di Paolo Simoncelli
Recensione al volume di: Alessandro Guerra, Contro lo spirito del secolo. Giovanni Marchetti e la Biblioteca della Controrivoluzione, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2012, pp. 156, € 16,00
Non è nuovo l’Autore a indagare con scavo archivistico e intelligente ricomposizione intellettuale un tema che affascina e sorprende come la Controrivoluzione. È ora soggetta all’attenzione del Guerra la figura del canonico empolese Giovanni Marchetti (1753-1829), vissuto nella periclitante Roma tra i rumori sordi del giansenismo e giurisdizionalismo avvertiti come prodromi certi della tempesta rivoluzionaria: effetto meccanicamente certo di quelle cause sottovalutate nella loro profonda pericolosità. Marchetti non ebbe un ruolo marginale nella storia del pensiero antirivoluzionario: duellò culturalmente con Claude Fleury e Bonaventura Racine, e Scipione de’ Ricci e Pietro Tamburini, fino ad essere il curatore della prima traduzione italiana, nel 1820, del Du Pape di Joseph De Maistre. All’analisi del Guerra non sfugge come Marchetti penetri all’interno di meccanismi di ricostruzione intellettuale di cui aveva avvertito tutta la pericolosità e cui avrebbe opposto tutta una vita di studio, attribuendo dunque le responsabilità della crisi non alle classi politiche ma proprio agli intellettuali. La difesa delle Decretali o la denuncia della strumentalità del mito della purezza della Chiesa primitiva (cui opponeva il non esser mai venuto meno, nei secoli, l’ardore di fede) facevano capo al principio indefettibile della sovranità pontificia, ricostruita con analisi storico-giuridica, ed avvertita come strutturata portante della difesa della Cristianità aggredita subdolamente dai novatori pronti ad una sovversione sociale oltre che religiosa. Lo scoppio della Rivoluzione ne costituiva il quod erat demonstrandum; e l’esproprio dell’asse ecclesiastico, fintamente destinato a scopi di utilità sociale ma diretto a favorire ricchi borghesi e “capitalisti”, dimostrava ulteriormente il previsto saldarsi di cultura antiromana e ceti privilegiati. Alla battaglia culturale aggiunse allora, su invito di Pio VI, l’organizzazione delle “missioni popolari”, dalla natìa Toscana alla Trastevere romana insorgente contro le armate napoleoniche e relative Repubbliche giacobine. Tra i suoi pamphlet, I Paralogismi anticoncordatari ebbero l’attenzione di Melzi d’Eril che ne inviò copia a Napoleone: era la nuova battaglia contro la separazione Stato-Chiesa anzi contro l’espunzione dello Stato dalla Chiesa. Con consequenzialità ideologica Marchetti aveva colto in Napoleone l’origine d’una nuova teologia politica che espunta ogni sacralità assurgeva a “sola religione di Cesare”, senza dunque rinunciare al controllo delle coscienze. La nuove correnti di cattolicesimo liberale, lamennaisiano, che cominciarono a spirare in piena Restaurazione videro però il Marchetti ormai isolato in Curia; era stato consacrato vescovo (e ne aveva sofferto il carico pastorale); Leone XII non si avvaleva più delle sue capacità controversistiche. Ritiratosi a Empoli chiudeva i suoi giorni tra diatribe locali relative al lascito della sua biblioteca: la biblioteca della Controrivoluzione, come la definisce il Guerra. Un destino da “vinto”?
(Pubblicato in – © «Avvenire» – 8 febbraio 2013)