di Alessandro Cantoni
Ci sono uomini nati per scrivere la storia. Altri per finire nelle pagine di un romanzo erotico, tra orge e schizzi vaginali. Altri ancora sono vissuti per manomettere il corso della storia e magari crepare di piacere tra le cosce di una Elena Muti o di qualche Edda. Non parlo del conte Sperelli, la cui vicenda è arcinota, ma di un altro farfallone. Anche lui conte, di Cortellazzo e Buccari, sciupafemmine e avvezzo a svolazzare di fiore in fiore.
Condannato a una morte infausta dai duri e puri e dai lacché del mascellone, Galeazzo Ciano aveva un piglio tutto suo, straordinario per l’epoca. Come il principe Raimondo Lanza di Trabia sfotteva i borghesi del suo tempo, pur rimanendo e volendo restare un borghese. Il guaio è che si ritrovò ad essere nella posizione non proprio accomodante di “facchino del duce”. Ma, almeno nella forma, Ciano non si sdegnò mai di essere un fascista. Anzi, lo fu nella maniera più assoluta e convinta.
Il “genero di regime” era un borghese, e assurdo sarebbe credere il contrario. Da giovane, infatti, si era presto dato alla bella vita, adoperandosi per entrare nei salotti della Roma bene e frequentando assiduamente intellettuali più o meno prezzolati. Sempre sbarbato e tirato a pomice, somigliava a un damerino di corte. Ma soprattutto, non mancava di manifestare una certa galanteria e attrazione morbosa per il gentil sesso.
Pane e ceffoni
Allevato a pane, ceffoni e un’educazione militaresca da papà Costanzo, monarchico della prima ora, Galeazzo aveva finito per ribellarsi moderatamente al bastone del padre. Già potete immaginare cosa volesse dire opporsi per un rampollo dell’alta borghesia toscana… Diciamo che non si atteggiò mai da vero rivoluzionario. Eppure, a un certo punto, costui si rifiutò di adeguarsi a quel bigottismo e a quella ipocrisia tipica dei giovanotti della sua estrazione sociale. Decise di rompere la routine impiegatizia dopo il 1921. Fino a quel momento, infatti, Galeazzo era il prototipo del figlio ideale: «Non fuma, non beve alcolici, sotto lievi atteggiamenti spavaldi è ancora timido con le donne». Non era certo uno che faceva le quattro o le cinque della mattina e pare che pure con le signorine mantenesse un certo contegno. Insomma, il ragazzo non trombava mica tanto. L’esperienza fuori casa lo avrebbe svegliato parecchio. Finalmente l’avrebbe piantata di sonnecchiare sugli allori.
Nello spirito divenne così un cane sciolto, un futurista, un modaiolo, un paroliberista. Sempre nei limiti, ben inteso. Il pudore di questo giovinotto era troppo ostentato. Rimase un tipetto composto, certo, algido nella figura, ma allo stesso tempo fu bramoso di cose proibite, di piaceri, di voluttà.
Adone d’altri tempi
A sfogliare il repertorio fotografico di Galeazzo pare impossibile non accorgersi di certe somiglianze con un attore hollywoodiano alla Gregory Peck: un adone d’altri tempi. Il suo non è il volto scultoreo di Benito, ma quello di uno abituato a ben altri, alati pensieri, come svestire le donne con la mente o con le mani. La favola bella del giovane viveur inizia dunque con la carriera diplomatica in America Latina e a Pechino. Tra carte, documenti, l’odore acre di una sigaretta sempre accesa, ma anche nei locali notturni tra spogliarelliste e, forse, tra i fumeggi dell’oppio.
La vita privata del conte ci viene svelata da Eugenio Di Rienzo (Ciano, Salerno Editrice, € 34,00). Le sue pagine sono appassionanti e tutt’altro che pedanti o scolastiche. A tratti trapela una certa ironia o malizia, che in fondo ci sta tutta, visto il personaggio descritto.
È proprio la parte dedicata alla vita sentimentale ad eccitarmi. Non mi interessa il Ciano consegnato alla storiografia, ma il conte scapigliato, esteta e dannunziano. In questo uomo d’ordine, amante della disciplina, risplende la luce del genio, dell’anticonformista. Ciano è un borghese ed è felice di esserlo. Non rinnega, anzi emula le comodità e i piaceri che gli derivano dalla sua agiatezza. Come Mussolini, tuttavia, disprezza la mentalità fiacca e incipriata dei suoi pari. Molto curato nell’aspetto, con le sue camicie bianchissime e immacolate, non lo fu però nella vita. Dentro di lui cominciò presto ad emergere un giovane e novello Dorian Gray, uno spirito libero sgorgato dal sangue, dallo sperma di Nietzsche.
Ciano non fu mai un uomo amorale, ma un immorale a modo suo. Questa è stata la sua più grande forza ed anche, se mi è consentito, il merito più grande: fare a pezzi con l’ipocrisia e il finto perbenismo del buon marito di famiglia, ligio al dovere e salottiero. Il fascista era in realtà un anarchico, un fustigatore di borghesi rincoglioniti.
(Pubblicato il 17 gennaio 2019 © «Libero»)