di Marc Fumaroli
Si assiste oggi al tentativo di persuadere gli Europei che siamo debitori di Platone e Aristotele all’Islam, promosso in tal modo al ruolo di educatore dell’Europa moderna. Secondo lo stereotipo, proclamato a sazietà, del “politicamente corretto”, i Bizantini vengono cancellati dalla storia europea: loro che, invece, potevano ben vantare qualche titolo all’eredità greca e alla sua trasmissione all’Occidente latino, oltre che fondate ragioni per non dare credito a una missione educatrice, mediatrice e civilizzatrice dell’Islam in Europa. Istanbul non è che un altro nome per Constantinopoli.
Per quanto accreditato dai suoi odierni adulatori occidentali di averci trasmesso la Grecia, all’Islam non si può però attribuire il merito di averci trasmesso anche la romanità. Ma che importa! La romanità non sarebbe, tutto sommato, che una pura e semplice derivazione grossolana dei Greci, e se ne potrebbe tranquillamente fare a meno per comprendere l’Europa moderna, figlia diretta, per quanto emancipata, della filosofia e della scienza dei Greci. Cancelliamo allora il diritto romano, il genio politico latino, i poeti, i filosofi, gli storici di Roma, dal momento che non hanno avuto l’onore di esserci stati tramandati in traduzione araba per opera di dotti senza dubbio musulmani, ma ai quali, non dimentichiamolo, l’Islam coranico non ha mancato di rendere la vita difficile.
Ma è proprio questa eredità latina, per un aspetto traduzione ed esegesi dei Greci, ma anche banco di prova della loro filosofia commisurata alla luce di un’esperienza storica immensa, a essere la matrice dell’Europa occidentale. Lo è stata nel corso del suo glorioso Medioevo latino ed ecclesiastico, e successivamente nella modernità senza precedenti inaugurata, fra il XIV e il XVI secolo, in piena Cristianità, dagli umanisti italiani, da Petrarca a Machiavelli, restauratori della vita civica e politica romana.
Ignorare la romanità, senza dubbio conquistata dalla Grecia, ma in cambio di una lunga durata di cinque secoli, e ingigantire spropositatamente il ruolo di qualche filosofo musulmano medievale nel processo di riappropriazione da parte dell’Europa occidentale della sua propria antichità greca, equivale a negare e rinnegare le fondamenta stesse della nostra esistenza di Europei. La storia è maestra di vita, scriveva Cicerone. Un’atrofia tanto grave della nostra storia, che coincide con l’indietreggiare delle umanità greco-latine nella formazione delle nostre élites, e ci condanna a scelte politiche imprudenti e a inversioni di volontà di potenza, come ad esempio il processo da alcuni giudicato pressoché irresistibile dell’entrata, nell’Europa dei ventisette, di una Turchia ritornata a essere uno Stato islamico. Un rinnegare se stessa da parte dell’Europa che è stato preparato e viene celebrato, con una sorta di accanimento suicida, da un buon numero dei nostri pubblicisti e politici.
Quale fragile controtendenza a una simile impostura, ma troppo ristretta alle cerchie universitarie e troppo spesso condivisa solo fra specialisti di un medesimo autore, da due generazioni si assiste, in Europa, a un rinnovamento degli studi neo-latini. Studi che invece dovrebbero costituire delle discipline-chiavi della nostra païdeïa moderna, in quanto ci costringono a un confronto costante fra Antichità e Modernità: ma siamo ben lontani dal far tornare i conti. In ogni caso, si tratta di studi indispensabili per uno sguardo retrospettivo, meno parziale e più equilibrato, della grande svolta dell’Europa latina tra il XIV e il XVII secolo. In via preliminare, era necessario riabilitare Cicerone, filosofo, pensatore, politico, moralista. Per quanto la sua opera di filosofo e di moralista sia stata al centro della renovatio litterarum et artium dei secoli XIV e XV, e la sua opera di prosatore e oratore il cuore del dibattito fra ciceroniani e anti-ciceroniani del XVI secolo, a partire dal XIX secolo tutta una scuola filologica e filosofica, soprattutto in Germania, si è impegnata a sminuirlo, sfigurando così il Rinascimento. Alain Michel, in un libro che è diventato un classico, ha operato in modo magnifico la doverosa rilettura di Cicerone, restituendogli il posto che gli competeva nel Rinascimento anti-scolastico. Una nuova comprensione di Petrarca è stata la prima a beneficiare di questa prospettiva più corretta. Il Petrarca neo-latino, filologo e moralista, ha ritrovato finalmente il proprio primato sul Petrarca del Canzoniere. Questo diverso Petrarca, con tutta la sua discendenza, da Bracciolini e Valla fino a Poliziano e Alberti, ha conquistato la dignità filosofica che gli si voleva negare. L’Erasmo degli Adagi e dei Colloqui sarà l’eloquente interprete, nei Paesi dell’Europa del Nord, di questa grande famiglia spirituale italiana che va in crisi con l’invasione francese del 1494, con lo scisma di Lutero, scomunicato nel 1521, e il sacco di Roma del 1527.
Sempre in neo-latino – un neo-latino letterario, capace di grande poesia epica e lirica, e di multiformi stili in prosa, rilanciato da molteplici generazioni di umanisti – si esprime l’appassionato e tragico dibattito del XVI secolo che accompagna la rottura dell’unità religiosa dell’Europa, la confessionalizzazione del cristianesimo latino in molteplici chiese e l’emergere dello Stato come principio supremo di pace civile, che subordina a sé la chiesa e la religione, anziché essere sottoposto alla loro autorità spirituale. L’Islam non ha mai conosciuto niente di simile a questa esplosione terribile e feconda interna alla cattolicità. Ed è da questa esplosione che è nata l’Europa moderna.
*****
Con Opere politiche, Vol. I, La Politica, a cura di Tiziana Provvidera, l’editore Nino Aragno avvia la pubblicazione dei testi politici dell’umanista fiammingo Giusto Lipsio, tradotti integralmente in italiano per la prima volta. I due tomi (I pagg. 394 e II pagg. 498, € 40,00) in uscita a fine maggio.
(Pubblicato l’13 maggio 2012 – © «Il Sole 24 Ore»)