di Paolo Simoncelli
Sbollita la fase più calda della disputa sui modi e sui sentimenti con cui festeggiare il prossimo 150° dell’unità nazionale si è iniziato a lavorare, lontano dal proscenio e dall’ufficialità. È infatti appena uscita una breve eppur densa antologia di scritti economici di Cavour (Scritti economici, a cura di P. Barrotta, M. Bertoncini, A. G. Ricci, Ravenna, Libro Aperto, 2009, pp. 142, € 15,00), tratti essenzialmente dagli interventi pubblicati nel corso del primo anno di vita (1848) della sua stessa rivista, «Risorgimento». Ne risulta un volume apprezzabile per misura e sostanza. Tradizionali le posizioni cavouriane tese a vedere risorgimento politico e risorgimento economico, libertà politica e libertà economica strettamente connesse; i curatori anzi ne hanno approfittato per una breve digressione di semantica politica sullo sviluppo successivo (e negativo) della coniugazione di liberalismo, trasformato abusivamente in liberismo e oggi automaticamente e inconsciamente associato a «selvaggio». Tutt’altra la vicenda e le origini della tradizione che collega Cavour a Einaudi e che incrocia la grande convulsione europea del ’48, in particolare francese dove l’affiorare prepotente delle dottrine socialiste e comuniste destano allarme in Cavour («Non sono l’idea di repubblica e di democrazia che spaventino, è lo spettro del comunismo che tiene tanti animi dubbiosi e sospesi»); allarme che tuttavia non provoca alcun intento «reazionario», piuttosto appello a opporre filosofia a filosofia, economia a economia per «impedire ad alcuni spiriti di aggrapparsi a utopie la cui impraticabilità emerge chiaramente e facilmente da semplici considerazioni economiche».
Gli interventi di Cavour sulla crisi francese appaiono vivi come quelli di un odierno inviato speciale dal fronte; fronte di una crisi gravissima con tanto di passaggio istituzionale dalla monarchia costituzionale orleanista alla repubblica socialista; interventi e analisi dei vari schieramenti ideologici e delle rispettive proposte economico-sociali fanno rivivere con la freschezza della testimonianza del contemporaneo le figure di Blanc, Blanqui, Ledru-Rollin… sullo sfondo ancora inquietante di Robespierre e della «democrazia tirannica» del 1793. A fronte di queste convulsioni dogmatiche, e di quella drammatica origine rivoluzionaria che sembrava dunque riproporle in nuove vesti, Cavour non nascondeva una posizione politicamente più pragmatica ed economicamente opposta: l’obbligo della promozione sociale del povero senza l’obbligo della correlata «punizione del ricco». E che dunque poté portarlo ad avversare, prima nelle discussioni alla Camera subalpina, poi sul «Risorgimento», l’imposta progressiva, avvertita come norma «diretta a colpire con mezzi indiretti il principio di proprietà».
Interessante in particolare un intervento del gennaio ’48 dedicato alle coeve finanze pontificie, tutt’altro che dissestate come da diffusa vulgata politico-diplomatica: non solo il debito pubblico pontificio, confrontato da Cavour a quello delle grandi monarchie europee (Francia, Inghilterra, Belgio) appariva molto minore e dunque ben più sostenibile, ma veniva dato atto a monsignor Carlo Morichini che, su incarico di Pio IX, aveva appena portato a termine una Relazione sullo stato delle finanze romane e sui modi di provvedervi, di aver agito con lucidità e rigore e, soprattutto, di aver anticipato una misura essenziale di correttezza: la pubblicità delle informazioni sul bilancio. Misura non ancora presa nel regno sabaudo e, con questa occasione, auspicata allora dal Cavour come «grande e salutare miglioramento amministrativo», utile non solamente in previsione di periodi di prossima crisi (già dunque politicamente messi in conto).
(Pubblicato il 16 gennaio 2010 – © «Avvenire»)