Di Salvatore Sechi
Quattro pallottole la mattina del 14 luglio 1948, in Via della Missione a Roma colpiscono il segretario del PCI Palmiro Togliatti. A sparare è un ragazzotto siciliano, solitario, un po’ monarchico, un po’ fascistoide, Antonio Pallante. Dietro di lui non c’è nessuna trama né complicità di partiti o gruppi nazionali o internazionali.
Stalin deplora, in un telegramma pubblico, che il gruppo dirigente italiano non abbia saputo difendere il suo leader. I partiti fratelli sono colti di sorpresa da un attacco così sperticato. Ma il capo del Cominform non ha alcuno stupore da condividere. Meno di dieci anni prima aveva aperto un’inchiesta contro Togliatti, sulla base delle accuse pesanti mosse dalla famiglia di Gramsci. In seguito ad essa Togliatti perderà il posto di rilievo che aveva nella segreteria del Cominform e verrà spedito in esilio nella Repubblica sovietica della Baschiria, negli Urali.
L’attentato scatenò più problemi di quanti ne abbia risolti. Togliatti non muore. Il partito finisce nelle mani di Pietro Secchia, che è più cominternista dello stesso segretario generale. Nel leader piemontese, titolare del settore cruciale dell’organizzazione, ripongono grandi speranze quanti dentro il partito e tra il proletariato di fabbrica di Milano, Torino, Venezia e altre città non avevano mandato giù: che la guerra di liberazione non avesse reciso le radici economiche e sociali del fascismo e dell’imperialismo. L’alternativa di classe al capitalismo, che era nei programmi del partito era risultata ibernata.
Il 14 luglio sconvolge ogni equilibrio. Il Pci vede contestata dalla base la linea della parlamentarizzazione e della lotta politica, e lo stesso paradigma liberal-democratico della via legale subisce colpi. L’umore prevalente è che, malgrado la sconfitta nelle elezioni del 18 aprile 1948, i voti non solo si contano, ma si devono pesare. E diventa centrale la risposta al telegramma di Stalin: il segretario del più grande partito comunista occidentale non può essere lasciato finire sotto quattro colpi di revolver.
A capirlo sono lo Stato Maggiore della Difesa, i capi dei maggiori reparti militari e del ricostituito servizio segreto (su cui disponiamo dei nuovi documenti ai quali ha avuto accesso il professor Pardini). In 12 province la reazione all’attentato è di tipo insurrezionale o para-insurrezionale. Le forze militari e di polizia schierate sono fronteggiate, disarmate o prese in ostaggio (è il caso di Vittorio Valletta, prigioniero per alcuni giorni alla Fiat) in città come Genova, Napoli, Taranto, Varese, Milano, Rovigo, Piacenza, Livorno, Forlì, Siena, Torino, Venezia.
In alcuni casi si tratta di una risposta violenta. In altri dello spiegamento di unità di combattimento ben equipaggiate e ben addestrate alla guerra di guerriglia.
L’apparato paramilitare del Pci pare fosse al comando del generale Alfredo Azzi, che può contare sulla cura di Longo e Secchia. Sono circa 200-250 mila uomini, di cui 25 mila ben addestrati e muniti di armi ancora efficienti. Non è un esercito centralizzato, ma ha reparti distribuiti su gran parte del territorio che era stato teatro della guerra di liberazione.
È grande il pericolo e la paura che traligna dagli Stati Uniti. I rapporti della Cia, le analisi del National Security Council e del corpo diplomatico dislocato in Italia temono che con queste unità i comunisti possano tenere in scacco per qualche mese il paese, dividerlo e dare luogo all’inizio di una nuova guerra se dalla Jugoslavia e dall’’Urss arrivassero unità di supporto.
Chi finanzia questo “esercito rosso”? La documentazione proveniente da Mosca è impeccabile: tra il 1951 e il 1991 il PCUS, attraverso il Kgb, ha versato al Pci (da Togliatti fino a Berlinguer) la quota maggiore dei circa 3.990 miliardi di dollari destinati ai comunisti europei e ai loro alleati.
Ma all’apertura di un conflitto armato per abbattere il governo De Gasperi o far dimettere il ministro dell’Interno Mario Scelba sono contrarisssimi Stalin e il Cominform. C’è ancora la Grecia in fiamme. Mosca non vuole che un altro incendio divampi nel Mediterraneo, con epicentro l’Italia.
Il PCI è isolato sia sul piano internazionale sia all’interno. Dopo alcune decine di anni si renderà conto, con Massimo D’Alema, che la socialdemocrazia aveva vinto, e il comunismo era stato storicamente battuto.
La sinistra ha cercato di sopravvivere a questa debacle epocale. Anche se non formalmente, finirà per ammettere che non era costituzionalizzato l’atteggiamento di ricevere un finanziamento mensile da un paese non alleato e poco amico come l’Urss e, in secondo luogo, che il tenere in piedi un braccio armato negava il principio del monopolio statale della violenza legittima.
(Pubblicato il 14 luglio 2018 – © «Il Fatto Quotidiano»)