La «Nuova Rivista Storica» fu fondata nel 1917 da Corrado Barbagallo: era in corso la prima guerra mondiale ed è probabile che quanto avveniva nel nostro paese e in tutta l’Europa sia stato determinante nel condizionarne il programma che fu pensato «un po’ diverso da quello comune alle altre riviste storiche» (Il nostro programma, firmato La Redazione, fasc.1, a. 1 gennaio-marzo 1917). In esso si auspicava infatti di poter «esercitare una speciale azione nell’ambito della nostra cultura storiografica: quella che nel pensiero dei suoi ideatori è parsa la più conforme ai bisogni dell’ora che volge». In altre parole, dare maggiore spazio alla vita e alla politica da cui, nei tempi passati la storiografia «attingeva il suo più vital nutrimento» (Barbagallo stesso stava passando da interessi per la storia antica alla storia contemporanea) nei confronti di quel metodo critico-storico ereditato dalla storiografia tedesca che, pur essendo stato utile per la metodologia delle fonti, stava trasformando la storia in filologia, paleografia, diplomatica, archeologia, perdendo di vista l’interesse e il panorama generali.

Un rischio, se ci si pensa con attenzione, che colpisce la storiografia con corsi e ricorsi ciclici. Nel primo fascicolo dell’anno II (1918), ancora La Redazione (certamente Corrado Barbagallo, Guido Porzio, Ettore Rota), dava conto del successo ottenuto dalla Rivista malgrado le circostanze sfavorevoli in cui era nata, ribadendo il concetto informativo di base, ossia «fare in modo… che lo scrivere di storia torni ad essere in Italia, non già tediosa esercitazione critica su questioni minute e disorganiche, non già illustrazione spicciola di testi e di documenti, ma, essenzialmente, interpretazione e intelligenza dei fatti sociali, specie di quelli politici, nel senso più ampio e comprensivo della parola» (p. 3). E così fu. Se si pensa a quale fosse la storiografia ufficiale in quegli anni, ci si rende conto dello sforzo coraggioso e intelligente compiuto da quel gruppo di studiosi, alcuni giovani, altri meno, per muovere le acque dell’accademismo e del filologismo che impregnavano la cultura storica italiana.

«La storiografia – lo rilevava Giuseppe Martini nelle pagine di Cinquant’anni con le quali nel 1967 celebrava il cinquantesimo anniversario della Rivista (fascicolo gennaio-aprile, pp. 1 ss.) – doveva essere scienza, non semplice descrizione dei fatti». Non mancava, in quel periodo, né in Barbagallo, né negli altri redattori, l’attenzione per i problemi del materialismo storico sebbene filtrato dall’originale interpretazione di Arturo Labriola, e quindi inteso piuttosto come ispirazione, suggerimento, verifica che come dottrina rigidamente definita e applicata. Barbagallo stesso aveva pubblicato nel 1899 uno scritto «Pel materialismo storico», poi ampliato nel saggio del 1916 «Il materialismo storico», ed appare chiaro come a lui e ai suoi collaboratori le pagine di Gaetano Salvemini e la sua azione politica e sociale risultassero quasi paradigmatiche. Tuttavia, nel programma della «Nuova Rivista Storica» il materialismo storico non è nominato ed è chiaro pertanto che il periodico non intendeva nascere sotto questa insegna, fosse questa un’opportunità imposta dallo stato di guerra in atto o dalla tendenza eclettica di Barbagallo che lo portava ad una grande elasticità interpretativa.

Trascorsero anni buoni e anni difficili: nel 1930 la redazione era composta da Barbagallo, da Gino Luzzatto che gli subentrava nei compiti di coordinamento generale fino ad allora da lui tenuti, Piero Pieri, Porzio e Rota, in un regime che non vedeva di buon occhio l’impostazione della Rivista. Nel 1932, infatti, si ebbe una campagna di stampa ostile; nel 1939, scoppiò la seconda guerra mondiale, alla quale il periodico fece fronte con riduzione nel numero dei fascicoli e nelle pagine, ma sopravvisse ad entrambe.

