di Alberto Basciani
Affascinante, ambizioso e innovativo è il percorso storico attraverso il quale ci conduce Egidio Ivetic nel suo ultimo volume: Un confine nel Mediterraneo. L’Adriatico orientale tra Italia e Slavia (1300-1900), Viella, 2014. Un saggio di cui protagonista indiscussa è l’evoluzione della complessa vicenda dell’Adriatico orientale dal tardo medio evo fino alle soglie dell’ultima contemporaneità. La prima parte del volume è una scrupolosa, esaustiva ricostruzione dello sviluppo degli antichi Stati e delle città della costa Est dell’Adriatico praticamente dalla fine dell’Impero romano fino quasi ai nostri giorni. Sono pagine dense (però mai caotiche), di avvenimenti e luoghi che aiutano a sistemare in un preciso ordine lo sviluppo storico di quelle frastagliate coste e delle loro genti. Anche rispetto al resto del Mediterraneo l’Adriatico è un mare piccolo, così come relativamente ridotta (a Nord quasi nulla), è la distanza che separa le coste occidentali da quelle orientali. Eppure se le regioni poste a occidente si legano, pur con le dovute eccezioni, all’evoluzione della storia e della civiltà italiane i territori posti a oriente, in particolare dopo la caduta dell’Impero romano, videro lo sviluppo delle loro vicende influenzate in maniera decisiva dall’imporsi delle diverse potenze che fecero di quelle rive i loro rispettivi bacini di espansione da Bisanzio a Venezia fino agli Asburgo passando per altre potenze quali l’Ungheria, la Croazia e non ultimi gli ottomani.
Ma queste furono solo le potenze più importanti, in realtà lo studio di Ivetic mostra bene come per molte decine di anni a cavallo tra il XIII e il XV secolo le coste lungo l’Istria fino all’Albania videro, al pari di altre regioni del Mediterraneo, l’affermazione di orgogliose signorie marinare e muscolosi potentati dell’entroterra. In molti casi si trattò di esperienze non troppo estese nel tempo se non addirittura del tutto effimere; in altri questa fase rappresentò la necessaria premessa a periodi di grande fioritura economica e culturale come, tra tutte, ci mostra la splendida parabola dell’evoluzione dell’antica Ragusa (Dubrovnik). In verità furono poche le realtà capaci di emulare lo splendore raguseo e soprattutto furono rare le comunità che, soprattutto dalla metà del XV secolo, si mostrarono capaci di preservare l’indipendenza di fronte all’inarrestabile espansione di due formidabili potenze tanto diverse ma egualmente ambiziose: Venezia sul mare e gli ottomani nella penisola balcanica. La spinta espansionistica messa in atto dai veneziani e dai turchi cambiò per sempre l’assetto dell’Adriatico orientale e tuttavia queste due straordinarie forze politiche e militari se da un lato ridussero ai minimi termini la presenza di altre libere entità dall’altro fecero delle coste, per esempio di quelle dalmate, un fondamentale snodo per gli scambi commerciali tra i prodotti dell’interno balcanico e quelli che i veneziani portavano invece dal resto del Mediterraneo.
Questo equilibrio fu rotto dalla decadenza della Serenissima e dal costante inesorabile arretramento del dominio ottomano sancito in maniera definitiva dal Congresso di Berlino del 1878. Questo atto internazionale strappò ai turchi il controllo della Bosnia, ne preparò la definitiva espulsione dai Balcani e segnò l’affermazione di una nuova potenza egemone quella asburgica che per la prima e ultima volta nella sua storia divenne anche una potenza marinara e commerciale. Certo il predominio dell’Austria-Ungheria fu ben presto messo in dubbio dal radicarsi di due agguerriti nazionalismi: quello italiano da un lato e quello degli slavi del Sud dell’altro. La sconfitta patita dalla duplice monarchia alla fine della Prima guerra mondiale di nuovo modellò in maniera del tutto originale l’assetto politico ed economico delle coste orientali adriatiche. Di fronte a città che perdevano ricchezza e importanza, come nel caso di Fiume, altre ne acquisivano di nuove energie e risorse, è il caso di Spalato, per esempio, il maggior porto del nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Il resto è storia più recente ma non meno tormentata come le cannonate serbe sui bianchi palazzi di Dubrovnik ci hanno ricordato solo una manciata di anni fa.
Questa affascinante carrellata di avvenimenti è solo la prima parte dello studio di Ivetic, capace di spingersi ben oltre la mera evoluzione politica della regione. Del resto nel corso dei secoli l’alternarsi della supremazia di questa o quella potenza ebbe delle conseguenze di notevole importanza nella delimitazione di nuove frontiere e soprattutto nella dislocazione delle popolazioni lungo tutto il versante orientale adriatico. Anzi secondo l’Autore tra la seconda metà del 1500 e la prima parte del secolo successivo si determinò una delle più massicce trasformazioni che l’intero bacino mediterraneo avesse mai conosciuto e che nei secoli successivi non avrebbe cessato di influenzare lo sviluppo delle coste adriatiche. Tale evoluzione fu dovuta dall’intervento di tre decisivi fattori: l’islamizzazione di massa nelle regioni balcaniche interne, la migrazione massiccia di intere popolazioni da un territorio all’altro e, infine, dalla militarizzazione dei confini. L’impatto pratico provocato da questi tre fattori fu enorme basti pensare all’ingresso nello spazio adriatico delle comunità ortodosse.
