di Fabrizio Rudi
Il saggio di Vezzosi (“Rivista di Studi Politici – S. Pio V”, 4/2016 – Anno XXVIII, pp. 86-102) ha il merito di tematizzare, in maniera chiara e schietta, una serie di aspetti del progetto Euro Maidan spesso trascurati tanto dalla comune “narrativa” giornalistica quanto dalla stampa specializzata. I fatti dell’inverno 2013-2014 avevano certamente cause profonde di natura economica e geopolitica, ma si sostanziarono in un vero e proprio «conflitto su base etnica», volto a spazzare via dal tessuto infrastrutturale ucraino ogni lascito della propria eredità socialista e recidere con violenza ogni suo vincolo residuo con Mosca.
Il terreno adatto per questo tipo di contesa era, come messo opportunamente in chiaro, un’Ucraina post-sovietica abbagliata dal miraggio della ricchezza e del benessere occidentale, ma, al contempo, afflitta dagli effetti immediati delle direttive del Fondo Monetario Internazionale e dal dilagare della corruzione e del potere degli «oligarchi». La lotta fu ingaggiata prima da due gruppi paramilitari di estrema destra (Pravij Sektor e Svoboda, affiancati da contractor e volontari baltici e polacchi, oltre che da battaglioni di ideologia neonazista) e poi dallo stesso governo ucraino formatosi dopo Maidan. Fu un infuriare di repressioni ed atti illegali, culminata nella strage di Odessa del maggio 2014, e di persecuzioni ai danni delle minoranze etniche e linguistiche da secoli stanziate in territorio ucraino – non ultima quella russa, la cui lingua fu prontamente esclusa dall’uso amministrativo.
L’autore, qui, giustamente inquadra l’autoproclamata indipendenza delle repubbliche di Luhansk e Doneck, riportando i termini del Manifesto del Fronte Popolare, come reazione, saldamente organizzata, ai duri provvedimenti presi dal nuovo esecutivo nel 2014. Lo Stato federale della Novorossija risulta animata da una «decisa opposizione all’Ostpolitik statunitense ed europea sviluppatasi negli ultimi venticinque anni», e riporta in auge tutti quegli elementi di retaggio russo sovietico – la Grande Guerra Patriottica, il Russkij mir, multinazionale e mediatore, il culto di San Giorgio – che Euro Maidan aveva cercato di demonizzare. Ecco, dunque, profilarsi il tentativo di ricreare uno spazio identitario e geografico post-sovietico privo di resipiscenze morali per scelte politiche del passato.
La cronaca occidentale ha cercato di presentare tale realtà come prodotto degli intrighi politici di Mosca nella regione, escludendo l’ipotesi per cui le popolazioni del bacino del Donec avessero espresso, nei riguardi di siffatta presa di coscienza politica, e dopo una spietata guerra civile, un genuino consenso «al quale nessun processo politico può sottrarsi».