a Romeo».
Lo storico ebbe modo di farsi portavoce delle istanze di un Mezzogiorno diverso da quelle proposte nelle cartoline d’antan con l’occasione offertagli di candidarsi al Parlamento europeo nel 1984, nel quale fu eletto grazie al sostegno personale di Giovanni Spadolini e di Giuseppe Galasso, ricoprendo incarichi di prestigio. Aderì al gruppo parlamentare liberale e democratico, di cui fu eletta presidente Simone Veil, e ne fu vicepresidente. Fu convinto fermamente della necessità dell’inserimento del Mezzogiorno d’Italia nel circuito dei grandi finanziamenti europei per la coesione, ma si scontrò con gli interessi ostili dei paesi dell’Europa settentrionale. Denunciò energicamente i meccanismi discriminatori del Mezzogiorno nella assegnazione delle risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale e il danneggiamento dei prodotti agricoli italo-meridionali con l’estensione della preferenza comunitaria ai Paesi della costa africana del Mediterraneo e ad Israele. Nel 2021 il professor Pescosolido ha ripercorso con grande eleganza la biografia storica e politica del suo Maestro nel volume edito da Laterza “Rosario Romeo. Uno storico liberaldemocratico nell’Italia repubblicana”, recensito sul “Corriere della sera” cartaceo e in questo blog da Dino Messina. In un contesto contemporaneo in cui il Sud sembra quasi svanire dall’agenda politica del Paese, l’opera storica di Romeo va approfondita anche per il vasto pubblico. Una lezione necessaria per riscoprire e ricomprendere le ragioni forti di un Mezzogiorno debole.
(Pubblicato il 16 ottobre 2024 © «Corriere della Sera» – La nostra storia)