di Gianluca Sardellone
La crisi ucraina, fomentata da vari attori esterni (Polonia, USA, Francia e Germania) potrebbe scatenare un nuovo conflitto in tutta Europa per la complessità degli attori coinvolti e degli interessi da questi perseguiti. È la tesi che sostiene Eugenio Di Rienzo nell’opera “Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine globale” di recente pubblicato da Rubbettino. L’Ucraina, nota come “piccola Russia”, è, dopo la Russia, il primo tra i paesi ex sovietici per estensione, dispone di enormi ricchezze agricole e minerarie, è luogo di passaggio di importanti gasdotti verso l’Europa e, con la penisola di Crimea, garantisce, attraverso gli Stretti, lo sbocco verso il Mediterraneo; Russia ed Ucraina condividono, inoltre, un lunghissimo confine pianeggiante e privo di ostacoli naturali. L’ingresso dell’Ucraina nella NATO, citato nel Russian Aggresion Prevention Act, potrebbe essere, secondo l’Autore, lo strumento utilizzato dagli USA per attentare all’esistenza della Russia, attraverso il rafforzamento della NATO ai confini occidentali della Russia ed un incremento della pressione politico-militare.
Attualmente, ricorda l’Autore, l’Ucraina rappresenta una sorta di zona cuscinetto tra una NATO sempre più proiettata verso Est ed una Russia che si sente minacciata e sottoposta ad un tentativo di accerchiamento. L’allargamento della NATO (con la possibile inclusione non solo dell’Ucraina ma anche di Georgia e Moldova), la creazione di un sistema di difesa missilistica nell’Est Europa, la realizzazione di una Forza di Reazione Rapida di trentamila uomini sono scelte che la Russia percepisce come una minaccia non solo alla sua sicurezza ma alla sua stessa sopravvivenza.
Di fronte a questi eventi, Mosca ha reagito sostenendo gli indipendentisti nell’est del paese e combattendo in Ucraina una guerra per procura. Putin vuole, infatti, evitare un coinvolgimento diretto delle forze russe (come, per contro, avvenuto in Georgia) e ritiene, semmai, più utile mantenere l’Ucraina orientale in una situazione di instabilità: in questo modo, potrebbe tenere sotto scacco l’ex repubblica sovietica, agitando lo spettro della dissoluzione dell’Ucraina stessa. Facendo leva sul carattere non-nazionale dello stato ucraino e sulla notevole eterogeneità etnica e religiosa, Mosca potrebbe, inoltre, favorirne un processo di atomizzazione, con la nascita di quattro distinte entità, afferenti alla capitale Kiev, alla città di Leopoli (di interesse della Polonia), alla Crimea (dove Mosca mantiene importanti basi navali) ed alla provincia di Donetsk (ricca di carbone ed ormai assorbita dalla Russia).
Per comprendere la situazione attuale, l’Autore conduce un interessante excursus storico, ripercorrendo gli eventi salienti della storia ucraina nel XX secolo: smembrato nel 1921 con il Trattato di Riga, il paese venne poi incorporato nell’URSS. Nel 1941, nel contesto dell’Operazione Barbarossa, venne occupato dalla Germania nazista che intendeva farne una base di attacco contro l’URSS. Gli Ucraini videro nel Reich un liberatore dall’URSS stalinista e, soprattutto, un mezzo per tentare di ridare vita alla “Grande Ucraina” estesa dai Carpazi agli Urali: in questo contesto nacque il governo collaborazionista di Leopoli, spazzato via, nel 1944, dalla riconquista ad opera dell’URSS.
Per uscire dall’impasse, l’Autore crede che l’Ucraina dovrebbe accettare un processo di “finlandizzazione”: la Finlandia, infatti, nel 1948, in virtù della contiguità territoriale con l’URSS e dell’ingresso di Norvegia ed Islanda nella NATO, concluse un accordo con l’URSS, impegnandosi nel non-allineamento ed accettando di non aderire ad alcuna organizzazione militare. Come il paese scandinavo, l’Ucraina dovrebbe, cioè, fungere da ponte e non da marca di confine tra avversari: se, infatti, venisse integrata nel dispositivo politico-militare della NATO diverrebbe, di fatto, una potenza opposta alla Russia, aumentandone l’accerchiamento con grave rischio per la pace in Europa. Rispettare l’onore e la dignità della Russia è, secondo l’Autore, l’unica via non solo per garantire la pace in Europa ma anche per non indebolire ulteriormente l’economia di alcuni paesi europei, a partire dalla stessa Italia: la scellerata decisione di aderire alle sanzioni ha, infatti, prodotto la perdita di importanti commesse e di un enorme mercato per la produzione industriale ed agro-alimentare. Ma, soprattutto, conclude l’Autore, l’Europa, nel gestire l’affare ucraino, non deve dimenticare la lezione della sua storia recente: la sfrenata russofobia che pervase il Vecchio Continente negli anni Trenta e la contestuale politica del “cordone sanitario” rappresentarono, infatti, l’humus ideale per l’avvento del nazismo, creando le premesse per la Seconda Guerra Mondiale.
(Pubblicato l’8 giugno 2015 – © «Europa 2010 Magazine»)