di Corrado Ocone
Passa un anno, passa l’altro, sostiene Eugenio Di Rienzo, nel suo D’Annunzio diplomatico e l’impresa di Fiume (Rubbettino Editore, 928 pp., € 45,00) ma la storiografia sul Poeta-soldato continua ad aggirarsi nel cerchio stretto di due vessate interpretazioni. Da una parte, si persevera a sostenere che il Comandante di Fiume impersonò il ruolo di “Giovanni Battista del fascismo”. Dall’altra, invece, ci si ostina a bruciare incenso sull’altare di un D’Annunzio democratico, libertario, socialisteggiante, addirittura affascinato dal verbo comunista incarnatosi nella Rivoluzione d’ottobre. La prima interpretazione, non pare, a Di Rienzo, poter esser presa in considerazione neppure incastonando il D’Annunzio politico nella categoria del “Nazionalfascismo” forgiata da Luigi Salvatorelli nel 1923. Detto questo, però, continua Di Rienzo, resta indubbio che il regime saccheggiò il Fiumanesimo dei simboli, della liturgia, delle parole d’ordine, dei metodi della propaganda politica. E in primo luogo del rito populista del “discorso dal balcone”, in cui si esercitò prima D’Annunzio dalla chiostra del Palazzo del Governo di Fiume e poi per molti anni Mussolini dalla loggia di Palazzo Venezia.
La dittatura littoria, inoltre, si appropriò anche delle linee guida della politica estera partorita da D’Annunzio nel capoluogo del Quarnaro: l’espansionismo mediterraneo, la guerra per procura contro la Jugoslavia e la Grecia, l’alleanza con i “vinti della Grande Guerra” (dall’Ungheria, alla Germania, alla Turchia), la “crociata del sangue contro l’oro” intrapresa dalle “Nazioni giovani e povere contro la plutocrazia delle Potenze democratiche”. Eppure, anche, su questo piano, afferma Di Rienzo, i conti del rapporto di filiazione del fascismo dal dannunzianesimo non tornano del tutto. Se si pensa, in primo luogo, «all’opposizione sorda ma tenace ed efficace che il futuro Duce, al di là dei tanti proclami di sostegno e di un limitato aiuto finanziario, oppose sempre all’impresa di Fiume, salvo servirsene a meri fini propagandistici». E se si considera che, «nonostante i tanto duri contrasti di D’Annunzio con la Douce France, sua terra d’asilo dal 1910 al 1915, esplosi nei quasi 500 giorni di Fiume, l’eroe della Beffa di Buccari, durante la crisi internazionale scatenata dalla Guerra d’Etiopia, si sforzò di resuscitare l’intesa latina tra l’Italia e la “sorella d’oltralpe”, per scongiurare, infine, il sempre più gallofobo Mussolini, al ritorno dal suo trionfale viaggio in Germania del settembre 1937, di arrestare la funesta marcia di avvicinamento di Roma a Berlino». Per quel che riguarda poi, l’interpretazione del D’Annunzio politico in chiave democratico-progressista, del tutto compiacente e artatamente assolutoria, Di Rienzo ricorda come la Carta del Carnaro, «prodigo nella concessione dei diritti civili e nell’espansione di quelli politici e sociali, senza distinzione di etnia o di genere, mediante l’introduzione del referendum d’iniziativa legislativa popolare, la consacrazione del principio del suffragio universale, l’abolizione della religione di Stato, e la forte inclinazione verso un “socialismo popolaristico”, si rivelò essere, nei fatti, un semplice castello in aria».
Il vero D’Annunzio politico fu però, secondo Di Rienzo, il D’Annunzio diplomatico, che, dopo le delusioni del Congresso della Pace, e l’insulto della “Vittoria mutilata” invitò gli Italiani «a distogliere lo sguardo dall’Occidente che non ci ama per volgerlo verso Oriente». Con quell’invito, il letterato riprese il grande sogno eurasiatico di Alessandro Magno, ereditato dalla Roma dei Cesari, con Nerone, Adriano, Costantino, Giuliano l’apostata, varando il progetto di quella “Lega dei popoli oppressi”, concepita come “Anti-Società delle Nazioni”, che doveva estendersi dall’Ungheria, alla Bulgaria, ai Fiamminghi, ai Catalani, ai “negri degli Stati Uniti”, alle “Repubbliche latine d’America”, agli Sloveni, ai Croati, schiacciati sotto il tallone della Jugoslavia. Fino a comprendere Turchi, Egiziani, Afghani, Indiani, Cinesi, e le immense masse mussulmane della Palestina, della Siria, del Libano dell’Iraq sottoposte, dopo il 1919, all’oppressivo duopolio franco-britannico. Un progetto che in quegli stessi anni, ci fa notare Di Rienzo, anche Mosca stava cercando di realizzare estendendo l’egemonia della Russia bolscevica dal Caucaso, all’Afghanistan, al Kazakistan, al Kirghizistan, al Tagikistan, al Turkmenistan, all’Uzbekistan.
(Pubblicato il 28 ottobre 2022 © «Libero» )