di Aurelio Musi
Il napoletano Raffaele Guariglia, ministro degli Esteri nel primo Gabinetto Badoglio dopo l’armistizio, è uno dei protagonisti del volume di Eugenio Di Rienzo, Un’altra Resistenza. La diplomazia italiana dopo l’8 settembre 1943, Rubbettino editore.
Guariglia proveniva da una facoltosa famiglia salernitana di giuristi e diplomatici: ancora oggi si può ammirare l’omonima villa nello splendido scenario di Raito a Vietri sul Mare. Dopo una carriera prima consolare poi diplomatica fra Parigi, Bruxelles, Londra, Guariglia approda nel 1926 come direttore generale al ministero degli Esteri con Grandi e la sua linea in politica internazionale è tesa soprattutto alla conservazione delle colonie africane, della tradizionale amicizia con l’Inghilterra e della distensione con Parigi, con cui si sforza di mantenere aperte le trattative durante il secondo conflitto bellico.
Secondo Di Rienzo il personaggio in questione è uno dei maggiori responsabili dello sbandamento e dello stato di solitudine che coinvolse la diplomazia italiana dopo le giornate dell’8-9 settembre 1943 e la “fuga” del governo a Brindisi. Fu l’uomo sbagliato nel posto sbagliato, doppiogiochista, incapace di gestire la condizione del paese dopo l’armistizio.
Il lavoro dell’autore è dedica to soprattutto a ricostruire “l’altra Resistenza”, 1′”eroico contributo al secondo Risorgimento degli uomini della nostra diplomazia che, abbandonati al loro triste destino dal governo del re, senza istruzioni e senza nessun preavviso dell’armistizio reso pubblico l’8 settembre 1943, rifiutandosi di aderire al fascismo repubblicano, pagarono fino al termine del conflitto, dai Balcani, al Danubio, all’Estremo Oriente, un altissimo prezzo, pur di non ammainare nelle loro ambasciate e legazioni il tricolore sabaudo e di sostituirlo con quello in cui si accampava la torva aquila della Repubblica Sociale Italiana”. Ambasciatori, ministri, plenipotenziari, incaricati d’affari, segretari, consiglieri di legazione, consoli, addetti stampa e addetti militari furono travolti da una tempesta che segnò drammaticamente le loro esistenze.
Bucarest, Budapest, Sofia testimoniarono la Resistenza dei “diplomatici del re”. Operanti nel completo isolamento dalla madrepatria, misero a rischio la loro libertà, la loro vita e quella del loro personale. Ma furono soprattutto le ambasciate italiane nella “fossa dei leoni”, a Berlino, Tokyo, Shanghai, a pagare il prezzo più alto: il personale venne prelevato dalla Gestapo, internato in campi di concentramento; tra torture e umiliazioni molti non sopravvissero. Certo oltre i resistenti non mancarono i collaborazionisti: ma l’autore dimostra che il numero dei secondi fu di gran lunga inferiore ai primi.
Si tratta di una ricerca particolarmente importante per due ordini di motivi. In primo luogo essa è condotta su fonti in larga misura inedite che, assai spesso, contraddicono o ridimensionano quanto sostenuto nelle autobiografie difensive del personale di governo come, ad esempio, quella di Guariglia. In secondo luogo il volume di Di Rienzo colma una lacuna della storiografia. Essa solo da alcuni anni ha fatto conoscere al pubblico il sacrificio di donne e uomini delle istituzioni che si rifiutarono di obbedire al fascismo repubblicano dopo l’8 settembre, una data simbolo – sostiene Di Rienzo – se non della “morte della patria” (Galli della Loggia) sicuramente della dissoluzione dello Stato italiano.
Come si è restituito tutto il valore alla Resistenza del Regio Esercito – quasi 250 mila deceduti per esecuzioni sommarie, per fame, per torture nei lager nazisti o per gli insostenibili ritmi di produzione nei complessi industriali del Reich, – così Di Rienzo compie un meritorio scavo per raccontare le tante storie di chi, all’interno del corpo diplomatico italiano, restituì, tra mille difficoltà e sacrifici, dignità alla nazione.
(Pubblicato il 16 dicembre 2024 © «la Repubblica» – Napoli)