di Corrado Ocone
La vicenda dei rapporti fra Benedetto Croce e Gioacchino Volpe può essere per molti versi assimilabile a quella che legò il filosofo napoletano a Giovanni Gentile, pur nella differenza specifica di un rapporto meno intenso, sicuramente, nel caso di Volpe, ma ugualmente segnato da stima, amicizia, consuetudine scientifica e, almeno fino ad un certo punto, idem sentire. Ovviamente Volpe si attenne sempre ad un terreno di ricerca storico in senso stretto, non concedendosi né escursioni in altri ambiti empirici del sapere né tantomeno voli più o meno pindarici nei cieli della filosofia pura e speculativa. Ma l’idea di rendere concreta la storia attraverso un’ampia considerazione dei fattori economici e sociali che la muovono, insieme alle idee, da una parte, e la sconfessione decisa di ogni schematismo sociologistico e determinismo economico, dall’altra, si può dire che fu la stessa per l’uno e per l’altro.
In entrambi i casi furono i dissidi politici seguiti alla trasformazione del movimento fascista in regime, nel 1925, a rompere definitivamente un’amicizia, finendo per investire pure l’ambito più proprio agli studi ove certe differenze di pensiero e sentire, se pur c’erano, non erano prima messe in risalto o avvertite in modo accentuato. Volpe divenne così per Croce, da “migliore storico della sua generazione”, uno dei rappresentanti più abietti della cultura che si era prostituita al fascismo. Tanto da indurre il filosofo ad essere ingeneroso con l’opera sua, fino a portarlo, ad esempio, a considerare “deprimente” quel vero e proprio gioiello di sintesi storiografica che fu Il Medioevo (pubblicato da Volpe nel 1926).
Tutti i fili di un rapporto prima lineare e poi tormentato e ostile, almeno da parte di Croce, sono ora ricostruiti con perizia storiografica da Eugenio Di Rienzo nell’ampio saggio introduttivo alla pubblicazione, da lui curata, delle circa ottanta lettere che lo storico di Paganica (quindi anche lui abruzzese come Croce ma più giovane di dieci anni) inviò nel primo quarto del secolo scorso al filosofo napoletano: La storia ci unisce e la realtà politica ci divide, un poco. Lettere di Gioacchino Volpe a Benedetto Croce 1900-1927 (Società editrice Dante Alighieri). Il carteggio, che inizia con una missiva in cui un giovane e timido redattore de Il Mattino di Scarfoglio (col quale era fra l’altro imparentato da parte di madre) chiede all’ormai già affermato filosofo, reduce da una controversia col suo maestro Labriola sulla natura e il valore del marxismo per gli studi storici, dei libri in prestito, si interrompe bruscamente quando Volpe, pur sempre rispettoso e deferente, contesta al filosofo ormai fervente antifascista, di essere appunto ingeneroso nei rispetti del suo lavoro scientifico. Così tanto che, alla luce delle sue stesse idee, si può dire che “la sua penna” vada abbondantemente “oltre il suo pensiero”.
Qualche mese prima, a nome anche del direttore Gentile, Volpe aveva chiesto a Croce, in quanto responsabile della parte storica, di collaborare all’Enciclopedia Treccani ricevendone un netto rifiuto: “Come volere che io collabori”, scrisse allora un fresco promotore di un Manifesto antifascista, “a un’Enciclopedia diretta da chi ha pur testé, a Bologna, osato proclamare che la cultura deve essere fascista?”.
In verità, qualche contrasto di visione politica fra i due era sorto anche a proposito dell’intervento italiano nella prima guerra mondiale, che Volpe, il cui conservatorismo liberale aveva un tratto più marcatamente nazionalistico rispetto a quello di Croce, considerava positivamente, come momento fra l’altro, sempre sulle orme di Gentile, di rigenerazione morale e rinvigorimento politico del giovane Stato.
Sia Volpe che Croce sopravvissero al fascismo, ma forse un’uguale sorte toccò loro nel secondo dopoguerra. Nell’Italia repubblicana i due illustri studiosi furono visti entrambi, dalla ormai egemone cultura gramsciazionista, come “vecchi arnesi” di un passato provinciale e di una cultura retriva.
Su Volpe (che morì nel 1971) calò una vergognosa coltre di silenzio, solo smossa dagli studi più recenti, in particolare da Eugenio Di Rienzo e Francesco Perfetti. Quanto a Croce, il suo pensiero “borghese” fu accuratamente depotenziato e la sua opposizione al fascismo fu giudicata solo morale e quindi, in ottica marxista, ineffettuale se non ipocrita.
(Pubblicato il 19 dicembre 2021 © «Libero»)