di Paolo L. Bernardini
Scrivere una storia del mondo in 500 pagine è un po’ come, alla fine, fare il giro del mondo in ottanta giorni. Non è una metafora azzardata. Il capolavoro di Jules Verne è del 1873, e il protagonista della fantastica impresa, Phileas Fogg, si ispira a quanto davvero tentato dall’avventuriero George Francis Train – mai cognome fu più appropriato per un viaggiatore, anche se velista, soprattutto – tre anni prima. Siamo nell’Ottocento in cui tutto sembra possibile, in cui la scienza trionfa, in cui i limiti umani, perfino la morte (pensiamo a Frankenstein) vengono, almeno nella letteratura, non sempre nella realtà, superati. Il principale editore accademico del mondo, la Oxford University Press, ha affidato ad uno dei maggiori storici globali, Felipe Fernández-Armesto, l’impresa di racchiudere in 500 pagine, per di più illustrate, tutta la storia del mondo: The Oxford Illustrated History of the World (pp. 481, $ 39,95).
Non è la prima volta che si condensa una vicenda così vasta in poche pagine. Si pensi al giovane Gombrich, uno dei maggiori storici dell’arte del Novecento: a ventisei anni, nel 1935, scrisse una “breve storia del mondo” che è tuttora un bestseller. In questo volume però si parte da molto più lontano, rispetto a Gombrich. Dal 200.000 a.C. (sic!) fino ai giorni nostri. Ne è venuta fuori una vera sfida intellettuale, da prendere sul serio. Jeremy Black, Clive Gamble, Martin Jones, e diversi altri storici eccellenti (e anche qui chi scrive) hanno delineato il percorso progressivo dell’umanità, dalla prima presa di coscienza della “differenza antropica” (che cosa rende l’uomo diverso dagli animali?), fino all’era di internet. Tutto comincia quando l’uomo avverte la propria diversità e unicità nel creato, inizia ad utilizzare utensili, “inventa” il fuoco, ma soprattutto, come scrive Gamble qui, dà forma alle prime opere d’arte, rappresentando al contempo se stesso e il mondo che lo circonda. Un mondo che l’uomo sente come qualcosa di ostile, ma anche, potenzialmente, utile e assoggettabile ai propri scopi. Così comincia il cammino umano.
Ma si tratta davvero di un percorso progressivo? La chiave per interpretare la storia globale è alla fine la globalizzazione stessa: il mondo è divenuto un solo mercato, dove, per lo più, si incontrano le stesse merci dappertutto. Tutto questo inizia con la scoperta del Nuovo Mondo, e la sua integrazione nel vecchio. Ma la grande forza del libero mercato è contrastata da quella, non meno grande, degli Stati che sono diventati entità gigantesche, che tengono in mano, con estrema difficoltà, le sorti di miliardi di individui. E così se nel Novecento si è assistito alle principali carneficine mai inflitte dall’uomo verso i propri simili, nel terzo Millennio pendono come spade di Damocle sull’umanità solo in parte pacificata, ad esempio, le politiche economiche di Stati che, come gli USA, hanno un debito pubblico tale da far rabbrividire: 20.000 miliardi di dollari! Se i creditori dovessero passare all’incasso? Intanto la minaccia nucleare ritorna. E’ mai possibile che il mondo – e qui l’Italia non è da meno degli USA, nel suo piccolo – sia retto in questo modo? Di quale genere di progresso stiamo parlando? Eppure gli autori del libro sono moderatamente ottimisti: le “sorti magnifiche e progressive” dell’umanità sembrano procedere, ma non si può ignorare il fatto che meno di dieci uomini al mondo hanno ricchezze tali da superare quelle di miliardi di individui messi insieme.
Il mondo progredisce, ma non la distribuzione della ricchezza. Si diffonde lo spirito capitalistico, eppure vi sono interi Paesi, come il Venezuela, che scontano il dramma di politiche comunistiche scellerate. Il comunismo è davvero morto? La Storia, come voleva Francis Fukuyama, è davvero finita, in un trionfo del modello delle democrazie liberali? Non è così. Il Paese apparentemente più capitalistico al mondo, gli USA, sta lanciando un Green New Deal con una “pasionaria” in ascesa, Alexandria Ocasio-Cortez, che non è certo da sottovalutare: anche se rimane impresa difficile trasformare gli USA negli URSS, dopo la morte non indolore di quest’ultima. Non si sa mai, però. L’impresa di questa storia globale mette saggiamente insieme i grandi individui con i grandi movimenti dei popoli, non è solo storia economica e sociale, ma mostra anche come la storia ecologica ormai abbia conquistato uno spazio centrale nella ricerca. E anche qui il mondo che ci consegnano 200.ooo più 2018 anni e due mesi circa è molto ineguale. La tradizione imperiale cinese non è mai stata tenera con l’ambiente: ma ora il massacro è immenso. Il mondo sopravviverà anche a questo? Il clima certamente è sempre stato ballerino. Ma il riscaldamento globale esiste, ed è frutto della grande accelerazione che l’umanità compie negli ultimi due secoli, la rivoluzione industriale ed ora la globalizzazione, che se da una parte hanno tolto dalla povertà miliardi di persone, dall’altra hanno posto gravi ipoteche su quel pianeta che questi miliardi di persone ospita.
Ma il libro ha anche altri punti di grande interesse. Che ne è dell’Europa, baricentro del mondo per diciotto secoli? L’asse pacifica ha scardinato quella atlantica. Il Mediterraneo vive una crisi di identità immensa, lacerato tra un Nord ricco ed un Sud che si sta impoverendo sempre di più, un Nord in piena decrescita demografica, ed un Sud che invece ha livelli di natalità pericolosi. Il fatto che la comunicazione interumana abbia raggiunto livelli di copertura e rapidità incredibili fino a trent’anni fa, non significa che i numerosi divari tra le componenti umane si siano colmati. Anzi. La scomparsa di molte malattie non ha evitato che ne emergessero di nuove. Forse diventeremo immortali, come il giovane storico israeliano Yuval Harari, un altro rappresentante illustre della “Global History”, dice nel suo ultimo libro – modello di proiezione nel futuro della ricerca storica, in fondo se no a cosa serve la Storia? – ma nell’attuale contesto globale (aldilà di ogni metafisica) non è questo il problema maggiore.
(Pubblicato il 17 febbraio 2019 © «La Provincia. Quotidiano di Como e Varese»)