di Natascia Festa
Sono stato sguattero e facchino. La vita è terribile e bellissima.
Non mi ha mai deluso»
«Ho fatto lo sguattero, il facchino e l’aiutante dei militari francesi e americani… Ho iniziato a studiare nella Biblioteca Circolante di via Latilla, quando abitavo a Montesanto. Qui iniziai a formare una biblioteca tutta mia, con trecento volumi che custodivo in una cassapanca. Questa però fu attaccata da animalacci e quei volumi andarono quasi del tutto perduti…». Così lo storico Giuseppe Galasso — che domenica scorsa ha compiuto 88 anni — si racconta in un’intervista al suo allievo Aurelio Musi che sarà pubblicata nel primo fascicolo, 2018, di Nuova Rivista Storica, col titolo Ragione e passione storica. Ieri [20 novembre 2017 ndr], al Maschio Angioino, nella sede della Società di Storia Patria, lo studioso ne ha anticipato alcuni brani nell’incontro-omaggio, Giuseppe Galasso e la storiografia europea, organizzato in suo onore da Luigi Mascilli Migliorini — con l’Università l’Orientale dove insegna e l’istituto ospitante — che ha coordinato il pomeriggio nel salone gremito di amici, colleghi e allievi di varie generazioni, da Piero Craveri a Cesare De Seta e Massimo Lo Cicero fino ad alcune borsiste straniere dell’Istituto Italiano per gli Studi storici. Lo spunto della discussione erano i due libri più recenti di Galasso, Storia della storiografia italiana. Un profilo (Laterza) e Storiografia e storici europei del Novecento (Salerno).
E se gli chiediamo se c’è qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha fatto nella vita, Galasso si concede una brevissima pausa, corruga la fronte per poi lasciare che il più vitale dei sorrisi gli illumini il viso: «Ho avuto tante volte l’impressione e la volontà di farmi io stesso una “mia vita” nella vita. E altre volte ho avuto l’impressione invece che fosse la vita a chiamarmi da qualche parte: oggi credo di non aver forzato la vita più di quanto essa non abbia forzato me. Dal mio punto di vista individuale, l’esistenza non mi ha deluso, anche se mi ha riservato complicazioni, difficoltà e fatiche gravi e forti. Spero, a questo punto, di non aver io deluso troppo la vita nella mia personale vicenda e nel mio senso di non delusione. Poi si sa, essa può essere terribile e io so quanto, ma pure bellissima, irresistibile e coinvolgente sempre, anche quando talvolta esclude…».
Andrea Giardina della Scuola Normale Superiore di Pisa, spiega qual è l’aspetto più importante della lezione di Galasso: «È lo storico — dice — che più di ogni altro in Italia e in Europa è in grado di conoscere, dominare e ripensare l’intera Storia. Il suo sguardo generale su tutti i periodi e le epoche è un modello non riproducibile perché legato alla straordinarietà dell’individuo Galasso. Tuttavia questa peculiarità gli consente un’estrema libertà di pensiero che diventa libertà civile. Galasso ha, inoltre, una conoscenza totale della storia della storiografia, aspetto che rafforza l’unicità del suo modello». Che, se non è riproducibile del tutto, indica certamente una strada, un metodo. Qual è? «Direi che consiste nella necessità di scardinare, pur sempre nel rigore dell’erudizione, i confini della periodizzazione storica, andando oltre gli specialismi — che per uno storico devono essere scontati — con la curiosità e la passione di guardare altrove. È uno storico “totale”».
E la «capacità di guardare l’altro» è anche una delle caratteristiche del metodo Galasso messe in evidenza dal tedesco Martin Baumeister: «La storiografia del maestro napoletano non è una penisola, ma un continente da esplorare all’interno del quale egli ha sempre cercato di capire l’altro: l’altra città, l’altro luogo, fino alla creazione di uno spazio europeo. I territori contano. Napoli non è un posto qualunque ma l’incarnazione del Mediterraneo del Sud e del suo protagonismo storico. E oggi può vantare una speciale “resilienza” di fronte alla globalizzazione. La riflessione sulla storiografia è un’altra caratteristica degli studi di Galasso: guardando all’opera degli altri, quella propria guadagna un respiro e un’ampiezza maggiori. Egli si oppone con tutte le sue forze alla frammentazione del sapere, a favore dell’unità storica e del pensiero metastorico. L’approccio empirico ha sempre alle spalle una forte carica filosofica. La sua è un’interrogazione critica ai fatti. E leggo anche una vena di scetticismo riguardo alla internazionalizzazione crescente della storiografia. Mi dispiace, infine, cogliere questa occasione per dire che in Italia non vedo la volontà politica di sostenere lo sviluppo delle discipline umanistiche incarnate nel magistero di Giuseppe Galasso».
Arriva dalla Spagna José Enrique Ruiz Domènec e si sofferma sullo scrittore. «In Storiografia e storici europei del Novecento, oltre che un’affinità elettiva tra i protagonisti scelti, nell’indagine di Galasso c’è un andamento geometrico con una struttura a tre: ogni studioso analizzato ha una genealogia che risale di tre gradi. Qui, il meno freudiano degli storici compie un atto freudiano, quando in una nota dice di aver perso un libro che cercava. Così introduce il personaggio-Galasso intento al suo lavoro. E lo fa anche una seconda volta quando entra in dibattito con Jacques Le Goff». La chiosa del «festeggiato» è crociana. «Mi sento come Giolitti — dice — che, nel 1928, scrisse a Croce il quale gli aveva inviato un suo libro. Lo ringraziò e, per amor di precisione, disse: “Ho letto questo testo e ho scoperto di aver fatto tante di quelle cose che non sapevo d’aver fatto”. Era un vezzo scherzoso e stasera glielo rubo».
(Pubblicato il 21 novembre 2017 – © «Corriere del Mezzogiorno» – Cultura)