di Marina Cavallera
È uscita nella “Biblioteca della Nuova Rivista Storica”, Società Editrice Dante Alighieri, la monografia di Alessandro Cont, Giovin signori. Gli apprendisti del gran mondo nel Settecento italiano. Un saggio che indaga il mondo dei giovani appartenenti alle élite italiane nel secolo XVIII. L’autore, uno specialista in tema di nobiltà di antico regime, è già largamente noto per averne studiato a più riprese le caratteristiche attraverso sondaggi e casi studio, i cui risultati sono stati pubblicati in sedi diverse, non ultima tra queste la stessa «Nuova Rivista Storica». Anche qui egli si avvale di competenze derivate dal suo ruolo di archivista presso la Soprintendenza per i Beni Culturali della Provincia autonoma di Trento un osservatorio privilegiato, che gli ha consentito di conoscere fonti primarie poco note e di accedere ad archivi privati non facilmente raggiungibili, utilizzando inoltre un ricco e sempre puntuale apparato iconografico. Si tratta essenzialmente di una ritrattistica che consente all’autore di dare maggior corpo ai soggetti su cui si sofferma e mediante i quali egli ci offre esempi concreti. A tale scopo Alessandro Cont non guarda soltanto la più importante e nota ritrattistica su cui gli storici dell’arte hanno indagato, ma anche quella minore, prevalentemente inedita, che pure, per gli obiettivi di uno storico non presenta certo minore interesse.
È tuttavia la conoscenza a tutto tondo della letteratura ormai classica sulla nobiltà italiana di antico regime, la riflessione attorno a quella più recente e aggiornata, a livello internazionale, a rappresentare un ulteriore punto di forza di questa ricostruzione complessiva su quei fattori che nel Settecento contribuirono alla formazione del “giovin signore”. Si tratta di un obiettivo non facile quello di offrire al lettore un quadro d’insieme sulla realtà italiana del Settecento che ha imposto all’autore di riconsiderare sotto nuova luce problematiche che a prima vista potrebbero sembrare scontate poiché riconducibili ad un contesto ben noto e sul quale i giudizi in senso negativo sembrano essere sempre stati unanimi. Tanto maggiori si presentano le difficoltà di costruzione di un quadro generale dato che l’autore qui si pone come obiettivo quello di rintracciare fattori omologanti e valori condivisi, in un quadro complesso quale quello italiano, contraddistinto dalla molteplicità di condizioni politiche e istituzionali, sociali ed economiche che continuavano a caratterizzarne, all’epoca, gli antichi stati della nostra penisola.
Tuttavia l’obiettivo che Alessandro Cont in questa sede si pone è quello di studiare quelle generazioni di giovani che nel secolo XVIII si dovettero confrontare con una realtà sociale in trasformazione, orientata verso nuovi affacci di carattere internazionale e di dimensione quantomeno europea. In tale prospettiva avviene anche l’implicito ripensamento sulle negatività dei molti assunti che sempre persistono e che già nel Settecento gravavano sulla realtà nobiliare dalla quale le sue nuove generazioni non venivano escluse, per condannarne abitudini, comportamenti e educazione. A testimoniarlo stanno le opere di autori di primo piano nel quadro della letteratura del secolo, a partire da Il Giorno di Giuseppe Parini che – non a caso – Alessandro Cont cita in apertura del volume, fino alle commedie di Carlo Goldoni dove pure ritorna sovente lo stereotipo del «nobiluomo» con la sua albagia, che viene rappresentato come nullafacente e dedito al gioco, vizioso e sovente povero in canna alla ricerca di una moglie ricca anche se borghese o popolana.
Indubbiamente le istanze stesse di rinnovamento politico e sociale di quel secolo comportarono una inevitabile condanna del ceto dirigente che aveva dominato ai tempi dell’antico regime e, a maggior ragione, l’età della rivoluzione avrebbero ulteriormente contribuito a consolidare tali assunti. Eppure questa lettura va a configgere con quei molti altri orientamenti della ricerca che per altri aspetti studiano il secolo dei Lumi, infatti è ben noto come all’epoca, le strategie dell’appartenenza della nobiltà italiana soprattutto sul piano politico e sociale dovessero cercare un nuovo orientamento di fronte agli interventi riformatori promossi da taluni sovrani e, più diffusamente, all’interno di un quadro non certo solo italiano, in cui quella nuova costruzione politica che andava a contestare il sistema cetuale di antico regime, vedeva molti esponenti della nobiltà fra i promotori e i sostenitori.
