di Eugenio Di Rienzo
Dopo un lungo, estenuante colloquio con Francisco Franco avvenuto, il 23 ottobre 1940, nella cittadina francese di Hendaye, Hitler confidò a Mussolini di «preferire di vedersi strappati tre o quattro denti piuttosto di dover nuovamente parlare con un uomo simile». Franco infatti, aveva decisamente respinto la proposta del Führer di fare entrare la Spagna a fianco dell’Asse, dimostrandosi sordo alle intimidazioni del capo della Germania nazista che nei mesi precedenti aveva fatto intendere di essere disposto a piegare la resistenza di Madrid anche attraverso l’invasione del territorio iberico. Dai documenti dei Nationales Archives di Londra, apprendiamo ora che il rifiuto di Franco ad aderire a quella che si prefigurava come una «brutale alleanza» era avvenuto al termine di un durissimo scontro tra l’«ala interventista» guidata dal ministro degli Esteri Ramón Serrano Súñer, appoggiata dal movimento falangista, e quella «neutralista» rappresentata dalle alte gerarchie militari, sulla cui linea si era infine schierato anche il Caudillo. Alla metà di settembre, il conflitto tra i due gruppi aveva toccato il culmine, quando Berlino, in cambio del via libera ad occupare la base inglese di Gibilterra e a far transitare le proprie truppe sul suolo spagnolo per raggiungere di lì l’Africa settentrionale, prospettava a Súñer un ruolo di primo piano per Madrid nel «nuovo ordine europeo», insieme all’acquisizione del Marocco francese e alla promessa di ingenti aiuti economici.
Il no a questo programma di Franco, che intanto aveva posto sotto sovranità spagnola Tangeri, fino a quel momento affidata ad un protettorato internazionale, non arrestava i progetti di Hitler. Il 20 luglio del 1941, il responsabile degli Esteri Anthony Eden comunicava ai suoi colleghi di gabinetto che «lo scoppio delle ostilità tra Germania e Russia aveva ridotto drasticamente le possibilità di Madrid di resistere alle pressioni naziste», come dimostrava l’organizzazione di un corpo di spedizione spagnolo (la famosa División Azul) da impegnare sul fronte orientale. L’invio dei volontari franchisti a supporto dello sforzo bellico contro l’Urss era però l’unica concessione militare che Hitler riusciva a strappare. La Spagna restava, infatti, in una situazione di benevola neutralità nei confronti dell’Asse, limitandosi ad approvvigionare la Germania di materie prime, in spregio al blocco navale inglese, a concedere basi sicure sulle proprie coste ai sottomarini tedeschi, a trasformare Tangeri in un vero e proprio santuario dello spionaggio nazista.
Tutto questo non soddisfaceva il Führer che nel luglio e poi nel dicembre 1941 ammassava nuovamente un forte concentramento militare a ridosso dei Pirenei, con una mossa che ammorbidiva Franco rendendolo disposto ad accettare la politica filo-germanica di Súñer. L’ostilità dell’opinione pubblica spagnola e delle forze armate impedivano però il passaggio della Spagna dalla non belligeranza alla belligeranza attiva. Lo stesso Súñer abbandonava la sua precedente posizione interventista. Il 24 dicembre, l’ambasciata inglese a Madrid comunicava la notizia che l’intelligence tedesca stava organizzando un colpo di Stato per defenestrare sia Franco che Súñer e riportare sul trono il pretendente borbonico ritenuto più favorevole ad un’intesa con l’Asse. Fallito questo tentativo, la Spagna restava comunque esposta alla minaccia di un’invasione, fino al gennaio del 1943, quando Madrid iniziava la sua manovra di sganciamento dall’orbita nazista.
Il 23 marzo del 1944, il governo spagnolo intensificava i suoi rapporti commerciali con Londra, in modo da favorire l’apertura del secondo fronte europeo. Il 18 ottobre Franco inviava a un messaggio personale a Churchill proponendo un pieno riavvicinamento del suo paese alla Gran Bretagna. Il moloch nazista era ormai al tracollo, scriveva Franco, ma un nuovo pericolo veniva dall’espansionismo russo attivo anche nei paesi dell’Europa occidentale «dove il legittimo governo italiano non riusciva a controllare le formazioni comuniste e dove i macquis francesi proclamavano la loro volontà di instaurare una Repubblica sovietica nel loro paese». Se la necessità di stringere un’alleanza antibolscevica appariva quindi urgente, non meno improrogabile, continuava il Caudillo, era l’obiettivo di ricostruire l’edificio politico europeo minacciato dalla superpotenza statunitense che aveva allargato la sua egemonia dal Pacifico, all’Atlantico, al Mediterraneo.
A questa proposta di partnership, il governo inglese opponeva un’infastidita accoglienza. Nella riunione di gabinetto del 18 novembre, Eden definiva l’offerta di Franco irricevibile dato che per tutta la durata del conflitto la Spagna si era comportata «come un paese satellite della Germania, simile al governo fantoccio di Quisling in Norvegia». Inoltre, nessuna possibilità d’intesa poteva sussistere tra la Gran Bretagna e una nazione il cui sistema totalitario in nulla si differenziava da quello hitleriano. Più cauta era però l’opinione dell’ambasciatore inglese a Madrid, Samuel Hoare, il quale ammoniva che «un atteggiamento pregiudizialmente ostile di Londra avrebbe potuto favorire un’insurrezione rossa contro il regime franchista». Come, il 9 agosto, aveva messo in chiaro il memorandum del Foreign Office (Soviet Policy in Europe), l’Inghilterra poteva forse vedersi costretta ad abbandonare alla tirannia stalinista i paesi dell’Europa orientale ma non quelli dell’area mediterranea e avrebbe contrastato con la forza un’insurrezione filo-sovietica in Grecia, Italia, Francia, Spagna. A questa strategia si uniformava anche la risposta di Churchill al Caudillo del 10 dicembre, dove, se si escludeva un improvviso rovesciamento di fronte contro l’Urss, si auspicava comunque che la Spagna, dopo un non breve periodo di «purgatorio diplomatico», potesse tornare ad essere parte integrante di una larga intesa occidentale in grado di fronteggiare una possibile aggressione orchestrata dal Cremlino.
(Pubblicato il 7 giugno 2010 – © «il Giornale»)