di Eugenio Di Rienzo
Perché l’Afghanistan, privo di risorse economiche, naturali, demografiche, è stato da sempre il teatro di una guerra infinita che ha visto confrontarsi Persiani, Greci, Unni, Sasanidi, Arabi, Mongoli, Turchi, Britannici, Russi e, infine, i contingenti Nato che tentano di debellare le milizie talebane e di smantellare le roccaforti della rete terroristica di Al Qaeda? La risposta a questo quesito va trovata nella sua particolare posizione geo-politica, limitrofa alle regioni dell’Asia centrale (Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan), all’Iran, all’India, alla Cina, che ne ha da sempre fatto la porta d’accesso dell’Estremo Oriente. Neppure l’erezione dell’Afghanistan in Emirato autonomo nel 1823 riuscì a por fine a questo conflitto perenne. Proprio da quel momento, anzi, lo Stato afgano divenne la posta del «Grande Gioco» di competizione politica tra Impero britannico e zarista, conclusosi solo nel 1905, in coincidenza della sconfitta russa nel conflitto con il Giappone che pose fine all’espansionismo di Pietroburgo in Asia.
Si trattava però di una semplice interruzione della politica di grande potenza in quell’area, che la nuova Russia sovietica avrebbe riavviato a partire dall’agosto 1939, immediatamente dopo la firma del patto di non aggressione tra Urss e Terzo Reich. Al di là delle clausole segrete del trattato, che prevedevano per l’Urss l’acquisizione di parte della Polonia, della Bessarabia, di Finlandia, Estonia, Lettonia, nelle trattative successive, poi rese note dalla Gran Bretagna nell’ottobre del 1945 sulla base della documentazione diplomatica sequestrata negli archivi tedeschi, il Führer aveva spinto Mosca a indirizzare la sua spinta propulsiva a est dei suoi confini. Se, nel 1926, il Mein Kampf di Hitler aveva predicato la necessità di distruggere il colosso sovietico per acquisire lo «spazio vitale», indispensabile alla sopravvivenza del popolo germanico, in questo momento le ragioni della politica sovrastavano nettamente quelle dell’ideologia e consigliavano invece la costruzione di una diarchia planetaria russo-tedesca in grado di affrontare con successo il futuro, immancabile scontro con gli Usa.
Sulla base di questo programma, Stalin riprendeva l’antica politica dei Romanov minacciando la Turchia, l’Iran, l’Iraq e soprattutto l’Afghanistan, il cui controllo avrebbe potuto aprire la via della conquista dell’India. Il 7 settembre 1939, la segreteria del Foreign Office riceveva la notizia della crescente pressione sovietica per destabilizzare il governo filo-inglese di Kabul e della presenza in territorio afgano di numerosi agenti tedeschi e italiani che si proponevano di favorire le mire del Cremlino. Con una pronta reazione, Londra varava immediatamente un piano di aiuti economici e militari diretti a sostenere la monarchia di Zahir Sha, che in ogni caso si dimostrava riluttante a siglare un patto di mutua assistenza con Londra. Più drastiche misure venivano decise a tutela del subcontinente indiano, nel febbraio del 1940, dove le popolazioni mussulmane univano la loro volontà di rendersi indipendenti dalla sovranità inglese a una viva simpatia per i regimi di Mosca, Berlino, Roma che da tempo alimentavano un’intesa tra la mezzaluna, la falce e il martello, la svastica e il fascio littorio.
L’8 marzo 1940, mentre Francia e Inghilterra erano impegnate a fronteggiare le forze naziste sulla linea Maginot, gli Stati maggiori britannici delineavano al War Cabinet lo scenario di una possibile azione congiunta russo-tedesca contro l’Impero. Tra gli obiettivi maggiormente sensibili veniva indicato proprio l’Afghanistan, dove si prevedeva una rapida avanzata delle truppe sovietiche provenienti dai distretti dell’Asia centrale in direzione di Kabul e una serie di raids aerei, supportati dalla Luftwaffe, contro la frontiera indiana, tra Peshawar e Lahore, «che avrebbero provocato gravi problemi di sicurezza interna nelle regioni di frontiera e scatenato una serie di rivolte tribali».
Questa eventualità si faceva più forte nel novembre del 1940, quando Molotov di ritorno da una missione a Berlino prospettava la possibilità di far aderire Mosca a un accordo di collaborazione politica e di assistenza economica con Germania, Italia e Giappone. La quadruplice alleanza avrebbe dovuto portare alla creazione di un blocco geopolitico, capace di abbracciare l’Europa e l’Asia, dall’Atlantico al Pacifico. Sarebbe così nata una coalizione invulnerabile sul piano militare, della quale persino il massimo sforzo della Gran Bretagna con tutti i suoi dominions e degli Stati Uniti con i paesi dell’America Latina non avrebbe potuto bilanciare la potenza. La dinamica degli eventi successivi decise, come sappiamo, diversamente. L’aggressione nazista alla Russia del 22 giugno 1941 liberò l’estremo Oriente inglese dalla minaccia sovietica e le stesse divisioni siberiane che avrebbero dovuto marciare contro Kabul vennero invece impiegate nella battaglia di Stalingrado per piegare la forza d’urto delle armate hitleriane.
(Pubblicato il 1 agosto 2010 – © «Libero»)