Nota introduttiva, a cura della Redazione di “Storia e Futuro”
Con questo terzo inserto, l’inchiesta Fare e leggere la storia: le riviste di storia contemporanea in Italia, promossa da “Storia e Futuro” nel novembre 2015, e che ha accompagnato l’intero anno accademico che va concludendosi, giunge ad un punto al tempo stesso di arrivo e di apertura ulteriore. Sotto il primo rispetto l’indagine che abbiamo condotto – che ha visto partecipi molte delle maggiori testate italiane ed europee, addirittura extraeuropee, come è il caso dell’ “American Historical Review”, relativamente alla quale pubblichiamo in questo numero le risposte dell’Interim Editor Alex Lichtenstein, e l’adesione assai interessata dei Direttori e talvolta persino dell’intero comitato di redazione – ha ormai sedimentato un insieme di informazioni di grande ricchezza, assai diversificata nei contenuti ed anche nei toni, tracciando un panorama della storiografia italiana ed internazionale, e di questo peculiare e specifico strumento di ricerca e divulgazione, che riteniamo possa offrire al dibattito scientifico in corso un contributo non privo di rilievo e di interesse a proposito di alcuni dei problemi che investono oggi il “fare storia” – nelle sue categorie concettuali e metodologiche, nelle sue scelte tematiche e di indirizzo – e la stessa percezione ed autorappresentazione che lo storico dà di sé. In questo senso questo terzo inserto giunge a compimento di un percorso che si è ulteriormente arricchito della riflessione condotta durante il seminario svoltosi presso il Dipartimento di Scienze Politiche ed Internazionali dell’Università di Siena il 3 maggio 2016, che grazie alle relazioni di Mauro Moretti, Simone Neri Serneri e Roberto Balzani, ed agli interventi successivi di alcuni rappresentanti di riviste italiane (in particolare di Fabio Bertini per “Ricerche Storiche”, Giovanna Tosatti per “Le Carte e la Storia” e Renato Sansa per “Storia Urbana”), ha offerto spunti di ulteriore arricchimento al confronto.
Da altro punto di vista l’inserto apre ad ulteriori, possibili esiti di ricerca e di riflessione. Innanzitutto per la scelta, compiuta dalla redazione di “Storia e Futuro”, di aprire il più possibile il confronto alla dimensione internazionale, oggi particolarmente rilevante anche alla luce delle notevoli trasformazioni che costantemente intervengono ad ogni livello nel mondo, e coerente con gli indirizzi che sin dall’avvio della propria esperienza la nostra rivista si è data. Le voci provenienti dall’ambiente anglosassone (l’ “American Historical Review”, “The English Historical Review”) e tedesco (la “Historische Zeitschrift”) fanno in questo senso da contrappunto ai contributi offerti dai direttori di due riviste assai diverse tra loro – per storia, tradizione e scelte tematico metodologiche – come “Memoria e Ricerca” e “Nuova Rivista Storica”: la prima emersa nel quadro del rinnovamento avviatosi negli anni Novanta sulla scorta dei mutamenti intervenuti negli assetti della produzione culturale e scientifica, e segnatamente storiografica, italiana, l’altra, frutto essa pure di una frattura che a tutti i livelli determinò una sconvolgente trasformazione nelle strutture politiche, economiche, culturali ed istituzionali, e persino antropologiche, europee, come la Prima Guerra Mondiale. Proprio il dato cronologico è un altro elemento che merita la dovuta considerazione: accostare riviste di antica tradizione (la “Nuova Rivista Storica”, nata nel 1917; la “English Historical Review”, addiritttura del 1886; la “Historische Zeitschrift”, del 1859), ad una rivista come “Memoria e Ricerca”, nata nel 1993, non rappresenta il tentativo di accostare confusamente voci diverse per un mero arricchimento