di Franco Cardini
Ecco un libro singolarmente, quasi esemplarmente, privo di pietas. Quella che – come Eugenio Di Rienzo stesso ricorda – Benedetto Croce raccomandava come irrinunziabile da parte dello storico proprio a proposito di coloro che si erano dati al fascismo «mossi non da bassi affetti, ma da sentimenti nobili e generosi, sebbene non soggetti dalla necessaria critica». Quella che si trova sempre o quasi, insieme a uno humour sottile e a modo suo severo, nelle pagine di quel Giuseppe Galasso che del Di Rienzo fu Maestro indimenticabile e cordiale amico. Ma Di Rienzo in questo suo Ciano. Vita pubblica e privata del “genero di regime” nell’Italia del Ventennio nero, non appare né disposto all’indulgenza né incline a fare sconti.
Aperto alla comprensione, questo sì: a patto che tale termine venga inteso nel suo corretto significato dal punto di vista della ricerca e del giudizio storici, vale a dire come «interpretazione intima e profonda, dal di dentro, delle cose studiate», e per nulla come sinonimo di giustificazione o di benevolenza. Dev’essere molto chiaro invece a chi legge che questo è un libro duro: non ci si deve far ingannare – né del resto, l’Autore lo desidera – dal tono costantemente limpido e pacato, qua e là velato di ben temperata ironia, al quale Di Rienzo ci ha abituato nei suoi lavori. E a ciò va aggiunto che questo, per quanto gli e ci auguriamo che sia seguito da molti altri libri, è forse il suo vero e proprio Lebenswerk, la biografia – un «genere storiografico principe», come Croce e Galasso lo giudicavano – come storia di un uomo e dell’epoca, dell’ambiente, del contesto nel quale l’avventura della sua esistenza si svolse; un’opera rispetto alla quale molti suoi studi precedenti sembrano ora, per chi la legga con attenzione, più o meno consapevoli e volontarie monografie preparatorie.
Solidamente scandito in tre parti dal titolo esauriente ed avvincente – Il delfino di regime (1903-1937), La grande scacchiera (1937-1941), Il Talleyrand del fascismo (1941-1944) -, il libro si presenta come una ricerca generosamente aperta alla narrazione, scrupolosa nell’impianto storiografico-critico, ben corredata d’un apparato erudito che si stende per ben 76 fitte pagine di note. In molti sensi un’eccellente sintesi sulla stessa storia del fascismo in generale, che potrebbe magari indurre molti che l’abbiano sistemata su uno scaffale della loro bilbioteca a liberare spazio mandando in soffitta o in cantina qualche decina di opere ormai invecchiate e desuete.
Ma chi si desse troppo entusiasticamente a tale scelta verrebbe poi còlto da dubbi e da rimorsi. Perché in realtà questo libro fa saltare molte convinzioni più o meno radicate nei giudizi diffusi anche di molti competenti. La storia della vita di Galeazzo Ciano, appena quarantunenne quando fu stroncata, è stata letta e interpretata finora soprattutto alla luce del suo famoso diario quotidianamente steso tra il giugno del ’36 e i primi di giugno del ’43 e sottoposto dall’immediato dopoguerra in poi, fino a oggi, a un oceano di verifiche e di polemiche riguardanti la sua autenticità, il suo scopo, la sua sincerità. Tuttavia, nonostante i molti dubbi e le moltissime precisazioni – che sono servite a correggere molte “sviste” e molte “dimenticanze” di quel pur tormentato testo -, ha sostanzialmente finito con l’affermarsi e il prevalere, sia pur in una concordia discors ricchissima di sfumature e articolazioni, la tesi di un Ciano sempre più decisamente antinazista e antitedesco impegnato, in un primo tempo a correggere e a mitigare l’entusiasmo del Duce per il “Potente Alleato”, fino al dissidio quasi aperto e alla configurazione dell’eventualità di un “futuro fascismo senza Mussolini”, trasformato in “dittatura morbida” e allineato sull’accordo diplomatico con le potenze liberali.
Pure, non erano poche le voci tese a sollevare dei dubbi sulla sincerità di quell’abile e nobile autoritratto: da Serrano Súñer (il diplomatico spagnolo in curiosa condizione “parallela” a Ciano, in quanto ministro degli Esteri e cognato di Franco) a Duilio Susmel ad Attilio Tamaro a Giovanni Ansaldo a Gaetano Salvemini.
Ma ora, con ben altra lucidità e ricchezza di argomenti, Di Rienzo dimostra la falsità di un quadro secondo il quale Ciano avrebbe cercato di scongiurare la morsa del “Patto d’Acciaio” e di orientare Mussolini verso un riavvicinamento con Francia e Inghilterra. Di più: egli dimostra che l’antipatìa e la diffidenza nei confronti dei tedeschi erano ben più forti nel “delfino del Duce” che non nel suo onnipotente padre-padrino-padrone; che i due erano concordi nel considerare tutte le mosse di Hitler, e soprattutto il patto russo-tedesco del 23 agosto del ’39, come sostanzialmente rivolte anche contro l’Italia; che insomma, dato il suo carattere di costante autoapologia, esso vada considerato quasi un “falso d’autore” soggetto a correzioni che lo rendono in più punti contraddittorio.
Si tratta di una tesi forte, destinata a far discutere ma che difficilmente potrà venir contraddetta. Dalla quale scaturisce un quadro tutto sommato più favorevole al suocero che non al genero e una ricostruzione dei fatti che annulla la favola di un Ciano progressivamente sempre più lontano dalle decisioni di Mussolini: salvo una lenta e non innocente correzione di rotta man mano che, a partire dal ’42, le cose mostrarono di orientarsi con decisione al peggio, mentre tra il padre e il marito di Edda l’astio e la diffidenza crescevano a vista d’occhio. Secondo la ben documentata tesi del Di Rienzo, insomma, la biografia politica del “generissimo” va ritenuta «testimonianza adulterata sapientemente dal suo autore».
Originali ed efficaci poi, a tratti anzi coinvolgenti e commoventi, le pagine di questo libro che sono forzatamente “libere” dalla necessità di contenere un continuo, puntuale riferimento al Diario, semplicemente in quanto la narrazione di esso non giunge a coprirle: l’umiliante e qua e là grottesca tragicommedia dello psicodramma familiare di casa Mussolini a proposito del destino di Galeazzo, l’iniziale leggerezza e quindi la scorata prostrazione del protagonista, la disorientata debolezza del Duce pur propenso a un’indulgenza ardua a difendersi, la feroce convergenza di atteggiamenti delle due rivali – Rachele e Claretta – nel pretendere la punizione esemplare del traditore, l’odio di Edda per entrambe. Pagine amare, impietose anche nei confronti di molti storici orientati a una sia pur parziale, difesa di Ciano per appesantire ancor più la condanna riservata a Mussolini, sulle quali a lungo si dovrà meditare. Altro che “postverità”, altro che “revisionismo”: davvero la storia non finisce mai.
(Pubblicato il 31 marzo 2019 © «Il Sole 24 Ore»)