di Gigliola Soldi Rondinini, Eugenio Di Rienzo
Parlare del passato prossimo e meno recente, studiarlo e analizzarlo è diventato un mestiere pericoloso al di là delle Alpi, da quando lo Stato francese ha deciso di disciplinare queste attività attraverso le cosiddette «leggi della memoria», arrogando a sé stesso e al potere giudiziario la capacità di decidere quale sia, in ultima istanza, la «verità storica». Alla normativa Gayssot ha fatto seguito l’approvazione, nel 2001, di altre due disposizioni legislative, che puniscono, come reato, la negazione del genocidio armeno del 1915 e qualsiasi affermazione tendente a non considerare «crimine contro l’umanità» la schiavitù. Da tutto questo proliferare di buone, e anzi di buonissime intenzioni, di cui però è sempre lastricata la via dell’inferno, la principale vittima è stata però la Storia, ormai prigioniera dei lacci e laccioli tessuti da un potere politico, che ha veramente oltrepassato il giusto limite nel quale deve restare racchiusa la sua azione. Ed è toccato agli storici francesi difendere con fermezza l’autonomia della loro professione, con un pubblico appello del 2006, che richiedeva l’abrogazione di ogni intervento legislativo sulla memoria, al quale ha fatto seguito il volume di René Rémond (Quand l’Etat se mêle de l’histoire, Stock, 2006), che si concludeva con un durissimo attacco contro il regime di «censura strisciante» inaugurato dalla Quinta Repubblica, che pare voglia obbligare gli analisti del passato a scegliere i loro oggetti di studio in ragione della loro irrilevanza da «un punto di vista penale». Ora questo appello viene rinnovato da un grande storico come Pierre Nora. Noi lo pubblichiamo qui di seguito, fedeli alla tradizione di libertà intellettuale della nostra rivista, che si è sempre mantenuta tale dal 1917 in poi. Il pericolo denunciato da Rémond e Nora è infatti attuale anche nel nostro paese, dove il mestiere di storico è troppo spesso minacciato da interferenze politiche e partitiche, larvate e manifeste.
Liberté pour l’histoire!
Les historiens sont aujourd’hui appelés à se mobiliser contre l’ingérence du pouvoir politique dans le domaine de la recherche et de l’enseignement historiques et à s’insurger contre la multiplication des lois criminalisant le passé. C’est ce qui en avait motivé près d’un millier, depuis 2005, à se regrouper derrière René Rémond dans une association, Liberté pour l’Histoire. Inquiets des risques d’une moralisation rétrospective de l’histoire et d’une censure intellectuelle, nous en appelons à la mobilisation des historiens européens et à la sagesse des politiques.
L’Histoire ne doit pas être l’esclave de l’actualité ni s’écrire sous la dictée de mémoires concurrentes. Dans un État libre, il n’appartient à aucune autorité politique de définir la vérité historique et de restreindre la liberté de l’historien sous la menace de sanctions pénales.
Aux historiens, nous demandons de rassembler leurs forces à l’intérieur de leur propre pays en y créant des structures similaires à la nôtre et, dans l’immédiat, de signer individuellement cet appel pour mettre un coup d’arrêt à la dérive des lois mémorielles.
Aux responsables politiques, nous demandons de prendre conscience que, s’il leur appartient d’entretenir la mémoire collective, ils ne doivent pas instituer, par la loi et pour le passé, des vérités d’État dont l’application judiciaire peut entraîner des conséquences graves pour le métier d’historien et la liberté intellectuelle en général.Pierre Nora
(Testo pubblicato in «Nuova Rivista Storica», XCII (2008), fascicolo III; l’intervento di Nora è apparso sul quotidiano «Le Monde» dell’11 ottobre 2008)