di Franco Cardini
È già cominciata, non sappiamo se per fortuna o purtroppo, la pioggia di libri dedicati al 150° dell’Unità d’Italia. Mentre bisogna diffidare delle pubblicazioni d’occasione, sarebbe invece buona cosa il guardarci un po’ attorno con attenzione e scegliere studi seri, fondati, che aiutino sul serio a comprendere quel ch’è successo situando con forza il «caso» italiano nel contesto sociopolitico e diplomatico europeo.
Dev’essere questa la prospettiva che ha ispirato Eugenio Di Rienzo, storico dell’Università «La Sapienza» di Roma, a proporre una monumentale biografia del nipote di Napoleone, colui che fu imperatore dei francesi tra 1852 e 1870 col nome di Napoleone III e che influì potentemente, quanto meno negli eventi decisivi della fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, sulla genesi dell’Unità d’Italia: per quanto vada detto che, quell’unità, egli l’avrebbe concepita e voluta in modo diverso. Vale comunque la pena di leggere questo nuovo, originale, documentatissimo Napoleone III (Salerno ed., pp. 715, euro 30).
E allora chiediamoci anche noi, sotto l’esperta guida di Di Rienzo, chi davvero sia stato Louis-Charles-Napoléon Bonaparte, nato a Parigi nel 1808 e morto sessantacinquenne esule nel 1873 a Chislehurst nel Kent. Un ambizioso velleitario, schiacciato tra il confronto insostenibile con l’ombra del Grande Zio e la sua vanità? Uno statista abile e astuto, che pretese forse troppo da sé stesso e dalla sua fortuna? Un intellettuale di buona qualità, travolto dal destino del cognome che portava e dalla passione per la politica? Un sognatore nascosto dietro i lunghi baffi romantici, le troppe uniformi e la Realpolitik? Un affarista armeggione magari perfino furbo, ma tradito e travolto da un sentimentalismo che non riusciva a controllare? Un autentico protagonista dell’Europa moderna, un fondatore – nel bene e nel male – dell’Europa contemporanea?
Per Victor Hugo, che lo detestava, egli fu «Napoleone il Piccolo»: tornava il confronto col glorioso congiunto, che lo avrebbe esaltato e tormentato per tutta la vita. Nomen omen, come si dice: e non è che, quando le aquile volavano alte nel cielo d’Europa, a Parigi si nascondessero troppo ambizioni e magari sogni impossibili. Del resto, l’ebbrezza era nell’aria, in quel 1808: la pace di Tilsit con Russia e Prussia aveva sancito – definitivamente, si sarebbe detto – l’egemonia dell’imperatore dei francesi sull’Europa occidentale e l’alleanza, si disse addirittura l’armonia, con gli altri due imperatori, quello d’Austria e quello di Russia. Luigi, fratello di Napoleone, era divenuto re d’Olanda il 5 giugno del 1806; e Luigi Carlo Napoleone, nato nella notte tra il 20 e il 21 aprile, terzogenito di Luigi e di Ortensia de Beauharnais, sembrava ricapitolare nei suoi tre nomi il regale destino di Francia, portando i nomi del fondatore dell’impero franco, di quello del nuovo impero nato dalla rivoluzione e infine dei più grandi sovrani della dinastia capetingia, il Re Santo e il Re Sole.
Esule inquieto, giovane agitato da fantasie romantiche e da entusiasmi rivoluzionari, magistrale gestore della «leggenda napoleonica» viva anche negli strati più modesti se non umili del popolo francese, conservatore-populista e abile regista di un coup d’état, insofferente dell’aura di parvenuche le altre teste coronate d’Europa sembravano ostinarsi a veder attorno a lui, despota liberale, grande giocatore sul tavolo dell’azzardo diplomatico e infine sconfitto dalle armi, Luigi Napoleone resta uno dei grandi protagonisti dell’Ottocento.
La sua politica, i suoi capricci, i suoi scrupoli religiosi, il suo paradossale oscillar tra cinismo e lealtà cavalleresca determinarono in gran parte le vicende dell’Unità d’Italia, con le sue contraddizioni e i suoi «ritardi storici». La sua lungimiranza e la sua ambizione furono sul punto di cambiar la storia perfino dell’America latina e del Vicino Oriente, per quanto in entrambi i casi le sue ambizioni restassero frustrate. Il suo duello con la Prussia determinò la nascita della compagine imperiale tedesca e, con la sconfitta nella giornata di Sédan, pose le basi dell’inquietudine europea, quella che avrebbe condotto alle due guerre mondiali del 1914-18 e del 1939-45.
Ma ciò non basta ancora. Napoleone III è il sovrano della Parigi del prefetto Haussmann e dell’Opéra, della Parigi e della Francia del Medioevo restaurato-reinventato da Eugène Viollet-le-Duc, della fondazione di «Le Figaro», delle poesie parnassiane di Leconte de Lisle; e ancora, dei versi di Baudelaire, di Mistral, di de Vigny, di Verlaine, di Lautréamont; dei disegni e delle incisioni di Gavarni, delle grandi opere di Michelet, della critica di Sainte-Beuve; dei quadri di Courbet, di Fromentin, di Ingres, di Manet, di Bazille; dei romanzi di Flaubert, di Gautier, di Feuillet, di Ponson du Terrail, ancora di Fromentin, di Zola, di Verne, di Hugo, degli scritti di Toqueville e di Gobineau, di Renan; delle ricerche filologiche di Gaston Paris; della musica di Gounod e di Bizet; delle scoperte di Pasteur, delle innovazioni tecnologiche di Martin, del debutto teatrale di Sarah Bernhardt.
È tutto l’Ottocento, tutto il grande, fumoso, industrioso, romantico, struggente, terribile e imbecille Ottocento che ci viene incontro, che ci abbraccia e che ci assedia; e tanto di esso si svolge là in terra di Francia, dai cieli bigi della Ville Lumière all’aria dolce e al mare azzurro del Midi, tra cattedrali magnifiche e sculture falsificate dal Viollet-le-Duc e soci, solenni edifici bancari, architettura ferrigna di hallese di stazioni ferroviarie, immense e maleodoranti fabbriche nelle quali nasce e si sviluppa la questione sociale, monumentali cimiteri (chi non ha visto il Père Lachaise non saprà mai che cos’è l’Europa), redazioni di giornali e case editrici, atéliers di pittori e caffè presi d’assalto dai poeti e dalle belles dames sans merci, cabaret e tabarins, corridoi parlamentari e boudoirs, bordelli di gran classe per puttane di lusso e bordelli bon marchéper brave povere ragazze che debbon pur tirare avanti e amare chi permette loro – sfruttandole e picchiandole – di tirare avanti e di guardare in faccia la vita.
Brume e profumi, teatri e bassifondi, campi di battaglia e duelli all’alba, vertiginose fortune e rapide cadute. Sul «Grand Siècle Imbécille» trionfa il ventennio di potere di «Napoleone il Piccolo»: che, poi, forse «Grande» non fu mai (che cos’è la grandeur?); ma «Piccolo»non era affatto. Solo chi è davvero piccolo piccolo, ma piccolo sul serio, giudica con disinvoltura «piccoli» gli altri.
(Pubblicato il 21 novembre 2010 – © «Gazzetta del Mezzogiorno»)