di Spartaco Pupo
Un Ministero del Mare era ciò che ci voleva per riaccendere i riflettori della politica e della cultura sulla relazione privilegiata tra l’Italia e il mare. Un’intuizione politica non da poco quella della premier Meloni, per un Paese che ha tanto bisogno di nuovi orizzonti di senso da esplorare e nuove rotte da navigare.
Il mare non è solo pesca, sistemi economici sostenibili, progetti tecnologici innovativi, paesaggio e turismo. Per l’Italia circondata da ottomila chilometri di costa, il mare è molto di più. È un’identità da ritrovare. Il nuovo dicastero, ricoperto peraltro da un politico dal carattere e dalla storia tipicamente mediterranei, come il siciliano Musumeci, ha l’opportunità di svolgere un ruolo molto importante: rifare dell’Italia la patria del mare, un Paese che torni finalmente a bagnarsi nelle sue acque blu per rilanciarsi come potenza a vocazione globale.
Due affascinanti libri freschi di stampa, uno di Egidio Ivetic, Il Mediterraneo e l’Italia. Dal “mare nostrum” alla centralità comprimaria (Rubbettino), l’altro di Marco Valle, Patria senza mare. Perché il “mare nostrum” non è più nostro (Signs Publishing), raccontano la storia e la geografia del destino marittimo italiano e dimostrano che l’Italia è da sempre il “centro del Mediterraneo”.
La negligenza
Questo protagonismo, tuttavia, non è stato narrato a sufficienza nella letteratura, nella storiografia accademica e nei manuali scolastici. Il nostro Paese, in altre parole, non è quello che la cultura ufficiale ci ha consegnato: un mero promontorio dell’Europa meridionale. No, l’Italia è terra marinara. Sarà forse per questa strana negligenza che il mare era pressoché scomparso dall’agenda della classe politica italiana negli ultimi decenni?
Eppure da millenni il Mediterraneo è crocevia di traffici e ricchezze di ogni tipo, incrocio di affinità e differenze, spazio liquido di incontro tra Oriente e Occidente, Sud e Nord, Cristianità e Islam. Dalle quattro Repubbliche marinare (Amalfi, Pisa, Genova e Venezia) alla Serenissima Repubblica di Venezia, dal Regno di Napoli capitale del mare alla cavouriana “questione marittima”, dalla “passione mediterranea” di Crispi alla Libia promessa e conquistata da Giolitti, dalle dannunziane gesta adriatiche alla mussoliniana “idea mediterranea”, dal nuovo protagonismo sul mare spadoliniano a quello craxiano: il Mare Nostrum ha sempre rappresentato la dimensione vitale dell’Italia in termini identitari, prima ancora che geopolitici ed economici.
Assai mortificanti sono per l’Italia gli ultimi eventi, come la spedizione anglo-francese in Libia del 2011 e il calo d’influenza dell’Italia nell’arco geopolitico che va dall’Africa settentrionale al Medio Oriente, a tutto vantaggio della Francia, il paese – afferma giustamente Ivetic – “che maggiormente ha investito nel Mediterraneo, in senso intellettuale e culturale”. Non si tratta di fare del nostro mare la sola meta delle nostre vacanze, né un’area di assoluta egemonia o dominio, ma di riappropriarcene come risorsa spirituale, sfida economica e opportunità di vita per le future generazioni.
Dall’antichità a oggi
Quello italiano è un destino marittimo, e lo sapevano bene i popoli antichi, in particolare i greci, gli egizi e soprattutto i romani, che ne compresero appieno la “crucialità”. Un destino tutt’altro che assecondato, oggi, se è vero che il nostro Paese conta molto poco nell’AP-UpM (Assemblea parlamentare unione per il Mediterraneo), animata quasi esclusivamente dai paesi nord africani, ed è molto riluttante a svolgere il ruolo naturale di potenza marittima nella competizione globale.
Le cifre snocciolate da Valle sono impressionanti: attraverso il Mediterraneo transita non solo il cinquanta per cento del nostro Pil, grazie a una flotta mercantile importante (l’undicesima al mondo), ma anche il venti per cento del traffico commericiale mondiale, con un imponente volume d’affari legato al commercio estero, energetico e della comunicazione tecnologica. Per non parlare della rendita della pesca, dei porti, della cantieristica nautica e di tutto ciò che alimenta la cosiddetta “blue-economy”. Tutto ciò sotto l’occhio vigile della nostra Marina militare, orgoglio nazionale.
Ivetic sottolinea come l’Italia abbia strutturalmente cessato di occupare il posto che merita nel Mediterraneo, la cui crucialità è irrinunciabile anche in termini di stabilizzazione delle frontiere, tensione demografica ed equilibrio di potenza. Solo il Mediterraneo, insomma, può consentire all’Italia di “diventare una cultura mediatrice tra l’Europa e il Mediterraneo”.
Occorre, insomma, ritrovare la memoria e l’identità di patria del mare, perché prima di essere europei, noi siamo mediterranei.
(Pubblicato il 13 novembre 2022 © «Libero» )