del panorama che siamo andati disegnando; bensì piuttosto lo sforzo di evidenziare le traccianti fondamentali di una storia che appartiene, e rappresenta in misura davvero considerevole, le origini stesse della professione storiografica e della sua istituzionalizzazione, come non manca di sottolineare, nel suo intervento, Alex Lichtenstein, e come ribadiscono i tre direttori dell’ “English Historical Review” Martin Conway, Peter Marshall e Catherine Holmes – nei loro contributi. Quasi ai due estremi della parabola, “Nuova Rivista Storica” e “Memoria e Ricerca” rappresentano la testimonianza di come la storiografia italiana sia cambiata nel corso del tempo, riflettendo ed interpretando i mutamenti della società italiana anche nelle sue fasi più difficili. Eugenio Di Rienzo lo ricorda nel suo lungo, impegnato ed appassionato saggio: da quando la rivista nacque postulando nel programma iniziale, del 1918, l’obiettivo di «fare in modo che lo scrivere di storia (fosse) non tediosa esercitazione critica su questioni minute e disorganiche, non illustrazione spicciola di testi e di documenti, ma, essenzialmente, interpretazione e intelligenza dei fatti sociali, specie di quelli politici, nel senso più ampio e comprensivo della parola», agli anni terribili del fascismo, quando la rivista subì l’intimidazione repressiva dell’OVRA, perdendo – in ragione delle leggi razziali del 1938 – uno studioso del valore di Gino Luzzatto, agli anni difficili ma entusiasmanti della ricostruzione. Sempre mantenendo fede al principio di essere una rivista di storia “generalista”, non di tendenza, non ideologica, legata esclusivamente al valore scientifico della propria produzione. E collocandosi nel quadro di una Europa nella quale la Grande Guerra – che aveva decretato il trionfo della scienza e della tecnologia industriale, e segnatamente della chimica, indicando la direzione di una società irreversibilmente mutata – imponeva una riflessione sul possibile, rapido tramonto di una scienza, la storia, affermatasi in fondo non più di qualche decennio prima con una funzione pedagogico-istituzionale legata alla costruzione dello Stato moderno, improvvisamente deflagrata nella “terra desolata” di eliotiana memoria, preannunciando tempi nuovi e nuove esigenze, che di lì a non molto proprio sul confine conteso dell’Alsazia-Lorena sarebbero state trasfuse nell’esperienza storiograficamente rivoluzionaria delle “Annales”. “Memoria e Ricerca”, sull’opposto della parabola, rappresenta, insieme con alcune delle altre riviste che abbiamo interpellato nel corso dei numeri precedenti, lo sforzo di aprire la storia alle altre scienze sociali e di misurarsi con i processi storici in corso: innanzitutto e soprattutto – come sottolineano i due Direttori Maurizio Ridolfi e Fulvio Conti – in una peculiare struttura “monografico-tematica” che in ormai più di vent’anni ha consentito di intersecare ed investigare temi anche nuovi e non privi di elementi di rischio, seppur così interessanti e ricchi di feconde potenzialità.
E’ del resto da sottolineare il fatto che l’intervento di riviste di così antica tradizione abbia aperto l’inchiesta a filoni tematici nuovi ed anche a segmenti disciplinari che largamente fuoriescono dal perimetro della storia contemporanea: se è vero che il rinnovamento introdotto a livello storiografico dalla “Nuova Rivista Storica”, così come dalle altre iniziative editoriali a livello europeo, si è collocato in una fase nella quale continuava a rimanere largamente dominante l’apprendimento e la pratica della storia moderna e di quella medievale, come terreno di formazione delle nuove generazioni di studiosi, e come terreno di confronto per le generazioni di studiosi più affermate.
