di Giampietro Berti
Cosa sta succedendo in Ucraina? Ci aiuta ora a comprenderlo, con un attualissimo, penetrante saggio, Eugenio Di Rienzo, Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale (Soveria Mannelli, Rubbettino, pp. 104, € 10,00). Per Di Rienzo, il drammatico contrasto apertosi tra Kiev e Mosca conferma in modo clamoroso il prepotente ritorno della geopolitica, la cui logica supera le tradizionali contrapposizioni ideologiche del XX secolo. La geopolitica rende evidente il carattere tendenzialmente caotico e spesso incontrollabile dello sviluppo storico. Quest’ultimo, infatti, diversamente da ogni ottimistica previsione, è sempre attraversato da pulsioni profonde di lungo respiro – religiose, politiche, culturali – e da retaggi provenienti dal passato, che finiscono inevitabilmente per tradursi in conflitti etnici, movimenti separatisti e guerre civili. Ne risulta un quadro capace di rendere la vita molto dura a chi intende risolvere i problemi dimenticando i rapporti di forza che irriducibilmente li condizionano. Solo una lucida e disincanta realpolitik può pertanto condurre a soluzione l’intricato e controverso caso ucraino e favorire nella misura del possibile la costruzione di un meno precario ordine mondiale.
Ma perché quanto avviene in Ucraina coinvolge i più generali rapporti tra la Russia, l’Europa e gli Stati Uniti, riproducendo così, come scrive Di Rienzo, un case study della geopolitica?
L’Ucraina, ricordiamolo, si presenta come un’area geografica priva di confini storici, caratterizzata da una scarsa omogeneità di lingua, di cultura, di tradizioni e di interessi economici condivisi: l’esatto contrario, dunque, di uno Stato nazionale. Sotto il profilo etnico, essa appare fortemente frammentata, in quanto popolata da russi, bielorussi, moldavi, bulgari, romeni, polacchi, ma anche armeni, georgiani, azerbaigiani, greci, tatari. Vi sono inoltre minoranze ebraiche, musulmane e greco-cattoliche, due Chiese “nazionali”, mentre una terza è legata al Patriarcato di Mosca. Si deve infine constatare la divisione tra le popolazioni russofobe, viventi nelle regioni occidentali, e quelle russofile, viventi nelle regioni sudorientali.
L’Ucraina è contrassegnata anche da una rilevante estensione geografica e da un suo specifico peso demografico: all’interno dei suoi settecentomila chilometri quadrati, che ne fanno il secondo Stato più grande d’Europa, abitano quarantasei milioni di persone. La ricchezza delle sue risorse minerarie e agricole; il passaggio nel suo territorio di circa quarantamila chilometri di gasdotti che la collegano alla Russia, all’Unione Europea e all’area del Mar Caspio (un’arteria, che soddisfa il 25-31 % del consumo energetico di Europa e Turchia e il 43 % di quello dell’Italia); l’esistenza infine di due porti sul Mar Nero, Odessa e Sebastopoli: tutto ciò la rende una realtà uno «Stato tampone» che la Russia non può farsi sottrarre dalla sua orbita di influenza. In termini geopolitici, il suo spazio costituisce, infatti, l’intercapedine strategica che separa lo Stato russo dallo schieramento dei Paesi Nato. Si tratta però di un’intercapedine molto stretta, perché vi sono soltanto quattrocentottanta chilometri che separano Mosca dai suoi confini con l’Ucraina. Si consideri pure il fatto che i due Stati condividono una lunghissima frontiera pianeggiante, priva di ostacoli naturali e, quindi, fatalmente esposta a possibili incursioni.
Ci si domanda ora: cosa succederebbe se una Potenza ostile dovesse impadronirsi del “cuscinetto” russo tra Ucraina e Kazakistan? La Russia sarebbe tagliata fuori dal Caspio e anche la sua frontiera sud-orientale sarebbe facilmente violabile. A ciò si aggiunga un’altra considerazione. Poiché un’Ucraina inserita nella sfera occidentale priverebbe lo spazio economico dell’Unione Euroasiatica, egemonizzata dalla Russia, di una forza economica e demografica paragonabile a quella dell’Unione Europea; ne consegue che una Russia amputata dell’Ucraina e un’Ucraina unita all’Unione Europea costituirebbero un’irreparabile sconfitta strategica di Mosca. D’altra parte, gli Stati Uniti e l’Europa non possono certamente accettare un ingrandimento imperiale russo, che finirebbe per alterare il già precario equilibrio esistente in tutta l’area.
Qual è, dunque, la soluzione per uscire da questo aut aut? Una soluzione cioè che, tenendo conto degli oggettivi rapporti di forza, soddisfi accettabilmente tutti i contendenti? Si dovrebbe favorire una «finlandizzazione» dell’Ucraina, tale da rendere equidistante Kiev sia da Mosca che da Bruxelles e Washington. Con il rifiuto d’improntare la loro condotta a questa soluzione suggerita dalla realpolitik, i governi occidentali – in modo particolare gli Stati Uniti – avrebbero invece rinunciato, secondo Di Rienzo, alla possibilità di fare del territorio ucraino un’area neutrale tra i Paesi della Nato e la Federazione Russa. Decidendo di trasformare l’Ucraina in un’arma puntata verso Mosca, l’Occidente ha invece scelto di destabilizzare la coscienza stessa che la Russia ha del suo ruolo nello scacchiere internazionale.
(Pubblicato il 22 febbraio 2015 – © «il Giornale»)