Nel 1942, mentre continuavano nel loro impegno Barbagallo, Rota e Porzio, scomparve dalla Redazione il nome di Luzzatto colpito dalle leggi razziali; vi ritornerà a guerra finita. Su La «Nuova Rivista Storica» e la storiografia del ‘900 (1917-1945) si veda l’articolo di Manuela Doglio sul fascicolo III-IV 1980, a. LXIV. Nel 1952, si spense a Torino Corrado Barbagallo: nella Rivista rimasero Gino Luzzatto, Piero Pieri, Guido Porzio, Ettore Rota, Segretario di redazione Angelo Tursi, che fu poi per molti anni nume tutelare del periodico. Nel 1958 morì anche Guido Porzio e, a fianco di Gino Luzzatto, rimasero Domenico Demarco, Piero Pieri e Nino Valeri. Nel 1963, Luzzatto, ormai malato e stanco, tramite Bruno Caizzi, chiese a Martini di assumere la direzione della «Nuova Rivista Storica», rimanendo però nel Comitato di direzione fino alla sua morte, l’anno seguente.

Assumere la direzione del periodico fu per Martini un momento di grande gioia, del quale siamo stati partecipi: aveva colto subito l’importanza dell’occasione che gli si offriva e che gli avrebbe permesso di essere di aiuto soprattutto ai giovani i quali avrebbero potuto rivolgersi a lui per pubblicare le proprie ricerche, se meritevoli, senza troppo pregare. La rivista era uno strumento prezioso, ricco di una tradizione culturale di quasi mezzo secolo e sostenuto da una Casa Editrice intelligente, una rivista da sempre palestra aperta a tutti gli storici, senza divisioni ideologiche o di corrente. E tale è rimasta. Nell’assumerne la direzione, Martini, scriveva in alcune pagine il suo programma nel quale si richiamava all’impostazione data al periodico da Barbagallo, nella strenua lotta contro il filologismo e il negativo positivismo negli studi storici, richiamando quale movente e stimolo agli studi stessi l’interesse e la passione per i fatti della vita vissuta senza i quali «non sorgono idee stimolanti, né in storiografia, né in alcun altro campo; la cultura intristisce, e diventa pretesto di erudite ma squallide esercitazioni» (fascicolo gennaio – aprile 1964, p. 5).

Martini rilevava che oggi (1964) «non si richiede più allo storico la totale insensibilità ai problemi vivi del proprio tempo», tuttavia si domandava se avremmo potuto essere ben sicuri «che ogni pericolo sia superato e che certi atteggiamenti mentali… non si ripropongano sotto forme attenuate o clandestine», come, ad esempio, l’insofferenza per ogni discussione metodologica o di ricerca di storia della storiografia insieme alla diffidenza con la quale veniva accolto l’insegnamento della storia contemporanea nelle Università, per la cui collocazione si cominciava allora a battersi nella neonata «Società degli Storici Italiani» (sulla quale si veda in questa Rivista, a firma di chi scrive: Per il ricupero della memoria: i primi dieci anni di vita della «Società degli Storici Italiani»: 1964-1974, fascicolo II, 2000, pp. 337-364). Martini ribadiva che la «storia deve intendersi in senso ‘globale’, cioè come l’insieme delle manifestazioni politiche, culturali, religiose, giuridiche, economiche di una certa società, la quale ne costituisce sempre il fondamento unitario», il che non disconosceva peraltro la necessità di approfondimento specializzato ma senza perdere di vista la sintesi generale.

Come già Barbagallo, Martini ricordava un altro difetto della nostra storiografia, ossia il suo «estremo provincialismo» e auspicava la presenza degli storici stranieri nelle ricerche e nelle pagine della Rivista. In quel primo fascicolo con cui si apriva la direzione di Martini, la redazione comprendeva chi scrive, poi divenuta ordinario di Storia Medioevale nell’Università degli Studi di Milano, Giorgio Chittolini che ora ricopre la medesima cattedra e Enrico Decleva che oggi ne è il Magnifico Rettore: sono esempi interessanti, ma molti degli storici che oggi sono noti e vanno per la maggiore, hanno cominciato la loro carriera sulle pagine della «Nuova Rivista Storica».

