di Luigi Morrone
29 aprile 1536: Khayr-ad-Din (dai cristiani chiamato Barbarossa), al comando di trenta galere, irrompe su Le Castella, feudo di Galeotto Carafa. I cittadini oppongono strenua resistenza, asserragliati nella fortezza restaurata nel 1512 da Andrea Carafa, zio di Galeotto. Vinta la resistenza, si abbandonano al saccheggio ed al rastrellamento di braccia per il remo delle galere. Non sarà una tra le tante incursioni dei pirati barbareschi sulle coste del Regno di Napoli. Tra i catturati c’è Giovanni Dionigi Galeno, che dal remo percorrerà un cursus honorum tale da vederlo protagonista della storia del Mediterraneo del XVI secolo. Quel Mediterraneo che è ancora l’ombelico del mondo occidentale, quel Mediterraneo così immaginificamente descritto da Braudel.
Mirella Mafrici, per la collana diritto-rovescio di Rubbettino, disegna la biografia di Giovan Dionigi, con un affresco che delinea le vicende tumultuose di un’epoca di passaggio: quella delle grandi scoperte geografiche, della rottura dell’unità dei cristiani, dell’affermazione degli “stati mezzani”, quella che segnerà l’ultimo spasimo del Mediterraneo protagonista della Storia (prima che lo diventinole rotte atlantiche). Benedetto Croce avvisava che, chi scrive una biografia, deve guardarsi da due pericoli contrapposti: quello di incentrarsi esclusivamente sul personaggio, trascurando il quadro storico, e quello di perdersi nei meandri degli eventi, trascurando il personaggio. Mafrici riesce ad evitare ambo i pericoli, disegnando con minuzia di particolari ed acribia delle fonti tutta la parabola di Giovan Dionigi, senza minimamente perdere di vista il quadro di riferimento.
È l’epoca in cui sul trono di Costantinopoli siede Solimano (“il Magnifico” per i Cristiani), mentre Carlo d’Asburgo eredita dai genitori un immenso impero che governa come Carlo V imperatore del Sacro Romano Impero e Carlo I come re delle Spagne. È l’epoca in cui la Corte di Francia stringe alleanza con gl’Infedeli, così consentendo ai pirati barbareschi sistematiche incursioni sulle coste dei possedimenti spagnoli sul Mediterraneo. E Giovan Dionigi si erge da protagonista in questo crogiuolo di vicende.
L’uccisione di un compagno di prigionia lo spinge all’abiura, a farsi musulmano, per evitare la punizione del suo delitto. Lo chiamano Uluç Alì (significa “Ali il tignoso”, per la, malattia che lo affligge), traslitterato in vari modi. Mafrici preferisce la versione più diffusa, “Uccialì”. È l’inizio della sua ascesa, favorita dalla notevole mobilità sociale che caratterizzava l’Impero Ottomano, testimoniata dalle parallele vicende di altri rinnegati, come il genovese Scipione Cicala, catturato da Uccialì e divenuto, dopo l’abiura, il terribile pirata Cagaloglu Yusuf Sinan Kapu-dan Pasa.
Il Tignoso sposa Bracaduna, la figlia di uno dei “re” della guerra di corsa nel Mediterraneo, Ja’far Pascià, e sfrutta la sua esperienza al remo per farsi notare dal suocero quale stratega sopraffino. Guadagnata una discreta somma, la investe per “mettersi in proprio”, armare una propria nave ed unirsi alle scorrerie di Dragut. Le sue qualità emergono anche in questo ruolo di armatore – “comitre” di Dragut ed intanto si fa notare anche alla corte di Solimano.
Dopo il fallito tentativo dei cristiani di conquistare Tripoli e la “spedizione punitiva” ottomana su Messina che della congiura era stato il perno, Uccialì diventa “Padrone della Barberia”, protagonista indiscusso della guerra di corsa, durante la quale più volte ritorna nella natia Calabria, nel natìo borgo ove rivede la madre (l’incontro è descritto in modo poetico in uno dei libri ispirati dal rinnegato: Occhialì historiae di Nino Gimigliano). Il suo valore gli guadagna il governatorato di Tripoli. L’avvicendarsi di Selim II sulla soglia della Porta Sublime segna un punto decisivo nella carriera di Uccialì. Il nuovo sultano è da sempre un suo ammiratore, e gli accorda la sua protezione, fino ad affidargli nel 1568 il governo di Algeri.
L’espansionismo turco ormai dilaga nel Mediterraneo. Veneziani e genovesi sono costretti a cedere territori su territori. La cristianità si organizza, il lavoro diplomatico è intenso per superare le rivalità tra potenze cristiane, si muove alacremente il domenicano Michele Ghisleri, vescovo di Roma con il nome di Pio V, fino ad arrivare alla creazione di una Lega tra Spagna, Impero, Papato e Venezia che arma una potente flotta per affrontare quella ottomana, sotto il comando di don Giovanni d’Austria, fratello del re delle Spagne Felipe II, in quanto figlio illegittimo di Carlo V, nel frattempo defunto. Lo scontro, che diventerà simbolico per l’una e l’altra parte, avviene il 7 ottobre 1571 presso Lepanto (Nafpatos), nel golfo di Patrasso. Uccialì comanda l’ala sinistra dello schieramento ottomano. Ha di fronte la flotta genovese comandata da Gianandrea Doria. Secondo Mafrici, sono i due migliori ammiragli in circolazione, anche se il rinnegato ha maggiore astuzia e spregiudicatezza del genovese. Uccialì, con un capolavoro tattico, aggira l’ala destra cristiana e si spinge a minacciare le potenti galeazze di don Giovanni, riesce a far trofeo dello stendardo dei cavalieri di Malta, a fare prigionieri tra le galee cristiane (tra cui l’illustre scrittore Miguel Cervantes, che racconterà gli eventi nel suo Don Chisciotte). Quando la battaglia volge alla peggio per la flotta ottomana, da buon corsaro, Uccialì capisce che è il momento di salvare la sua flottiglia e si dilegua verso Algeri, inseguito dal Doria.
Il comportamento nella disastrosa (per i Turchi) battaglia di Lepanto fa meritare ad Uccialì il grado di «Kapudan Pasha», ovvero “ammiraglio in capo dell’armata”, conferendogli il Generalato del Mare che comportava l’assoluto governo dell’arsenale e la cura dell’armata marittima. E non solo: in segno d’onore gli veniva attribuito un nuovo nome, quello di Kiliç Alì, ovvero “Alì la Spada”, avendo simbolicamente come una spada spezzato l’accerchiamento del nemico». Il compito affidato a Uccialì è stimolante e gravoso: preparare la rivincita di Lepanto, partendo dalla ricostruzione della flotta turca, distrutta nello scontro. Lo fa con grande abilità e perizia, guidando la flotta turca alla riconquista di Tunisi ed alla ripresa del dominio sul Mediterraneo e sul Mar Nero, unendo all’abilità militare quella diplomatica, passando gli ultimi anni della sua vita a corte.
Il percorso terreno di Uccialì si conclude il 21 giugno 1587 a Costantinopoli, secondo i cronisti dell’epoca, a 84 anni. Il “nocciolo” del libro è riassunto nella frase «[Nel mondo ottomano] Non essendo la gerarchia sociale determinata dalla nascita, la «ruota della fortuna» poteva far ascendere alle più alte cariche dell’Impero un oscuro suddito come Uccialì».
(Pubblicato il 18 maggio 2021 © «il Quotidiano del Sud»)