di Giuseppe Ferraro
Sono vari i saggi e i contributi che Eugenio Di Rienzo ha offerto al dibattito storiografico e pubblico su questioni relative al Risorgimento e al processo di unificazione italiano. In tutti questi lavori Di Rienzo è riuscito a coniugare lo sguardo interno con quello più esterno, internazionale, su cosa avveniva nell’Italia unita. A questi ora si aggiunge il recente volume Il brigantaggio post-unitario come problema storiografico, in appendice del quale è stata pubblicata l’Analisi politica del brigantaggio attuale nell’Italia meridionale di Tommaso Cava de Gueva del 1865. Esponente di primo piano della resistenza borbonica sul Volturno, Tommaso Cava, a seguito della sconfitta era entrato nelle fila dell’esercito italiano per poi uscirne per protesta verso le «sopraffazioni inflitte dal governo di Torino al popolo napoletano» (p. 8).
Anche se il titolo ha come focus il brigantaggio post-unitario, analizzato anche grazie alle analisi di Cava, il lavoro riesce ad andare oltre. Grazie all’opuscolo del capitano del disciolto esercito borbonico, riesumato nel 1968 da Leonardo Sciascia, Di Rienzo riesce a collocare la questione nel più ampio e complesso dibattitto storiografico sul tema, analizzando il più generale processo di unificazione italiano e quali furono le congiunture economiche, politiche e istituzionali che premisero la nascita di un profondo dualismo tra nord e Sud dell’Italia unita, vagliando limiti, errori e mancanze della prima classe dirigente italiana. Si tratta di un tema che da sempre ha tenuto banco all’interno del mondo accademico, ma anche nel discorso pubblico italiano, ma soprattutto negli ultimi anni la questione sembra avere ricevuto maggiore linfa generando da una parte nuove ricerche e studi, dall’altra confusione e anacronismi.
Già leggendo le prime pagine del volume si riesce a percepire come il tema del brigantaggio abbia avuto da sempre una tendenza a polarizzarsi verso posizioni contrastanti. L’una a favore della causa risorgimentale-sabauda, anche se con atteggiamento spesso critico su alcune scelte operate dopo il 1861 dai primi governi liberali; l’altra sostenitrice di quella parte di Stati e sovrani che per varie ragioni subirono il processo di unificazione italiana a guida del Regno sardo-piemontese. Polarizzazione che negli ultimi anni sembra essere diventata ancora più accesa, soprattutto in relazione al brigantaggio e alla sua repressione. La lettura del volume è anticipata da alcune citazioni che rendono più chiara tale dicotomia: l’una di Benedetto Croce che muoveva le sue obiezioni verso coloro che idealizzavano i briganti; l’altra, la posizione di Andrea Camilleri, che criticava coloro che «mistificano, spacciano per banditismo quello che fu, oltre molte altre cose, anche una gigantesca rivolta politica e contadina».
Di Rienzo, nel suo volume, restituisce al brigantaggio la sua natura complessa, poliedrica e diversificata. Il fenomeno, emerge dal lavoro, aveva nella storia del Mezzogiorno una radice di lungo periodo e si era periodicamente inflazionato nei momenti di transizione o crisi degli assetti istituzionali, politici e culturali, come ad esempio nel 1799, 1806 e 1860. Ma quello postunitario presentava delle peculiarità che affondavano, forse, le loro radici proprio nella diversità di energie, progetti, prassi e obiettivi che andarono a confluire all’interno del brigantaggio. Nel fenomeno confluirono elementi del banditismo rurale, contadini delusi dalle mancate quotizzazioni delle terre demaniali, legittimisti borbonici, ma anche garibaldini che si sentivano traditi dal nuovo assetto politico. «Il cosiddetto brigantaggio fu, infatti, un movimento dove militavano, insieme a nuclei di veri e propri fuorilegge e a formazioni di ‘combattenti stranieri’, reclutate tra le fila dell’’internazionale legittimista’, masse contadine, quadri intellettuali, ceto civile, reparti del disciolto esercito borbonico, volontari provenienti dal partito liberale antiunitario napoletano e, in un secondo momento, persino numerosi garibaldini delusi» (p. 26).
Ma dentro il brigantaggio, sottolinea Di Rienzo, venne combattuta anche una guerra intestina tra gruppi di poteri locali.«D’altra parte, del fatto che una delle cause, e forse la non minore, dello stato di conflitto sociale, da cui si generò l’insorgenza anti-unitaria, risiedesse, in realtà, nel bellum intestinum dei maggiorenti agrari del Sud, lo aveva perfettamente compreso il generale Giuseppe Govone, uno dei maggiori artefici della repressione del ‘banditismo politico’» (p. 29).
Tra questi vi erano anche molti soldati borbonici che diedero al brigantaggio una caratterizzazione strategico-militare. Nei confronti dei soldati borbonici sbandati, le autorità locali utilizzarono in molti casi una linea dura tale da non concedere nessun trattamento di favore. Simili comportamenti da parte delle autorità avevano favorito, soprattutto tra il 1861 e l’inverno del 1862, l’adesione di molti militari alle bande dei briganti. In questo modo il brigantaggio si giovava non solo di armi, ma di soldati che con i Borbone si erano dimostrati più preparati «per la repressione interna che per la difesa del Regno» e che, quindi, avevano una conoscenza precisa del territorio.
La storia dell’unificazione italiana produsse tra i contemporanei grandi sogni e idealità, ma spesso molte speranze e desideri furono traditi o spezzati dalle congiunture del momento e dalle scelte politiche dei primi governi italiani. In questo contesto Di Rienzo valorizza alcuni profili di notabili napoletani che avevano partecipato alla rivoluzione costituzionale del 1848, poi seguito la via dell’esilio per evitare la persecuzione della polizia borbonica e infine aderito alla causa della corona sabauda. Ma dopo qualche anno, delusi dalle scelte politiche del governo centrale, divennero sostenitori della causa borbonica, come ad esempio, il duca di Maddaloni – «un uomo del 1848, che dopo un lungo esilio protrattosi dal 1849 al 1857, ritornato a Napoli, accolse entusiasticamente la rivoluzione nazionale del 1860, aderendo con convinzione al nuovo regime» (p. 36) – che divenne uno dei«principali elementi di raccordo dei vari comitati borbonici operanti in Italia e in Europa» (p. 37).
Con questo volume si aggiunge un tassello importante al mosaico di studi, sul brigantaggio e sull’unificazione italiana, attento e rigoroso rispetto alle tante narrazioni e contro-narrazioni che affollano i siti internet e qualche scaffale di libreria, che riesce a far parlare le tante voci che si confrontarono e anche perseguitarono in uno dei momenti più complessi della nostra storia nazionale.
(Pubblicato in © «Giornale di Storia Contemporanea», XXIV, n.s. 1, 2021 – Libri & Riviste)