Al di là delle rispettive vicende che hanno interessato le riviste interpellate, e che costituiscono un elemento di straordinario interesse per la ricostruzione della storia della storiografia italiana ed internazionale durante i due secoli appena trascorsi, rimane come tema centrale il confronto con le nuove dimensioni della ricerca e della divulgazione scientifica. Di fronte ai nuovi interrogativi che si oppongono allo studioso, rileva osservare come le risposte di tutti i Direttori intervenuti siano state al tempo stesso orientate alla presa d’atto della trasformazione ed anche ai segnali di crisi che la produzione storica, il processo di “analfabetizzazione storica” cui fa riferimento Di Rienzo, ad una vera e propria “de-istituzionalizzazione” della figura dello storico, stanno vivendo. Al tempo stesso, tuttavia, la risposta che complessivamente emerge rimane ancorata ad una fiducia non solo nell’utilità del mestiere, ma anche nelle opportunità e nelle possibilità nuove che anche i nuovi strumenti tecnologici danno alla scienza storica. Quasi a ricordare il monito che Marc Bloch consegnò alle splendide pagine conclusive della sua Apologia della storia: la storia rimane certo la scienza della memoria e dell’uomo, e lo storico è ancora – e tale rimarrà – l’ “orco delle fiabe” che va là dove sente l’odore della carne umana; ma al tempo stesso è dovere scientifico, istituzionale e persino esistenziale dello studioso del passato aprirsi alle trasformazioni del presente e guardare con fiducia al futuro. “Il mondo – affermava Marc Bloch – appartiene a coloro che amano le cose nuove”.
1. Nuova Rivista Storica (NRS), compirà con l’uscita del fascicolo di gennaio-marzo 2017 cento anni. E’ con Archivio Storico Italiano (1842) e Rivista Storica Italiana (1884), il più antico periodico d’impianto storico generalista e di respiro compiutamente nazionale e internazionale presente nello scenario culturale del nostro Paese. NRS è una rivista che ha prodotto storia, accompagnato gli Italiani nella loro storia e che è stata oggetto di storia come testimonia la ricca produzione saggistica che a essa è stata dedicata. La sua nascita segnò una svolta fondamentale per gli studi storici italiani. Una svolta che prese forma nel primo decennio del Novecento, ma alla quale lo scoppio della Grande Guerra impresse una forte accelerazione, contribuendone a meglio precisare obiettivi e strategia.
La globale e rivoluzionaria trasformazione geostrategica, politica, sociale, provocata dal primo conflitto, fu determinante nel condizionare il programma, formulato dalla Direzione (Corrado Barbagallo, Guido Porzio, Ettore Rota), che si presentava orgogliosamente «diverso da quello comune alle altre riviste storiche» (Il nostro programma, fasc.1, a. 1 gennaio-marzo 1917). In esso si auspicava di poter «esercitare una speciale azione nell’ambito della nostra cultura storiografica che nel pensiero dei suoi ideatori è parsa la più conforme ai bisogni dell’ora che volge». In altre parole, NRS intendeva dare «maggiore spazio alla vita e alla politica» agli stimoli provenienti dalla «storia anche attuale e attualissima e persino alla storia in divenire» da cui l’analisi del passato doveva attingere «il suo più vitale nutrimento».
Allo stesso tempo la nuova rivista segnava un deciso allontanamento, in netta polemica con la vocazione antiquaria e specialistica perseguita da altri periodici, come Rivista Storica Italiana diretta da Costanzo Rinaudo, da quel «metodo critico-storico ereditato dalla storiografia tedesca che, pur essendo stato utile per la metodologia delle fonti, stava trasformando la storia in filologia, paleografia, diplomatica, archeologia, perdendo di vista l’interesse e il panorama generali». Con questa indicazione, la Direzione di NRS riprendeva, con la stessa urgenza, l’appello lanciato da Benedetto Croce, nell’ottobre 1915, finalizzato a «creare la coltura storica che manca agli italiani, in relazione alla vita politica e sociale e intellettuale», e a modificare in profondità, sotto la spinta dell’evento bellico, il vecchio assetto storiografico post-unitario, risvegliandolo dal torpore erudito, avvicinandolo a nuove esigenze non solo presenti ma ora pressanti e stringenti
La rivista non si prefiggeva, certamente di «rincorrere il presente», anche se proprio nel primo fascicolo, accanto a contributi dedicati alla Grecia classica, alla Riforma protestante, ai rapporti di cultura tra Italia e Francia nel XVIII secolo, compariva il saggio di Ettore Rota, La guerra europea e il problema delle sue cause, che apriva un osservatorio sulle dinamiche militari, diplomatiche politiche della guerra in corso e sulle loro conseguenze di lunga durata, destinato a mantenersi attivo fino al 1920. NRS cercava, invece, di sviluppare pienamente il paradigma della «storia presente», formulato da Croce nel 1912, per cui la «vera storia», distinguendosi dalla «storia filologica», e cioè dalla «storia non più pensata ma unicamente ricordata nelle astratte parole», doveva generarsi sempre dall’esperienza dei tempi attuali, poiché «solo un interesse della vita presente può muovere a indagare un fatto passato che solo in quanto si unifica con un interesse della vita presente, non risponde a un interesse passato, ma presente».
