di Giuseppe Bedeschi
I giornali e i telegiornali ci inondano ogni giorno di tragiche notizie sul conflitto russo-ucraino. E difficile, per il lettore di meda cultura, orientarsi nel ginepraio delle dichiarazioni e delle accuse, dell’una e dell’altra parte (una vera e propria «guerra dei nervi»), nonché dei commenti, spesso contraddittori, faziosi, poco informati, di pubblicisti e politologi. Benvenuto, dunque, al saggio di uno storico di vaglia, Eugenio Di Rienzo, che compie un serio sforzo per mettere a nudo le origini, prossime e remote, dello scontro in atto col suo Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo dis(ordine) mondiale (Rubbettino Editore, pp. 106, € 10,00).
Nel tentativo di ricostruire il «cuore antico» della lotta tra Mosca e Kiev, Di Rienzo ripercorre in primo luogo, sinteticamente, le tappe fondamentali della storia ucraina dal divorzio dalla Russia medievale, alla dominazione austriaca e zarista, al risveglio del nazionalismo ottocentesco, al primo e al secondo conflitto mondiale, alla Guerra fredda, all’età post-sovietica, al risveglio “imperiale” della Federazione russa. Per l’autore il brusco cambio di regime avvenuto a Kiev, tra le nebbie e le ombre di Majdán Nezaléžnosti, è stato considerato dal Cremlino l’ultimo atto di una strategia messa in atto da Stati Uniti e Unione Europea per spingere l’Ucraina nella Nato e quindi per preparare il terreno alla definitiva disintegrazione della Russia come Grande Potenza.
Non si dimentichi, infatti, che l’Ucraina con lo schiacciante peso demografico di quarantasei milioni di abitanti e con i suoi settecentomila chilometri quadri di estensione è il secondo stato più grande d’Europa, dopo la Russia europea, e che con i suoi 40mila km di gasdotti ha una grandissima importanza economica e strategica. Né si deve scordare la cruciale rilevanza della sua posizione geopolitica da cui dipende strettamente la sicurezza nazionale russa poiché lo spazio ucraino, insieme alla Bielorussia, costituisce l’intercapedine strategica che separa a occidente la Federazione Russa dal sempre più minaccioso schieramento dei Paesi Nato.
Mosca inoltre si trova a soli circa 480 chilometri dai confini orientali dell’Ucraina e i due Stati condividono un lunghissimo confine, pianeggiante, privo di ostacoli naturali e quindi fatalmente esposto ai rischi di un’aggressione. Se poi una Potenza ostile dovesse impadronirsi del «cuscinetto» russo tra Ucraina e Kazakistan, al cui centro si colloca la città di Volgograd (dal 1925 al 1961 denominata Stalingrado), la Russia sarebbe tagliata fuori dal Caspio e anche la sua frontiera sud-orientale sarebbe facilmente violabile. Infine, l’Ucraina è padrona di due porti sul Mar Nero, Odessa e Sebastopoli, che sono ancora più importanti per Mosca di quello di Novorossijsk: principale ancoraggio sotto sovranità russa in quella distesa acquatica.
Dopo aver assistito a questo tentativo di minare le basi geostrategiche della sicurezza russa, Putin è tornato con maggior forza a promuovere un’azione in grado di ricostituire la sfera d’influenza di Mosca nelle regioni dell’ex Unione Sovietica e di dimostrare alla comunità internazionale che l’«Orso russo» possiede ancora artigli affilati che gli consentono di tenere a bada i suoi avversari e di ricattare armi alla mano il debole governo ucraino. Ne è nata una guerra intestina con migliaia di morti, tra militari e civili, nella quale, da una parte e dall’altra, la figura del combattente regolare è stata largamente sostituita da quello irregolare: guerrigliero, terrorista, foreign fighter, contractor.
Il lavoro di Di Rienzo, connotato da una non celata simpatia per la Russia, da un pronunciato euroscetticismo e da giudizio assai critico per la politica Usa, può non essere condivisibile. Certo è però che le sue tesi non si distaccano di molto da quelle espresse da Kissinger nel recente saggio World Order (Penguin Press 2014) e da quelle formulate dalla rivista statunitense, «Foreign Affairs» (difficilmente sospettabile di nutrire simpatie per il regime di Putin), secondo cui la reazione russa alla sfida dell’occidente era «giustificata e ampiamente prevedibile». Con quella sfida, sostiene Di Rienzo, il Dipartimento di Stato ha dato il via a una crisi globale destinata a minare per i prossimi anni la possibilità di costruire un pacifico ordine mondiale.
Il progetto elaborato nel 1997 da Zbigniew Brzezinski, nel saggio la Grande Scacchiera, poi ripreso dall’amministrazione Bush e Obama, di estromettere la Russia dal «Grande Spazio» eurasiatico e di neutralizzare l’ «arco di crisi», che si estende dall’Afghanistan, al Medio Oriente, all’Africa settentrionale, grazie all’alleanza con le Potenze sunnite e il sostegno alle cosiddette «primavere arabe», è fallito. Per la prima volta, dopo il 1939, l’Europa si trova sull’orlo dell’abisso di un conflitto che potrebbe svilupparsi all’interno dei suoi confini. Allo stesso tempo, il mondo arabo dal Golfo Persico al Levante fino all’Estremo Oriente è in preda alla deriva islamista e minacciosi «venti di guerra» si levano dai Mari della Cina.
(Pubblicato il 22 aprile 2015 – © «il Sole 24 Ore»)