di Osvaldo Baldacci
Intervista a Eugenio Di Rienzo
Se c’è stata un’elezione dall’esito clamoroso e imprevedibile fu quella in cui, poche settimane dopo la vittoriosa conclusione della Seconda Guerra Mondiale in Europa (il conflitto con il Giappone era ancora in corso), Winston Churchill fu bocciato dagli elettori britannici che gli preferirono il laburista Clement Attlee. La notizia fece scalpore in tutto il mondo. Eppure nel maggio del 1945 Churchill godeva di un consenso record dell’83 per cento. Agli osservatori più attenti non sarà sfuggito però che qualche segno premonitore c’era. Nonostante Churchill, infatti, i conservatori come partito avevano nei sondaggi dieci punti percentuali in meno dei laburisti (una proiezione rispettata visto che il 5 luglio il partito di Attlee si affermò con il 47 per cento dei voti contro il 36,2 degli avversari).
“Questo fu un primo elemento importante: Churchill non veniva identificato con il suo partito. Il rapporto personale del premier con i conservatori era sempre stato flebile ed altalenante, tanto che egli aveva cambiato due volte casacca ed aveva guidato dall’interno l’opposizione a Chamberlain e alla sua politica di appeasement con Hitler”, spiega Eugenio Di Rienzo, docente di Storia Moderna all’Università La Sapienza di Roma e direttore di Nuova Rivista Storica. “Probabilmente questo facilitò la vita del suo governo di guerra, composto oltre che dai conservatori, anche da personalità importanti uscite dalle file dei laburisti e dei liberali”. Non furono però solo ragioni politiche a portare a quel sorprendente risultato nelle urne. “C’è un elemento psicologico che non può essere sottovalutato. Un’era stava finendo e ne iniziava una nuova”, continua lo storico. “Il lungo strascico dell’epoca vittoriana in cui la Gran Bretagna era una Potenza imperiale volgeva al tramonto. Churchill incarnava quell’Inghilterra e i cittadini invece scelsero di voltare pagina”. Nonostante gli fosse riconosciuto il ruolo di salvatore della patria, il suo carattere spigoloso ed estremo lo dipingevano agli occhi degli elettori come un personaggio adatto più alla guerra che alla pace.
“Era, anche da politico, soprattutto un capo militare con una personalità e un carattere talmente forti da metter in ombra tutti gli altri protagonisti di quel periodo, persino il re”, assicura Di Rienzo. “Gli inglesi però erano esausti a causa di tutti gli anni di sacrifici, sofferenze, dolori, lutti e distruzione. Churchill, nonostante quella guerra l’avesse vinta, rappresentava il conflitto stesso, il sangue, il sudore e le lagrime versate per conquistare prima la sopravvivenza e poi la vittoria e questo fece scattare un bisogno istintivo di rimuovere, dimenticare, voltare pagina. Dal 1939 al 1945, il popolo inglese fu eroico, ma non si può continuare a essere eroi a tempo indeterminato”.
Così ebbero gioco facile le promesse dei laburisti (più scuole, più ospedali, più frigoriferi), che in campagna elettorale presero l’impegno di irrobustire il sistema di Welfare che, per una Nazione così provata, rappresentava un diritto cui non si poteva rinunciare. “Va tenuto presente – sottolinea lo storico – che la Gran Bretagna pur vincitrice uscì a pezzi dalla guerra. Gli anni successivi alla fine del conflitto furono davvero drammatici e la ripresa economica e la ricostruzione si mossero, nonostante i massici aiuti del Piano Marshall, paradossalmente molto più lentamente che da noi, che pure eravamo stati sconfitti. Per non parlare del fatto che Londra stava perdendo il suo Impero (l’India nel 1947 ottenne l’indipendenza) uno dei motivi per cui era scesa in guerra”.
La parabola della “vecchia volpe” Churchill però non era finita. Sei anni dopo, ormai anziano, si ripresentò alle elezioni e le vinse. Quegli stessi inglesi che lo avevano bocciato lo giudicarono ancora utile alla causa, perché qualcosa stava di nuovo cambiando in Europa. “C’era ancora bisogno di lui e del suo fermo anti-comunismo che aveva ripreso fiato al termine del conflitto”, sostiene Eugenio Di Rienzo. “Era cominciata la Guerra Fredda. A quel punto la gente, un po’ come si fa con le automobili, scelse l’usato sicuro, scelse l’uomo che nel 1946, nel discorso di Fulton, aveva denunciato l’orrore della cortina di ferro bolscevica che attraversava l’Europa da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico. E così Winnie tornò a Downing Street grazie all’elettorato britannico che dimenticò come proprio Attlee avesse gettato le basi del raffinato sistema d’intelligence che nel lungo dopoguerra ebbe un’importanza notevolissima per difendere il mondo libero dalle minacce provenienti dal blocco stalinista”.
“BBC History”, Novembre 2017