Il paradigma della «storia presente» era anche lo strumento scelto da NRS per instaurare un rapporto armonioso, ma mai subordinato, con le altre scienze umane (economia, diritto, geografia, studi religiosi, letterari, filosofici) fino a comporre quel modello di «storia generale» che si svilupperà nell’intervallo tra le due guerre: fondamentalmente politica ma attenta alle vicende dell’economia e della società come a quelle della cultura, della storia istituzionale, delle relazioni internazionali. Quel modello, era funzionale inoltre ad allargare il pubblico dei cultori di storia, molto di là dalla tradizionale platea accademica, fino ad abbracciare la classe media colta, per attribuire all’analisi del passato il ruolo di formazione politica e civile permanente di quella classe e per fare degli storici i «maestri della Nazione», un ruolo che non andava mai confuso con quello di «consiglieri del Principe».
Proprio per perseguire questa finalità, nel primo fascicolo del 1918, la Direzione riaffermava il programma di base del periodico diretto a «fare in modo che lo scrivere di storia sia non tediosa esercitazione critica su questioni minute e disorganiche, non illustrazione spicciola di testi e di documenti, ma, essenzialmente, interpretazione e intelligenza dei fatti sociali, specie di quelli politici, nel senso più ampio e comprensivo della parola». Si trattava di un programma che esaudiva le aspettative delle forze più vive della storiografia italiana, come Gaetano Salvemini e Gioacchino Volpe, che, già nel gennaio del 1906, si erano prefissi di dar vita a «una rivista diffusa che sia vivo organo di cultura storica anche presso i non specialisti e che possa trovare accoglienza anche nella biblioteca delle persone colte e delle scuole secondarie». Proposta che aveva come condizione preliminare quella di allontanarsi «dai lavori in cui l’erudizione sia scopo a se stessa, per agitare invece questioni larghe e vitali e lasciare tutto ciò che è caduco e transitorio nella storia e trattare invece di preferenza ciò che ne è la trama».
A questo programma NRS è restata fedele nella sua lunga vita che ha attraversato gli anni terribili della guerra mondiale, del primo dopoguerra, della stagione della dittatura fascista: quando la rivista, oggetto di una campagna di stampa intimidatoria, infiltrata da agenti dell’Ovra, dopo essersi rassegnata a veder scomparire dalla Direzione, il nome di Gino Luzzatto, colpito dalle leggi razziali, rischiò nell’ottobre 1938 di scomparire, secondo il progetto accarezzato già nel 1935 dal Ministro dell’Educazione Nazionale, Cesare De Vecchi di Val Cismon, per essere accorpata a «Rivista Storica Italiana». Questa fedeltà si è mantenuta inalterata anche durante il periodo difficile ma entusiasmante della ricostruzione materiale e morale del Paese, la prima e la seconda Repubblica, con i loro splendori e le loro tante miserie, e oggi nell’età della globalizzazione con le sue occasioni da sfruttare e con i suoi rischi da affrontare.
Rivista di «storia generale», rivista non di tendenza, né ideologica né metodologica, tesa a valorizzare il messo tra storia del passato e analisi del presente, a essere campo d’indagine non solo della storia italiana ma anche della storia europea ed extraeuropea, NRS non rifugge certo dal confronto non altri modelli storiografici né sottovaluta l’apporto di altre discipline come la Geopolitica. Essa vigila, però, per evitare che quest’apertura non conduca a una deriva politologica o sociologica o peggio a una frantumazione del sapere storico nella nebulosa di categorie o sottocategorie storiografiche, effimere e poco significanti, dove potrebbe venir meno la finalità di ricostruire la storia nella sue grandi articolazioni, ambizione, questa, che costituisce il suo principale e irrinunciabile obiettivo.
