di Corrado Ocone
Bella e interessante personalità intellettuale quella di Alfredo Parente (Guardia Sanframondi, 1905-Napoli, 1984), per vari decenni critico musicale de «Il Mattino». Studioso di filosofia ed estetica, pittore e scultore, fondatore e direttore della «Rivista di studi crociani» (1964-1984), fu sicuramente uno dei pensatori più vicini a Benedetto Croce, che, fondato l’Istituto per gli Studi Storici, gli affidò la cattedra di Filosofia e Metodologia della storia.
Parente condivise col maestro la lotta culturale e politica contro il fascismo, prima, e per la rifondazione su basi liberali dello Stato italiano, dopo la caduta di Mussolini. Proprio nel convulso periodo della storia etico-politica italiana che va dal 1943 al 1946 si collocano le memorie, affidate a «taccuini sui quali l’autore aveva l’abitudine di annotare fatti e pensieri più o meno quotidianamente», che vedono la luce ora con il titolo La lunga vigilia. Pensieri e ricordi politici, a cura e con introduzione di Gerardo Nicolosi (nella bella collana «Minima storiografica», diretta da Eugenio Di Rienzo per la Società Editrice Dante Alighieri, pagine 241, € 9,00). Le memorie ci restituiscono una «Napoli nobilissima» che era naturaliter non fascista, che si raccolse in cerchi ristretti di resistenza intellettuale e che ebbe il filosofo di Palazzo Filomarino come punto di riferimento costante. Nel giro più propriamente intellettuale di quei gruppi si consumò, in quel torno di anni, una frattura fra il maestro e molti dei suoi migliori allievi, i quali aderirono per lo più al Partito d’azione, in una continua lacerazione fra fedeltà intellettuale e «tradimento» politico.
Parente è invece con Croce, che criticò l’azionismo come un socialismo mascherato e definì il liberalsocialismo un ircocervo (cioè un mostro nato da due radici non amalgamabili), anche nel processo di fondazione del Partito liberale, di cui il libro che ora esce dà ampio conto. La sua adesione al maestro fu totale, sia in politica sia nel campo della cultura, ma questo non significò che egli non seppe dare una cifra originale al suo crocianesimo, con un interesse particolare alla musicologia e all’organizzazione culturale.
Un vizio italico, molto diffuso fra gli intellettuali, è quello che Parente più ha in spregio e che è costantemente criticato in queste pagine: il servilismo. Una cifra che accompagnò sempre il fascismo ma che, come già Parente intuisce qui, sarebbe trapassato col segno mutato nell’Italia repubblicana. L’elogio dell’«aria aperta», della «curiosità» e della «freschezza di sguardo e stupore» accompagnò sempre Parente, il quale già solo per questo non può essere definito, come pure si è fatto, un «crociano ortodosso».
(Pubblicato il 29 maggio 2019 © «Il Mattino»)