Indubbiamente, la molteplicità delle categorie storiografiche e interpretative evocate dall’autore costituisce la cornice più idonea alla ricostruzione di un quadro nel quale si muovono personalità maggiori e minori tutte volte ad esemplificare tipologie e problematiche di una realtà sociale ancora sostanzialmente vitale in quanto in evidente fase di trasformazione. Cambiavano le scuole e i loro programmi e anche all’esterno dei più tradizionali percorsi formativi, siano questi i più accreditati collegi nobiliari o quelli seguiti dai paggi presso le corti così come anche, fuori da tali percorsi, all’interno del quadro domestico come ‘nel mondo’. Nell’ambito dell’ormai imprescindibile esperienza formativa dei grand tour o ancora, attraverso l’educazione e l’esercizio a vivere nel ‘gran mondo’ nel nuovo ruolo di cicisbeo, non meno dei ruoli rivestiti da costoro all’interno di vecchie e nuove accademie sempre più connotate dall’interesse per l’evoluzione del pensiero scientifico, molti sono i percorsi formativi che coinvolgono il giovin signore e contribuivano alla sua formazione al passo con i tempi.
Né possiamo infatti dimenticare come proprio tra giovani generazioni che avevano studiato nei più noti e apprezzati collegi nobiliari italiani si individuino anche molti fra i principali artefici di cambiamenti sociali, i protagonisti dello sviluppo culturale, coloro che ebbero una parte importante nell’elaborazione di conoscenze scientifiche e i protagonisti di nuovi processi economici.
Ci si confronta allora con un quadro davvero ambiguo, se si considera che la condanna stessa del conformismo e delle tradizionali strategie di appartenenza in cui era implicata la figura del giovane aristocratico del Settecento deve essere vista come la controfacciata di quella nuova realtà riformatrice e illuminista in cui gli esponenti di quella stessa realtà sociale appaiono numerosi. Furono dunque gli esponenti di tali nuove generazioni i primi a rifiutare molta parte di ciò che da secoli poteva essere visto come un loro privilegio ma anche ai loro obblighi sociali. Si veda ad esempio, la resistenza dei giovani per sottrarsi ai tradizionali matrimoni combinati dalle famiglie, come lo stesso Cesare Beccaria ci dimostra, per dare spazio ai sentimenti, e alla ricerca di una felicità personale, inserendosi quindi in una prospettiva che appare del tutto in linea con la nuova sensibilità del secolo.
Pertanto, proprio in ambiti quali la rivendicazione della libertà nelle scelte matrimoniali, così come nel rifiuto delle monacazioni forzate – altra componente che, come è noto, viene posta al centro del dibattito del secolo –, così come in rapporto alla stessa etica aristocratica in campo militare, i valori e le funzioni della nobiltà dimostrano che già più di una delle tradizionali «strategie dell’appartenenza» stavano cedendo. Anche sotto tale profilo ben noti e importanti sono i riscontri in ambito letterario che denunciavano come il clima sociale stesse cambiando, una realtà che pure le fonti archivistiche vanno a confermare. Molta parte dei costumi degli aristocratici del passato non venivano più seguiti da tutti, un segnale che ci indica come a quel vecchio sistema fossero stati dati i primi colpi di grimaldello.
E proprio qui si intravedono in modo sempre più chiaro i paradossi, evidenti se riorganizziamo le nostre conoscenze accantonando i soliti luoghi comuni divenuti poi sempre più difficili da sfatare: a fine Settecento ormai il pensiero dell’illuminismo aveva gettato robuste fondamenta per la distruzione del vecchio sistema cetuale, poi l’età rivoluzionaria e napoleonica avrebbero dettato nuove regole.
(Pubblicato in © «Società e storia» n. 160, 2018)