di Eugenio di Rienzo
Di grande interesse, per la storia del nostro Risorgimento, è la recente biografia (Le Bonaparte rouge, Perrin, pp. 634, € 27,00), che Michèle Battesti ha dedicato all’inquieto cugino di Napoleone III: Napoleone Giuseppe Carlo Bonaparte, soprannominato Plon-Plon, che sposò, nel gennaio del 1859, Clotilde di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II. Questa stravagante personalità politica, impietosamente definita dai suoi contemporanei un «Cesare declassato», rappresentò, tra gaffes istituzionali, passi falsi diplomatici, bruschi e incontrollati deragliamenti anticlericali, l’anima popolare e democratica del Secondo Impero. Sarebbe stato, infatti, il leader di questo «bonapartismo-movimento» a lanciare il progetto di una metamorfosi democratica del sistema politico francese, alla vigilia della seconda guerra d’indipendenza italiana.
Secondo, Plon-Plon, il regime bonapartista non poteva impegnarsi in quell’impresa «senza modificare radicalmente la sua politica interna». Il conflitto contro l’Austria, al fianco del Regno di Sardegna, era una guerra destinata a riscuotere vaste simpatie presso gli strati più larghi della popolazione, proprio perché motivata «dalla difesa del principio di nazionalità e dal nobile fine di attuare la ricostruzione politica dell’Italia». Ma quel conflitto doveva provocare anche una rottura tra Napoleone III e i suoi più tradizionali alleati sulla cruciale questione del potere temporale del papato. Sguainando la sua spada per la libertà d’Italia, l’Imperatore avrebbe perso l’appoggio del «partito clericale» e di quei «poteri forti» che avevano favorito il colpo di Stato del 2 dicembre 1851 e sarebbe stato costretto a concedere ampie riforme liberali per conquistare il consenso della borghesia e del proletariato repubblicano.
Dopo l’armistizio di Villafranca, che gli sembrò terminare la «guerra rivoluzionaria» del 1859 con un meschino compromesso diplomatico, Plon-Plon non nascose la sua irritazione. Per Napoleone Giuseppe Carlo, quell’atto rinvigoriva il potere del fronte reazionario, legato al mantenimento dello status quo interno e internazionale. In questo modo, Napoleone III rischiava di perdere una volta per tutte la storica occasione di allargare la «sfera della libertà» e di trasformare il suo regno in un «Impero democratico» diverso da tutte le altre monarchie europee.
Di questi sentimenti, egli si sarebbe fatto interprete ancora nel 1862, proclamando l’improcrastinabile necessità di espellere Pio IX da Roma, per rendere finalmente possibile l’unità della nazione italiana, e aggiungendo che questo obiettivo avrebbe dovuto prevalere sulle cautele ufficiali che ancora legavano le mani all’Imperatore. Nel marzo del 1865, infine, Plon-Plon, ormai ufficialmente divenuto la «suocera del regime», avrebbe accusato Napoleone III di tradire l’eredità del suo grande avo, tollerando l’esistenza dello Stato della Chiesa che costituiva «una fortezza medievale posta al centro della Penisola e un focolaio della reazione costantemente all’opera contro la Francia e contro l’Italia».
(Pubblicato il 22 febbraio 2011 – © «Corriere della Sera»)