di Marco Gervasoni
Lo storico Eugenio Di Rienzo analizza il pensiero e l’azione del filosofo tra la caduta del regime e la nascita dell’Italia. Croce, senza rinnegare i valori liberali, si schierò sempre tra i conservatori.
«Un programma di questa sorta finirà col suscitare scontento e ribellione, e indebolirà l’azione per la libertà. Per di più, questo socialismo è venato di comunismo, giacché vuole, come dichiara, la simultaneità di una rivoluzione sociale e di una proclamazione di libertà. Ora non ci vuole molto a intendere che ciò non potrebbe accadere se non con la forza, con la dittatura, con la milizia rossa, ecc., cioè con un rinnovato “fascismo”». Chi sarà mai costui che equipara le milizie rosse e la dittatura comunista con quella fascista?
Sono le parole di Benedetto Croce alla fine del 1943, di fronte al programma del Partito d’Azione. E sono riportate nel libro di Eugenio Di Rienzo, Benedetto Croce. Gli anni dello scontento 1943-1948: il primo volume, in uscita a fine mese, di una nuova collana dell’editore Rubbettino, chiamata «Dritto/Rovescio», che si propone di approfondire, sia pure in agili testi, singoli eventi della storia oppure, come in questo caso, biografie dei suoi protagonisti. Di Rienzo ha scelto il momento crociano tra la caduta del regime e la nascita dell’Italia repubblicana, perché proprio attorno a questo Croce, autorità non solo intellettuale ma anche politica del Regno del Sud e della classe dirigente liberale, è cresciuta negli anni un’interpretazione che ne ha alterato i tratti del pensiero e dell’azione.
Una lettura diffusa proprio da quegli intellettuali del Partito d’Azione, che Croce detestava massimamente, anche perché molti di loro erano crociani, e niente poteva indispettire il filosofo più del travisamento del suo pensiero. Azionisti e “sinistra storiografica” e infine grande stampa mainstream, dopo la morte di Croce avvenuta nel 1952, ne hanno infatti restituito l’immagine di un liberale progressista, “avanzato”, quasi un liberal si direbbe oggi. Niente di più lontano dal vero, ci spiega Di Rienzo, andando ai testi, cioè agli articoli, ai libri, alle pagine dei diari e alle lettere di quel periodo, da cui emerge un Croce tutt’altro che “progressista”, anzi semmai decisamente “conservatore”.
In tal senso, molto più “corretta”, per così dire, era stata la critica comunista di Togliatti che, pur ricorrendo a contumelie e insulti, contro Croce, secondo il classico stile stalinista, ne riconobbe, sulla scorta di Gramsci, la grande funzione conservatrice. Beninteso, per Croce, il liberale, di per sé, non ea di destra né di sinistra, né conservatore né progressista. Ma, scendendo dall’empireo teorico, alle scelte e ai giudizi politici, è facile vedere come Croce, soprattutto in questa fase, si schierò sempre dalla parte delle forze della conservazione; certo, il suo fu un conservatorismo intelligente, alieno da ogni pulsione reazionaria, “illuminato”, come direbbe qualcuno, ma non per questo morbido e arrendevole. Da qui, per esempio, la difesa crociana dell’Italia e della Nazione, che esisteva da secoli prima del fascismo e che sarebbe continuata ad esistere anche dopo.
Proprio in questo periodo, Croce elaborò la teoria del fascismo «come parentesi», sotto il quale non si poteva schiacciare tutta la vita dell’Italia e degli Italiani. In realtà, a chiamarla teoria, sono stati i suoi avversari, molti dei quali, invece, ne diffusero un’altra opposta e sciagurata, quella del fascismo come «autobiografia della Nazione».
Di fronte ai disastri, non solo intellettuali prodotti dalla teoria della «autobiografia della Nazione», propalata da Piero Gobetti, e che sarebbe meglio chiamare pregiudizio, è opportuno recuperare, invece, l’interpretazione crociana del fascismo. Così come conservatore è il Croce che combatte contro quello che definisce «nuovo fascismo» o «fascismo rosso», e cioè il comunismo incarnazione nientemeno che dell’Anticristo. Altro che il filocomunismo, latente o manifesto, di alcuni liberali, sui seguaci, persino negli anni Cinquanta!
Cari amici liberal, se volete cercare progenitori nella grande cultura italiana, che fino alla metà del secolo scorso è stata sempre orientata in senso conservatore, se volete arricchire il vostro Pantheon di statuine di democrazia progressiva, lasciate in pace Don Benedetto. Come dimostra Di Rienzo, Croce non era uno dei vostri. Vi lasciamo invece volentieri Adolfo Omodeo, Guido Calogero e il Partito d’Azione.
(Pubblicato il 19 maggio 2019 © «Il Messaggero»)