di Luigi Morrone
Il Direttore di Nuova Rivista Storica Eugenio di Rienzo prosegue i suoi studi sulle figure di Gioacchino Volpe e Benedetto Croce pubblicando per la collana “Minima Storiografica” della rivista edita dalla Dante Alighieri, il volume “La storia ci unisce e la realtà politica ci divide, un poco”, in cui, anche attraverso un suo saggio introduttivo, scandaglia il complesso rapporto tra i due giganti della cultura italiana del XX secolo (abruzzesi entrambi) attraverso l’analisi della fitta corrispondenza tra i due nell’arco di quasi un trentennio (dal 1900 al 1927).
Il titolo del saggio è tratto proprio da una frase della lettera scritta da Volpe a Croce il 22 gennaio 1916, quando Volpe, convinto interventista, scriveva al neutralista Croce un auspicio di vittoria nella guerra in cui l’Italia era intervenuta qualche mese prima. Volpe con questa breve frase fotografava alla perfezione il rapporto con Croce.
Pur essendo entrambi esponenti della destra liberale, li divideva l’idea di Nazione. Per Croce, l’Italia avrebbe dovuto costruire la sua identità nazionale guardando al suo interno e per Volpe, invece, era imprescindibile l’affermazione dell’Italia come potenza per potere imporsi anche quale Nazione indipendente da condizionamenti stranieri. La dicotomia tra le due concezioni di Nazione di Volpe e Croce si era già manifestata ai tempi della “Impresa di Tripoli” del 1911: la guerra contro la Turchia per la conquista della Libia era stata entusiasticamente sostenuta da Volpe e violentemente osteggiata da Croce.
Ma era vera, in quel momento, anche l’altra allocuzione. La storia accomunava i due personaggi. L’epistemologia storica di Volpe e Croce procedeva dal medesimo sostrato, che si opponeva al determinismo degli storici materialisti. Se Volpe vedeva in Croce il maestro di una «concezione realistica della storia, la quale segna le opposizioni a tutte le teologie e metafisiche», Croce scorgeva in Volpe la possibilità di indurre nel campo dell’analisi del passato una profonda revisione e un depotenziamento del materialismo storico, in opposizione alla sua deriva in chiave di sociologismo positivistico e soprattutto alle sue implicazioni più direttamente pratico-politiche. L’avvento del fascismo allontanerà in modo definitivo i due. Se – infatti – Volpe, aderì in modo militante, ancorché non prono al verbo di Palazzo Venezia, molto più problematico fu l’approccio di Croce, nel quale – pure – Volpe vedeva un precursore del Fascismo. Il filosofo di Pescasseroli, infatti, non fece mancare il suo apporto al Governo Mussolini, votandone la fiducia anche nel momento più drammatico, quello successivo al delitto Matteotti, ma se ne allontanò ben presto, .
L’opposto atteggiamento dei due rispetto al fenomeno fascista ebbe ridondanza anche sui rapporti personali, che si deteriorarono a tal punto, che Croce sminuì persino la validità scientifica dei lavori storici di Volpe, rovesciando il giudizio positivo su di essi che si era protratto fino al 1924. Come nota Di Rienzo, in realtà il dissidio fu solo politico e fu Croce e solo Croce a volerlo far passare come divisione sul piano scientifico, esacerbando giudizi ingenerosi sugli studi di Volpe, soprattutto per il volume sulla costruzione dell’identità nazionale, “L’Italia in cammino”, sul cui titolo Croce giocava con crudo sarcasmo.
Ed è sempre Di Rienzo a riconoscere che Croce arrivò a stravolgere la concezione volpiana della storia, attribuendo a Volpe una vicinanza alla concezione di Heinrich von Treitschke e degli altri teorici tedeschi dello «Stato potenza», ai quali – in realtà – era stato il Croce ad avvicinarsi a cavallo tra i due secoli.
La lettura dell’epistolario e le valutazioni sempre condotte sine ira ac studio da Di Rienzo, ci consegnano uno “spaccato” della cultura italiana del primo trentennio del secolo scorso imprescindibile per la comprensione del dibattito culturale sviluppatosi in quegli anni.
(Pubblicato il 14 marzo 2022 © «Quotidiano del Sud»)