2. L’organigramma della rivista è composto di 31 unità, tutte ovviamente reclutate nel mondo universitario italiano e straniero (https://www.nuovarivistastorica.it/?page_id=144). Al Direttore («non despota ma cireneo», per usare un’espressione di Federico Chabod), responsabile della funzione di collegamento e d’indirizzo generale, si affianca un Direttore giudicamene «responsabile» e un Comitato di direzione, composto di 4 membri provisti di piena autonomia per i settori scientifico-disciplinari 11/A1 (Storia Medievale), 11/A2 (Storia Moderna); 11/A3 (Storia Contemporanea); 14/B2 (Storia delle relazioni internazionali delle Società e delle Istituzioni extra-europee). Settori per i quali, al termine di un tortuoso e grottesco itinerario, NRS è stata inserita nella Classe “A” dall’Agenzia Nazionale di Valutazione della Sistema Universitario e della Ricerca.
Segue poi un Comitato scientifico, dove sono presenti anche studiosi di altri settori scientifico-disciplinari a testimoniare il forte interesse nutrito dalla rivista per la Storia delle dottrine politiche, la Storia della filosofia e soprattutto per la Storia dell’Europa orientale e la Storia extraeuropea. Segue ancora una Redazione, adibita al lavoro di messa a norma tipografica, al contatto con gli autori e con i referees, alla gestione del sito web (https://www.nuovarivistastorica.it/), e a interfacciarsi con i più importanti database internazionali nei quali la rivista è repertoriata (https://www.nuovarivistastorica.it/?page_id=4599).
Il rapporto tra le quattro sezioni che compongono l’organigramma della rivista non è comunque verticale ma è invece orizzontale. Ogni membro dell’Editorial Board è provvisto di una funzione di proposta, d’iniziativa, di realizzazione. Ad esempio, dei quattro numeri monografici che sono stati prodotti da NRS, dal 2009 al 2016, due, quelli dedicati a “Guerra e conflitti” (https://www.nuovarivistastorica.it/?p=869) e al “Pellegrinaggio in età tardo-medievale” (in corso di stampa, II, 2016). sono stati decisi e organizzati dal Comitato di direzione. I restanti, invece, (“ I labirinti del Colpo di Stato”; ”L’Eni e la fine dell’età dell’oro” (https://www.nuovarivistastorica.it/?p=3886; https://www.nuovarivistastorica.it/?p=5376) sono frutto dell’iniziativa e del lavoro di membri del Comitato scientifico e della Redazione.
Il Comitato Editoriale conta sulla presenza attiva di 6 studiosi stranieri, francesi statunitensi, spagnoli (uno nel Comitato di direzione, gli altri in quello scientifico) e copre con i suoi membri, l’intera geografia della Penisola, dal Friuli alla Sardegna, con una leggera predominanza dell’area centro-meridionale. Al termine di un incisivo processo di svecchiamento, iniziato nel 2008, la maggioranza dei membri del Comitato editoriale è ora composta da quaranta-cinquantenni, meno numerosi sono invece i sessantenni e ultra sessantenni presenti soprattutto nel Comitato di direzione e in quello scientifico. I trenta-quarantenni sono concentrati nella Redazione. Si tratta di una scelta non voluta e piuttosto di un prezzo che NRS ha dovuto pagare all’invecchiamento del personale accademico del nostro Paese, la cui responsabilità ricade, per larghissima parte, sulla politica universitaria dei passati e del presente governo. Non ancora sufficiente la presenza di studiose di sesso femminile (solo 6): un dato che presenta una criticità evidente e che la direzione è intenzionata a risolvere il più rapidamente possibile.
