di Eugenio Di Rienzo
Nuova Rivista Storica dedica un numero monografico, curato da Massimo Bucarelli e Silvio Labbate, agli sforzi dell’Eni per superare le crisi petrolifere degli anni Settanta. Un ambito di studio ancora poco frequentato. Il direttore Eugenio Di Rienzo fa qui il punto sui risultati delle ricerche.
L’assenza pressoché totale di ogni fonte primaria in grado di produrre energia ha condizionato costantemente lo sviluppo industriale e il ruolo internazionale dell’Italia, ripercuotendosi non solo sui costi della crescita economica, ma anche sull’autonomia delle iniziative politiche. Un problema di stringente attualità ancora oggi, tanto da influenzare le posizioni prese da Palazzo Chigi nella crisi tra l’Ucraina e la Russia, che è uno dei nostri maggiori fornitori di gas e di petrolio.
Questa debolezza strutturale è stata all’origine del deciso intervento dello Stato nel settore energetico e in particolare in quello petrolifero, culminato nel secondo dopoguerra nell’istituzione dell’Eni, società pubblica incaricata di promuovere e attuare iniziative d’interesse nazionale nel campo degli idrocarburi. Nel corso degli anni Cinquanta, l’ente fondato e guidato da Enrico Mattei ha tentato in vari modi, in concorrenza e spesso in contrapposizione con le potenti multinazionali anglo-americane e francesi, di sviluppare una politica energetica autonoma corrispondente sia alle esigenze produttive del paese, che alle aspirazioni politiche di giocare un ruolo centrale nello scacchiere mediterraneo e mediorientale.
Su questo importante tratto di storia del nostro Paese esiste ormai un’ampia letteratura che ha analizzato gli «anni ruggenti» dell’Eni. Il post-Mattei, invece, con le sue numerose criticità e contraddizioni è stato oggetto solo di poche ricerche scientifiche e documentate. Uno dei contributi più originali in questo senso è certamente rappresentato dal numero monografico della Nuova Rivista Storica, curato da Massimo Bucarelli e Silvio Labbate, dedicato agli sforzi dell’Eni per fare fronte alle crisi petrolifere degli anni Settanta.
I saggi contenuti nel fascicolo, tutti opera di giovani, sperimentati studiosi, prendono in esame un arco temporale – il decennio che va dalla fine degli anni Sessanta a quella degli anni Settanta – durante il quale il mercato petrolifero mondiale fu scosso da eventi di portata eccezionale prodottisi nella regione mediorientale. Le guerre arabo-israeliane con la conseguente chiusura del canale di Suez, l’embargo petrolifero degli Stati arabi contro le Nazioni occidentali schieratesi a fianco di Tel Aviv, la decisione dei Paesi produttori di aumentare il prezzo del greggio, le nazionalizzazioni delle grandi concessioni petrolifere mediterranee e mediorientali, la rivoluzione libica di Gheddafi, quella islamista di Khomeini in Iran, la definitiva presa del potere da parte di Saddam Hussein in Iraq. Le conseguenze di questa complessa congiuntura sull’andamento delle economie industrializzate furono tali da causare una delle maggiori crisi economiche e finanziarie del Novecento, caratterizzata da inflazione galoppante, bassi tassi di crescita, livelli di disoccupazione sempre più elevati e instabilità monetaria.
L’Italia fu uno dei Paesi più colpiti dalla crisi. L’aumento dei costi energetici si andò ad aggiungere al forte incremento del costo del lavoro, al disavanzo pubblico sempre più incontrollato, al rialzo del prezzo delle materie prime e all’indebolimento della lira. Tutto ciò contribuì a innescare un processo inflazionistico senza precedenti nella storia dell’Italia postunitaria. Ne derivò un ciclo recessivo, segnato, nel biennio ’73-’75, dalla diminuzione del 3,5% del Pil e dalla rapida caduta della produzione industriale.
I lavori raccolti da Bucarelli e Labbate analizzano le reazioni della politica italiana e dei vertici dell’Eni di fronte al terremoto economico degli anni Settanta, ricostruendo nel dettaglio le strategie elaborate e attuate per limitarne gli effetti disastrosi. Il quadro che emerge è quello di una classe dirigente, in grado di reagire alla crisi, non solo tentando di contenere le spese con un piano di razionalizzazione dei consumi energetici. La scelta dell’austerity si affiancò, infatti, alla sigla di accordi diretti con i Paesi mediorientali produttori di greggio e al lancio di cospicui investimenti nella ricerca mineraria in Italia e all’estero.
Una decisione, questa, che fu poi di fondamentale importanza per la definitiva affermazione dell’Eni tra le grandi multinazionali mondiali dell’energia. In sintesi, la ricetta adottata dal nostro ceto politico e dalla dirigenza dell’Ente fondato da Mattei non fu unicamente quella del rigore, utile e necessaria ma solo nel breve periodo. Cercando di dominare gli eventi in una prospettiva di lunga durata si scelse, invece, di percorrere la via della promozione d’investimenti a carattere pubblico e di coraggiose iniziative di sviluppo, indispensabili per assicurare la crescita economica e la stabilità sociale. I «capitani coraggiosi» dell’Eni guardarono, allora, con coraggio al futuro, offrendoci una lezione che oggi ritrova tutta la sua bruciante attualità.
(Pubblicato il 15 ottobre 2014 – © «il Giornale»)