di Giuseppe Bedeschi
Il volume di Eugenio Di Rienzo, dedicato ai rapporti tra l’Afghanistan e le Grandi potenze, dal 1914 al 1947, si apre con alcuni provocatori interrogativi sulle ragioni dell’attuale presenza militare dell’Italia e degli altri partners della Nato in quella regione. Per l’autore solo una lettura improntata alla storia e alla geopolitica è in grado di fornire una risposta a questo quesito.
L’Afghanistan ha costituito fin dall’antichità il «crocevia» dell’Asia centrale e il ponte naturale tra Medio Oriente e Subcontinente indiano. A causa di questa eccezionale posizione strategica, la «Terra degli Afghani» fu sempre campo di conquista e di competizione politica per Greco-macedoni, Persiani, Turkmeni, Unni, Turchi, Mongoli e infine Britannici e Russi. Gli aridi altopiani afghani divennero, dal 1813 ai primi anni del Novecento, il terreno del Great Game, gareggiato da agenti segreti inviati da Londra e da San Pietroburgo, la cui posta era costituita dal possesso del «gioiello» del British Empire (l’India). Quello che i Russi soprannominarono «Torneo delle Ombre» fu un conflitto a bassa intensità combattuto prevalentemente con le armi dello spionaggio, dell’intrigo, della corruzione. Una «guerra senza volto» che terminò solo nel 1907, con l’intesa raggiunta tra Impero britannico e Impero zarista, obbligati a unire le loro forze contro la Germania guglielmina che non nascondeva più le sue brame di dominio mondiale.
Il conflitto globale, iniziato nell’agosto del 1914, segnò l’inizio di una nuova versione del «Grande Gioco». «Lawrence d’Arabia», turchi e tedeschi, raggiunsero il territorio controllato da Kabul per farne l’avamposto dell’offensiva di Berlino e di Istanbul verso l’India. Nel dopoguerra furono il Terzo Reich, l’Unione Sovietica e l’Italia fascista a investire milioni di marchi, rubli, lire, notevolissime risorse umane e materiali per attuare una penetrazione in Afghanistan che doveva consegnare nelle mani di Hitler, Stalin, Mussolini la base da cui far partire l’avanzata della svastica, della stella rossa e del fascio littorio verso l’Asia meridionale.
A seguito dell’«empia alleanza» tra Germania e Unione Sovietica, sancita dal Patto Molotov-Ribbentrop, gli Stati Maggiori della Wehrmacht e dell’Armata Rossa pianificarono nel 1940 l’invasione dell’Afghanistan. Dopo l’aggressione alla Russia, il progetto accarezzato da Hitler di fare del Regno afghano un protettorato del Moloch nazionalsocialista continuò per tutto il 1943, in coincidenza con le offensive tedesche verso il Caucaso meridionale la cui conquista avrebbe consentito a un corpo di spedizione tedesco di raggiungere l’Asia centrale e di dilagare in India.
Risparmiato dal conflitto, grazie alla sua ambigua neutralità, l’Afghanistan rimase, fino al 1944, il teatro di un altro «Torneo delle Ombre», che vide la comparsa di nuovi, ambiziosi competitori (l’Impero del Sol Levante e la Superpotenza americana) anch’essi disposti ad accattivarsi il favore di messia islamisti e capi tribali per raggiungere i loro obiettivi. Questa partita, dopo il decennio dell’occupazione sovietica, il regime teocratico talebano, l’intervento statunitense del 2001, continua anche oggi nell’area che Zbigniew Brzezinski ha definito il «Grande Scacchiere» dove si sarebbe deciso il conflitto per la supremazia mondiale. Il 30 novembre 2010, il Duca di York, figlio della Regina Elisabetta, ha affermato, durante un colloquio con l’ambasciatore americano in Kirghizistan, che «oggi il Regno Unito, l’Unione europea e gli Stati Uniti sono di nuovo nel mezzo del Grande Gioco e ci resteranno fino a quando non avranno vinto tutto l’oro della puntata».
La conclusione di questo libro è che Russia e Occidente abbiano sbagliato troppe volte in Afghanistan. La speranza, per il futuro, è che si possa porre rimedio a questi errori e che gli storici non debbano cercare a Kabul le ragioni del nostro declino, se non addirittura l’inizio dell’Armageddon del terzo millennio.
(Pubblicato I’8 giugno 2014 – © «Il Sole 24 Ore»)