Martini diresse la Rivista fino al 1979, anno della sua scomparsa, e in quei quindici anni non si allontanò dalle linee programmatiche che aveva tracciato all’inizio del suo lavoro. A qualcuno forse l’indirizzo del periodico parve un po’ sfumato, ma esso era del tutto in sintonia con il concetto che egli aveva della ricerca storica, con la sua grande cultura, la sua profonda umanità, la sua apertura mentale e il suo mai sopito amore per la libertà dello spirito e dell’individuo.

Fin dai primi tempi, furono piuttosto numerosi i riferimenti alla storiografia extraitaliana; fu altrettanto attento a mettere in rilievo e ad ampliare la visione metodologica, qualunque fosse il settore o l’epoca della ricerca; frequenti le ricerche sulla storia delle strutture economiche, sociali, politiche, culturali delle terre padane, ma la visione si allargava anche a comprendere l’Oriente greco e bizantino, il mondo islamico e quello iraniano. Dal 1971 aveva dato vita ad una rubrica di «Storia, psicologia e scienze sociali”, allora emergenti nella ricerca. Quasi nello stesso periodo cominciava il lavoro per gli «Indici generali del cinquantennio». 1917-1966.

Nel 1966 fu inaugurato lo spoglio delle Riviste storiche straniere per quanto concerneva i temi di storia italiana che vi venivano trattati, senza limitazione di spazio o cronologica, che non si potè mantenere a lungo, perché le riviste straniere arrivavano (e arrivano tuttora) in Italia per lo più con notevole ritardo e perché necessitava di collaborazioni poliglotte. Vedremo se sarà possibile riprenderlo, sebbene il «Bollettino bibliografico», che si pubblica ora una volta all’anno per ragioni di spazio, sia sempre molto nutrito e dia ampie notizie anche di storiografia straniera, per non parlare delle recensioni, sempre numerose, delle rassegne storiografiche, del tipo di quella sulla storiografia francese sul Medioevo, giunta all’anno 2000.

Le ultime righe di Martini, poste in capo al resoconto di un Convegno organizzato dall’Ecole Française di Roma sulle «Annales» e la storiografia italiana, furono un’appassionata difesa della storiografia italiana, di fronte al pericolo incombente di un’imitazione indiscriminata di modelli transalpini che venissero a limitare la ricerca storiografica autonoma. A questa visione, mai venuta meno, si collegava la sua intenzione di allargare il Comitato di direzione a comprendere storici della diverse discipline per avere contributi dalle voci più varie. Poco prima di morire, aveva contattato amici come Luigi De Rosa (storico economico), Geo Pistarino (medievalista esperto dell’Oriente e di Cristoforo Colombo), Cesare Vasoli (storico del Rinascimento) e pensato a giovani contemporaneisti come Enrico Decleva e Giorgio Rumi, che avevano dato la loro adesione.

Il suo programma si attuò solo nel 1989, quando Alberto Boscolo richiamato all’Università di Tor Vergata a Roma lasciò Milano e la Rivista, e con la direzione di Gigliola Soldi Rondinini si mise in atto l’ampliamento del Comitato di direzione voluto da Martini, mentre la Redazione si valeva già del 1973 dell’impegno di Liliana Martinelli quale segretaria (sulla quale grava tuttora il peso maggiore della Rivista), coadiuvata da Roberto Perelli Cippo e, per alcuni anni da Nicola Criniti e da Aldo Albonico, passato poi, fino alla sua scomparsa nel 2000, nel Comitato di direzione. Nel corso degli anni, entrarono a far parte del Comitato di direzione Antonio Padoa Schioppa, eminente storico del diritto italiano, il ben noto medievalista Cosimo Damiano Fonseca, cui seguì qualche anno dopo Grado Giovanni Merlo, mentre per il settore di storia antica si pensò a Lellia Cracco Ruggini e per quello di islamistica a Valeria Fiorani Piacentini.