Quali sarebbero state le conseguenze lo avrebbero chiarito, a partire dalla metà XIX secolo, l’evoluzione impressa agli avvenimenti dal sorgere sempre più impetuoso dei nazionalismi con esiti che non hanno mai cessato di modellare nuove frontiere. Come scrive Ivetic fu la conseguenza di “uno sviluppo lungo nel tempo, rispetto ad altri luoghi d’Europa: dal 1848 al 1991-92 e oltre, se pensiamo al Montenegro e Kossovo.” (p. 81). Questo lungo excursus ricco non solo di dati ma anche di riflessioni arricchite dall’utilizzo di una bibliografia davvero notevole, in realtà è solo un accorto percorso storico e storiografico preparatorio dell’analisi che sta davvero al centro del volume e cioè la storia dei rapporti tra Italia e Slavia. Una questione controversa, spinosa dove non di rado la discussione storica ha lasciato il passo alla polemica politica anche molto aspra. Ivetic non si sottrae al confronto ma lo fa imboccando la strada più complessa quella cioè di sistematizzare con rigore scientifico la questione risalendo ai secoli tardomedievali e concentrando, molto opportunamente, la sua attenzione sull’evoluzione delle due regioni al centro dell’incontro/scontro tra la civiltà italica e quella slava meridionale: l’Istria e la Dalmazia. Le caratteristiche dello sviluppo storico della regione istriana, la vicinanza e gli influssi esercitati da Venezia e, soprattutto, alcune delle caratteristiche dell’evoluzione economica e civile delle sue tante città lascerebbero pochi dubbi sull’italianità piena, almeno nel medioevo, di quella penisola adriatica.
Eppure a ben vedere, andando oltre lo sguardo superficiale la situazione appare più complessa come testimoniano gli scambi intensi della parte orientale dell’Istria con le terre dalmate e la Croazia. Così mentre la parte costiera appare decisamente romanza in quella interna la presenza slava si fece sempre più marcata e anche nei secoli successivi, segnati dal predominio veneziano, la civiltà italica e veneziana coabitò sempre più strettamente con quella slava. Ancora più complessa la vicenda dalmata dove a entrare in gioco non è solo la potenza veneziana che fece del controllo della costa dalmata l’asse per il dominio dell’Adriatico, ma anche altri grandi attori europei dal momento che anche il territorio dalmata era parte del limes eretto dagli Asburgo per cercare di contenere la pressione ottomana. La Dalmazia giocò un ruolo fondamentale nell’evoluzione della potenza veneziana e dopo la perdita di gran parte dei domini mediterranei essa divenne il principale possedimento della Serenissima che ne riconquistò ampie porzioni a scapito degli ottomani grazie all’ausilio di forze come quelle morlacche. Fu così che l’entroterra dalmata caratterizzato da una più marcata presenza slava cominciò a essere la base da cui queste popolazioni, aiutate dalla forza dei numeri e dalla politica degli Asburgo, cominciarono pian piano a estendersi su un numero sempre maggiore di località costiere. Per il mondo adriatico orientale la decadenza e quindi la fine definitiva della Repubblica veneziana segnò un momento di straordinaria importanza. Se per un verso questi furono anni che videro l’emergere di uomini e classi nuove per un altro le vicende napoleoniche, la presenza sempre più massiccia dell’Inghilterra nel Mediterraneo, la vittoria finale asburgica segnarono per molte località dalmate e istriane un momento di enorme difficoltà al quale faceva da contraltare il progressivo, inarrestabile arricchimento di Trieste.
Nei decenni seguenti la comunità italiana e quella slava seguirono due percorsi paralleli ma destinati ad arrivare a due diversi approdi ormai sempre più inconciliabili. Lo scontro tra il nazionalismo italiano e quello slavo ha caratterizzato una parte importante della vita pubblica istriana e dalmata dalla metà del XIX secolo fino alla Seconda guerra mondiale. L’evoluzione della storia ha deciso dopo il 1945 la fine virtuale della presenza italiana in Istria e Dalmazia e la competizione politica ha lasciato il passo a una non meno accesa rivalità storiografica capace anch’essa di generare infinite e velenose polemiche. Eppure Ivetic nel concludere il suo volume, non rinuncia a una nota di speranza che però più nell’intelligenza dell’uomo pare riposta nell’azione civilizzatrice dello sfondo mediterraneo che, si auspica, “forse più ancora di quello europeo o balcanico, potrà aiutare a riconoscere e accettare una storia di convivenza e di contrapposizione”.