Essendo programmaticamente NRS una «rivista non di tendenza», i membri del Comitato editoriale e gli autori attivi nella rivista rappresentano percorsi di formazione, provenienza da scuole, proposte culturali, appartenenze ideologiche, politiche diverse e a volte contrastanti che hanno provocato su alcuni temi (ad esempio, la vexata ma non esaurita questione delle Rivoluzioni/Rivolte del XVII secolo; il nesso storico problematico Mezzogiorno/unificazione; l’analisi della politica estera fascista nella sua proiezione globale, il processo di transizione dell’Europa orientale dopo il crollo dell’Urss) un dibattito vivace che è sempre uscito allo scoperto sulle pagine del nostro periodico.
Questa discordia concors non ci impensierisce. Riteniamo, infatti, che la fedeltà al progetto di una «storia generale» al passo con i tempi, perseguito dalla rivista, sia titolo sufficiente per far parte di una comunità scientifica. Preferiamo, poi, subire l’accusa di eclettismo che tradire il codice etico di NRS, formulato già negli anni Cinquanta, secondo il quale: «La Rivista, fedele al suo intento di favorire lo sviluppo della ricerca e il libero confronto delle idee, è aperta a ogni espressione e discussione di risultati o tendenze nel campo della storia e della sua metodologia».
Nell’ultimo decennio, l’impegno a garantire la piena libertà di ricerca, anche contro i possibili condizionamenti che potrebbero provenire dal Comitato editoriale, è stato rafforzato con l’adozione della pratica del double–blind peer review, alla quale sono sottoposti, dopo il primo vaglio del Comitato di direzione e dello scientifico, tutti i contributi che pervengono alla redazione, salvo quelli destinati alle sezioni Interpretazioni e rassegne e Recensioni che sono, invece, valutati da revisori interni (https://www.nuovarivistastorica.it/?page_id=4607).
Questo sistema di valutazione, sicuramente non perfetto come ha dimostrato la ricca letteratura scientifica a riguardo, è comunque di grande utilità non solo per la rivista ma anche per l’autore. Un buon referaggio non deve essere soltanto una pratica inquisitoria, da cui deriva un verdetto di assoluzione o condanna, ma deve trasformarsi, invece, in dialogo, mediato dalla redazione, tra valutatore e valutato, attraverso il quale, grazie alle segnalazioni e ai suggerimenti del primo, un contributo di qualità, ma non esente da imperfezioni o da lacune documentarie e bibliografiche, può migliorare nella sua forma definitiva. Non esiterei a parlare, a questo riguardo di «valore pedagogico del double–blind peer review».
3. Per la storia della rivista fino alla fine degli anni Novanta rimando al punto primo dell’intervista e alla breve storia di NRS presente sul nostro sito (https://www.nuovarivistastorica.it/?page_id=2), limitandomi a sottolineare che in quei decenni il periodico si è mantenuto sostanzialmente fedele ai suoi principi ispiratori. Dopo quella data NRS ha conosciuto un progressivo, nei primi anni quasi insensibile, periodo di depotenziamento. Troppo spazio è stato concesso alla Storia medievale, rispetto agli altri settori disciplinari, e non infrequentemente il Medioevo di NRS è stato un Medioevo esclusivamente italocentrico, studiato con prevalente riferimento alle regioni settentrionali del nostro Paese e con particolare attenzione a eventi e temi di portata non generale.
Dal 2007, e poi negli anni successivi, grazie al “rivoluzionario” rinnovamento del Comitato Editoriale, cui si è fatto riferimento, la rivista e la collana di volumi della «Biblioteca della Nuova Rivista Storica», arrivata oggi al quarantottesimo titolo (https://www.nuovarivistastorica.it/?page_id=210), sono tornate ad essere strumenti di «storia generale», nel senso più pieno del termine, e, insieme, di «storia globale» aperte a problematiche vastamente internazionali e al largo contributo di studiosi stranieri, anche grazie alla possibilità di pubblicare in esse contributi redatti in francese, inglese, spagnolo, tedesco.