In due occasioni, alla scomparsa di Gino Luzzatto e di Giuseppe Martini, la Rivista pubblicò due volumi in loro memoria: nel primo (fascicolo gennaio-aprile 1965) figurano i saggi di Ferdinando Milone, Roberto Cessi, Frederic C. Lane, Bruno Caizzi, Nino Valeri, Enzo Tagliacozzo e le testimonianze di Raffaele Ciasca, Ugo Facco de Lagarda, Ugo La Malfa, Roberto Sabatino Lopez, Piero Pieri, Michael M. Postan, Silvio Pozzani, Cecil Roth, Armando Sapori, Freddy Thiriet, Charles Verlinden e la Bibliografia a cura di Angiolo Tursi; nel secondo («Quaderno» n. 35, Scritti e Testimonianze, 1981) in cui furono ripubblicati alcuni degli studi più significativi di Martini tra i quali Regale sacerdotium, quelle di Alberto Boscolo, Paolo Brezzi, Attilio Agnoletto, Gigliola Soldi Rondinini, Luigi De Rosa con la Bibliografia a cura di Liliana Martinelli Perelli, testimonianze che mettono in risalto aspetti particolari della sua personalità e della sua figura di studioso e di organizzatore. All’inizio degli anni Novanta si cominciò a lavorare agli Indici dal 1967 al 1991, che uscirono nel 1997; ora si sta pensando a quelli dal 1992 al 2000.

Annualmente la Rivista pubblica tre fascicoli per complessive 800-1000 pagine, suddivise tra gli articoli, che, di maggiore ampiezza di ricerca e di visione storica, occupano la prima parte di ogni fascicolo, seguiti dalle rubriche «Questioni storiche», «Note e documenti», «Interpretazioni e rassegne», ciascuna con una sua precisa individualità dichiarata nel titolo; seguono i «Congressi», le «Recensioni» e il «Bollettino Bibliografico», quest’ultimo, presente sui fascicoli a stampa due volte all’anno, è dal 2009 pubblicato sul sito internet della rivista. Quando si verificano dolorose scomparse di studiosi, se ne dà ampia notizia in «Storici e Storici», sempre ad opera di penne prestigiose.

La «Nuova Rivista Storica» ha una sua «Biblioteca» nella quale sono pubblicati «Quaderni» che riprendono in forma singola saggi già apparsi sul periodico, che hanno così la possibilità di essere conosciuti al di fuori della Rivista stessa: ne sono usciti fino ad ora 43, Segnaliamo qui di seguito i più recenti: il n. 39, che riunisce le relazioni tenute a Milano nel 1999 al Seminario su Finanziare cattedrali e grandi opere pubbliche nel Medioevo. Nord e Media Italia. Secoli XII-XV, al quale hanno contribuito l’Opera di S. Maria del Fiore di Firenze, la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, l’Opera della Cattedrale di Orvieto, l’Opera della Metropolitana di Siena; il n. 40, Arte e storia in Lombardia. Scritti in memoria di Grazioso Sironi, con i saggi di alcuni dei maggiori storici dell’arte italiani e stranieri, pubblicato nel 2006; il n. 41, Laura Brazzo, Angelo Sullam e il sionismo in Italia tra la crisi di fine secolo e la guerra di Libia, che affronta un tema di grande attualità, uscito nel 2007; il n. 42, Evangelizzazione e globalizzazione. Le missioni gesuitiche nell’età moderna tra storia e storiografia, a cura di Michela Catto, Guido Mongini, Silvia Mostaccio, pubblicato nel 2010; il n. 43, Eduardo Gonzáles Calleja, Nelle tenebre di brumaio. Quattro secoli di riflessione politica sul colpo di Stato, uscito nel 2011.

La Rivista ha cambiato la veste grafica nel 1965 e nel 1989 e si è rifatta il trucco per il primo fascicolo del 2007, ma non ha cambiato quello che Martini definiva il suo compito, ossia quello che «pur riconoscendo la legittimità delle ricerche speciali, con le tecniche che sono loro appropriate, dovrà richiamare costantemente l’attenzione degli storici sui problemi di fondo, sugli indirizzi metodologici, sulle correlazioni che esistono tra i vari settori di studio», il che si ottiene appunto dando spazio alla più ampia scelta di tematiche e di autori, giovani e meno giovani, alcuni noti e altri che si spera lo potranno diventare, come si è sempre fatto.

GIGLIOLA SOLDI RONDININI

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Breve rassegna delle copertine di Nuova Rivista Storica dalla sua fondazione a oggi