di Franco Cardini
«Napoleone il Piccolo». Con questa folgorante definizione il grande Victor Hugo inchiodò alle sue umilianti dimensioni – non solo fisiche – un uomo ch’era stato, per lui, una grande speranza: il principe Luigi Napoleone, nato nel 1808 dall’unione di Luigi Bonaparte, fratello dell’imperatore, e di Ortensia Beauharnais, figlia dell’ex-imperatrice Giuseppina. A dire la verità, sul fatto che il piccolo Luigi fosse davvero figlio di Luigi dubbi ne nacquero subito, né a quel che pare particolarmente immotivati: ma, si sa, mater semper certa con quel che segue. L’impietoso Hugo e la schiera infinita dei detrattori, degli ex-partigiani, dei collaboratori maltrattati e dei cortigiani illusi ne dissero di tutti i colori, di quell’ometto per tanti versi ridicolo che nel 1848 era diventato presidente della Seconda Repubblica e nel 1852 sovrano del resuscitato impero.
Ecco ora il Napoleone III di Eugenio Di Rienzo, direttore della «Nuova Rivista Storica» e ordinario di Storia moderna alla Sapienza di Roma. Probabilmente l’intenzione era di farlo uscire nel duecentesimo genetliaco dell’imperatore, il 2008. Ma, come sovente accade, il lavoro deve essergli lievitato tra le mani: ed esce solo ora, nel 2010, con due anni di ‘ritardo’. Ma ne valeva la pena: un volume di oltre settecento pagine, le ultime cento del quale sono un imponente corredo critico, che esce molto tempestivamente nel nostro Paese proprio in coincidenza con un altro anniversario, il 150° dell’Unità. E non a caso, dal momento che, in questo libro tutto appassionante e originale, le pagine più intense e più ‘nuove’ riguardano proprio il rapporto con l’Italia. Di Rienzo sottolinea con molta forza e con abbondanza di dati – tra cui molti finora non rilevati dalla critica – come l’imperatore dei francesi sia stato per l’unità della penisola una specie di demiurgo, per quanto poi – ‘eterogenesi dei fini’ – la storia del nostro Risorgimento si sia sviluppata, nel settimo decennio del secolo, in un modo molto diverso da quello che egli avrebbe voluto e che egli aveva cercato d’impostare.
Né fu questo l’unico smacco ch’egli collezionò nella sua carriera di statista: dalla fallimentare spedizione messicana di Massimiliano d’Asburgo, in gran parte risultato della sua politica, all’insuccesso del tentativo – patrocinato soprattutto dall’imperatrice Eugenia – di far della Francia imperiale il capofila d’un’alleanza eurocattolica che avrebbe dovuto comprendere Austria, Baviera, Spagna e Italia, fino all’infelice confronto con la Prussia del principe di Bismarck, al crollo di Sedan e all’esilio – per sua fortuna breve – di un uomo amareggiato, sofferente d’una vecchiaia in fondo precoce anche per gli standard del suo tempo, forse in fondo davvero ‘fallito’. Ma andiamoci piano con i giudizi ‘definitivi’.
Napoleone il Piccolo fu il padrino del decollo industriale e coloniale della Francia, il fondatore della Parigi contemporanea, per molti versi il precursore dello ‘Stato sociale’: e, se il suo esperimento d’impero liberal-parlamentar-autoritario naufragò, si può dire in cambio che egli fu il demiurgo della Francia e per molti versi dell’Europa contemporanee. Infine era anche un uomo personalmente buono, sentimentale, sinceramente preoccupato del livello di vita dei ceti subalterni. Dalla biografia di Di Rienzo il suo profilo esce rinnovato. Non stupisce che un maestro come Giuseppe Galasso abbia accolto questa biografia nella prestigiosa collana fondata da Luigi Firpo, Profili, gioiello di famiglia della romana casa editrice Salerno.
(Pubblicato l’11 dicembre 2010 – © «Avvenire»)