Il Medioevo è tornato a essere il lungo Medioevo europeo e mediterraneo, storiograficamente indagato per prospettive ampie che si muovono lungo tutto l’arco geografico e cronologico dell’età di mezzo. Sicuramente un Medioevo che guarda verso occidente e settentrione. Ma, soprattutto, un Medioevo studiato nella proiezione italiana verso l’Africa settentrionale, il Levante, il Mar Nero, i Balcani, analizzato come età di scontro e incontro di religioni diverse, diverse etnie, diverse culture, come spazio economico diversificato eppure unificato da una rete commerciale aggregante e da un’interazione diffusa e pervasiva.
Analogamente, per la Storia Moderna, si è privilegiata l’attenzione al dibattito storiografico internazionale sulle grandi tematiche dell’History of the World come la struttura e l’evoluzione dell’Impero spagnolo e dei suoi sottosistemi europei, americani, asiatici; l’impatto globalizzante dell’evangelizzazione gesuitica, a livello economico e culturale; il gioco delle diplomazie impegnate nella costruzione di un comune diritto giuspolitico europeo; l’emergere nelle loro peculiarità degli antichi Stati italiani, con particolare concentrazione sul Viceregno e sul Regno di Napoli con la sua proiezione mediterranea, e sulla loro interazione con gli altri organismi politici della Penisola come con quelli europei e extra-europei.
Anche la Storia contemporanea, la Storia dell’Europa orientale e quella delle Relazioni internazionali hanno conosciuto un simile percorso di rimodulazione e aggiornamento che in qualche misura può essere, però rubricato, anche come “ritorno alle origini”. Si è fatto di nuovo spazio, ai grandi problemi storiografici, tra prima e ultima età contemporanea, fino alla «storia in divenire», che qui proviamo molto sommariamente a elencare:
Importantissimo, infine, per il rinnovamento tematico di NRS è stato l’apporto di studiosi stranieri (Francesi, Spagnoli, Statunitensi, Tedeschi) e soprattutto di quelli, molto numerosi, provenienti dall’Europa centro-orientale: Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Romania, Federazione Russa. Un parterre internazionale di autori che la Direzione del periodico spera di allargare, a breve, anche a storici turchi, mediorientali, nipponici.
4. Oggi fare storia vuol dire, in primo luogo, confrontarsi con un archivio di fonti ben più ampio di quello utilizzato dall’analista del passato solo 20 o 30 anni fa. Al documento epigrafico, cartaceo, iconografico si è aggiunto, senza naturalmente sostituirlo quello letterario, audiovisivo (filmico, televisivo, persino attinente al mondo dello strip cartoon e del disegno animato) e lo sterminato dossier di dati disponibili sul web. E’ questa una sfida e un’occasione, che lo storico del XXI secolo deve certamente raccogliere ma con cautela, tentando di ricostruire, in primo luogo, una «gerarchia di fonti» che impedisca al flusso di nuove informazioni di interferire negativamente con la corretta prassi della ricerca.
Lo stesso si può ripetere per alcune impostazioni metodologiche generali, sicuramente affascinanti, in linea teorica, ma non prive di pericoli e difficoltà nel loro concreto maneggio. Il frettoloso e “modaiolo” uniformarsi del lavoro storiografico ai paradigmi della World History, in supina assonanza con una più generale, rozza filosofia della globalizzazione, nel tentativo di liberarsi del pregiudizio eurocentrico, può produrre un inconveniente rilevante, paradossalmente analogo a quello rappresentato dalla microstoria, perché quest’approccio, basato sull’esigenza di una generale contestualizzazione delle storie dei gruppi umani fioriti in qualsiasi parte del globo e in ogni epoca, delinea un’evoluzione storica generale, scarsamente differenziata, e individua un tempo piano del divenire storico, dove difformità di genesi e di esiti e l’emergere di vertici o di successi storici vengono ad appiattirsi nel sostanziale parallelismo in cui sono disposte le vicende mondiali.
