di Ugo Cundari
Né con i Borbone né con i Savoia: lo storico dell’Università La Sapienza Eugenio Di Rienzo ha appena pubblicato per D’Amico Editore, Il brigantaggio post-unitario come problema storiografico (pagine 136, € 14,00), in cui addita una terza via per interpretare un fenomeno tanto studiato quanto tirato per la giacca politicamente. Per farlo, parte da una chicca firmata da Sciascia nel ’68, mai citata nel profluvio di celebrazioni per i cent’anni dalla nascita dello scrittore, Brigantaggio napoletano e mafia siciliana. L’autore del Giorno della civetta non era soddisfatto di quello che fino al quel momento era stato il contributo della storiografia italiana, tutta di provenienza meridionale, sull’argomento, e cercò di fare chiarezza.
Professor Di Rienzo, che cosa scrive sul brigantaggio Sciascia, oggi al centro di celebrazioni che non sempre scavano nel profondo della sua opera?
«Che è una questione che non può essere ridotta a manifestazione di delinquenza comune o di banditismo rurale. Per Sciascia si tratta di un fenomeno di lotta politica: lui parla di una guerra civile napoletana per la conquista di margini di potere da parte di due borghesie, una legittimista, più arretrata da un punto di vista sociale ed economico, e una borghesia filo unitaria “mafiosa”, così la definisce, che trova il suo tornaconto nella costituzione del Regno d’Italia».
Sciascia è stato il primo a interpretare il brigantaggio come fenomeno più articolato e complesso, o qualcuno già aveva aperto la strada?
«Prima di lui c’è stato Gino Doria con vari articoli e un libro attorno al quale si è consumata una vicenda poco nota».
Che successe? Di quale libro stiamo parlando?
«Siamo negli anni Trenta, il libro di Doria sul brigantaggio è in ultime bozze per Mondadori e dovrebbe uscire di lì a poco, ma a un certo punto viene bloccato dall’intervento di Benedetto Croce e Alessandro Casati».
Perché? Quali questioni sollevava lo scritto di Doria?
«Nessun caso di censura, fu un atto di pietà nei confronti di Giustino Fortunato che chiese quel favore ai due amici in punto di morte. Nel libro Doria sottolineava che la famiglia del grande meridionalista si era schierata con i borbonici e Fortunato non voleva farlo sapere. Il libro non è stato mai più pubblicato.
Sarebbe bello trovarne traccia, ma intanto che cos’è stato davvero il brigantaggio?
«Tanti fenomeni messi insieme. Oltre quelli sottolineati da Sciascia, c’è stato il patriottismo napoletano, e vi hanno partecipato elementi molto diversi tra loro: esponenti del ceto civile, il partito liberale dei fratelli Poerio che lottava per un regime costituzionale nel regno ma era contrario all’annessione, elementi dell’Esercito borbonico, ecclesiastici, legittimisti e cattolici francesi, spagnoli, tedeschi, garibaldini convinti che si sarebbe costituita una Repubblica democratica del Sud di stampo mazziniano e non l’annessione del Mezzogiorno al Regno sabaudo. Ma il brigantaggio è nato soprattutto perché da un giorno all’altro il Sud è stato ingessato da una ingabbiatura burocratica, istituzionale, economica, fiscale, finanziaria di un altro Stato».
Che fa, dà ragione ai filo borbonici? L’Unità allora è stato uno sbaglio?
«Per carità, spero che prima o poi con questo lavoro, così come con quello di altri, a cominciare da quello di Carmine Pinto, si riducano al silenzio tanto la vulgata “neo-borbonica” quanto quella “neo-sabaudista”, ancora oggi verdeggianti e schiamazzanti. L’Unità è stata sbagliata nei modi, ma era nell’ordine delle cose. È mancato il passaggio graduale che armonizzasse le diverse realtà di due Stati, di due sistemi economici, profondamente diversi, senza nessun intervento perequativo e di armonizzazione».
Qual è stata la conseguenza peggiore del brigantaggio?
«Quasi dieci anni di guerra civile che hanno contribuito all’arretramento economico del Meridione, erigendo un gap con il Settentrione che all’epoca non c’era. Però è anche servito a qualcosa».
Per esempio?
«Nella sua parte migliore, grazie al contributo di uomini del ceto civile e dell’aristocrazia, l’insorgenza antiunitaria ha costruito gli argomenti che avrebbe ripreso il meridionalismo da Pasquale Villari in poi».
(Pubblicato il 9 gennaio 2021 © « Il Mattino»)