Inoltre, la World History, riducendo o addirittura abolendo la rilevanza dei confini politici e quindi delle macro-organizzazioni istituzionali (Stati e Imperi), muovendosi in una dimensione trans-regionale, segnata dalle migrazioni, dalle diaspore, dalle reti super-nazionali, culturali, economiche e sociali, se è certamente utile per superare le strettoie di una storiografia fondata sul primato assoluto della statualità, non tiene conto, però, della diversa lezione della Geopolitica che fa della frontiera etnica, confessionale, imperiale, statale il nodo centrale della dinamica storica. Infine, la World History rischia di dare spiegazioni insufficienti e addirittura travianti per interpretare correttamente lo sviluppo storico dei nostri tempi dove si assiste all’impetuosa rinascita della frontiera religiosa e del limes politico-militare, dall’Europa orientale, al Mediterraneo, al Levante, all’Asia meridionale, e alla scomparsa ma anche alla ricomparsa di nuovi Stati in Medio Oriente.
5. L’allarme è certamente giustificato. Siamo alla presenza di un inarrestabile processo di «analfabetizzazione storica», spontaneo e indotto, che interessa tutti di Paesi di democrazia avanzata e di cui è responsabile, in primo luogo, il degrado della scuola e dell’università, poi la scomparsa della passione ideologica novecentesca, infine la difficoltà di fare entrare in contatto con il nostro modello storiografico utenti provenienti dal mondo extra-europeo e quindi estranei alle nostre tradizioni culturali, il cui numero è destinato ad aumentare a brevissimo termine.
La parte più consistente dei tradizionali destinatari dell’editoria storiografica (il pubblico di media cultura non specialistica) si è assottigliato fino quasi a scomparire. In Italia, ma anche fuori dei nostri confini, il comune lettore di storia è oggi attratto unicamente dal lato sensazionalistico, scandalistico, parascientifico dell’analisi del passato: il Medioevo come narrazione fantasy; i grandi processi di trasformazione economica e politica del XIX e XX secolo descritti alla luce di una ricostruzione complottistica; la vita dei protagonisti indagata unicamente negli aspetti privati e pruriginosi della loro esistenza (quante le amanti di Napoleone III, di Galeazzo Ciano, di John Fitzgerald Kennedy?; quale il consumo alcolico giornaliero di Churchill e Stalin?); ecc. ecc.
Pur essendo stato sempre favorevole a un rapporto di cooperazione tra storiografia e mondo dell’informazione, devo ammettere che il sistema mediatico è stato impari al compito che avrebbe potuto assumere in questo campo. Nel nostro Paese, specialmente, continua a essere assente la figura dell’operatore giornalistico e televisivo, «mediatore» tra letteratura storiografica di livello scientifico e lettori non specializzati, figura che invece esiste o meglio resiste nel mondo anglosassone. Anche noi storici abbiamo, comunque, gravi responsabilità per il nostro Trobar clus, difetto che io riscontro soprattutto nei colleghi più giovani, e per aver ghettizzato la nostra produzione in comparti specialistici, microstorici, a volte francamente provinciali e municipali, o averla proiettata, senza averne le forze, in ambiziosi e velleitari panorami mondialisti, accontentandoci di essere letti soltanto dai nostri colleghi di cattedra.
Ammiccare alla Public History e trasformare la narrazione del fatto storico in evento spettacolare mi pare dannoso sul piano scientifico e in fondo poco produttivo per la ricerca di un più ampio consenso. Conquistare una presenza sul web, sui social media, oltre che sulla carta stampata e nel mezzo televisto, percorso che NRS ha pure sperimentato, può certo aiutare ma non costituisce una soluzione al problema. Riguardo a questo sconfortante panorama confesso, dunque, tutto il mio pessimismo. Questo non m’impedisce, comunque, di pensare che il ritorno del nostro lavoro all’analisi del grande «problema storiografico», all’indagine su personalità, eventi e cicli storici, che dopo aver inciso profondamente sul passato segnano ancora il nostro presente, potrebbe aiutarci a risalire la china. Rendere possibile questo ritorno dovrebbe essere, oggi, l’obiettivo prioritario e lo sforzo quotidiano di una rivista di storia.
(Pubblicato nel numero 41 Giugno 2016 – © «Storia e Futuro»)