di Giuseppe Bedeschi
Il Patto tedesco sovietico di non aggressione fu firmato a Mosca il 23 agosto 1939 da Molotov e Ribbentrop e suscitò un indicibile sbalordimento a Londra come a Parigi, come a Varsavia. Esso provocò anche una profonda lacerazione nella sinistra europea. In Francia alcuni deputati comunisti si dimisero dal partito, la CGT condannò a maggioranza il patto, intellettuali e scienziati di fama (fra essi Irène e Fréderic Joliot-Curie) espressero “il loro stupore dinanzi al voltafaccia che ha riavvicinato i dirigenti sovietici ai dirigenti nazisti”. E non meno forte fu il contraccolpo fra gli antifascisti italiani in esilio: Nenni si dimise da segretario del PSI; Leo Valiani abbandonò il PCI; perplessità gravi affiorarono anche in una parte del gruppo dirigente comunista (Di Vittorio, Montagnana, Parodi). Togliatti, invece, si impegnò a fondo per ribadire la fedeltà all’URSS: “Dirigete i vostri sguardi – scrisse – verso la stella della rivoluzione sociale e la stella dei soviet, e non sbaglierete mai”.
La posizione di Togliatti era destinata ad imporsi. Per mezzo secolo, fino alla caduta del muro di Berlino, ha prevalso infatti la versione sovietica del patto Molotov-Ribbentrop: di fronte all’atteggiamento dilatorio e inconcludente di Inghilterra e Francia verso la proposta sovietica di un patto di mutua assistenza contro una aggressione nazista, Stalin aveva accettato un provvisorio accomodamento con Hitler, ben sapendo che quest’ultimo l’avrebbe poi aggredito; ma procrastinando il momento dello scontro Stalin guadagnò il tempo sufficiente per prepararsi a vincere nella “Grande guerra patriottica”, con la quale l’Unione Sovietica salvò il mondo dal Moloch nazista.
Eugenio Di Rienzo ed Emilio Gin, nel loro libro Le potenze dell’Asse e l’Unione Sovietica. 1939-1945 (Rubbettino, pp. 414, E 19), sulla base di una vasta molte di documenti depositati negli archivi di vari Paesi, propongono una nuova lettura, assolutamente non ideologica, del Patto Molotov-Ribbentrop. E infatti la loro indagine rovescia la tradizionale visione “tattica” del Patto come pausa momentanea di una guerra di sterminio a sfondo ideologico. “I carteggi diplomatici franco-britannici della turbolenta seconda metà del 1939 – dicono gli Autori – mostrano le Cancellerie europee disposte a giocare su ogni tavolo, in assoluta libertà, rispetto all’ingessata visione della lotta fascismo-antifascismo consacrata dalla propaganda bellica e nel dopoguerra anche nei libri di storia”.
In questa prospettiva va considerata anche l’URSS. La quale – come scrisse nel novembre 1939 l’ambasciatore italiano a Mosca, Augusto Rosso, a Galeazzo Ciano – aveva un regime che mescolava il bolscevismo ideologico con una matrice imperialistica. Le aspirazioni russe non erano mutate dall’epoca zarista, anche se andavano declinandosi nella nuova versione staliniana e si saldavano col mito ideologico della rivoluzione mondiale.
In questo quadro si inseriva il Patto dell’agosto 1939. L’intesa Hitler-Stalin aveva dato per entrambi i frutti sperati. Un imponente flusso di materie prime e di derrate alimentari provenienti dall’Urss (e dall’intera Asia, con la collaborazione del Giappone) raggiungeva la Germania, la quale si sdebitava con l’esportazione nell’URSS di tecnologia militare e industriale. In quel frangente Berlino abbandonò la Finlandia all’invasione sovietica. Negli stessi mesi i servizi segreti delle due nazioni totalitarie operarono all’unisono per fomentare la rivoluzione in India e in Iraq e provocare sommosse in tutto il Medio oriente. Nell’estate del 1940, poi, iniziarono le trattative tra Mosca e Berlino per far entrare la Russia nell’alleanza con le Potenze dell’Asse.
Quando entrò in crisi il Patto tedesco-sovietico? La crisi incominciò quando l’URSS vide allontanarsi la possibilità di un successo risolutivo tedesco contro il Regno Unito, e ciò spinse Mosca ad accrescere le proprie richieste alla Germania. L’urto fu soprattutto determinato dalle contrastanti mire delle due parti sui Balcani. Nella visita a Berlino del novembre 1940 Molotov chiese al Führer che la Bulgaria e gli Stretti fossero considerati “parte della zona di sicurezza sovietica”: una richiesta che Hitler non poteva accogliere. E poiché l’URSS, per rendere più convincenti le proprie rivendicazioni, diminuì il ritmo delle consegne delle materie prime alla Germania, e non era escluso che esse cessassero del tutto e improvvisamente, Hitler decise (secondo la precisa testimonianza di Martin Bormann, che trascrisse le proprie conversazioni col führer) che i tedeschi dovevano procurarsi quanto era loro necessario in situ, e con la forza, per realizzare il loro folle sogno di egemonia mondiale: così nel giugno 1941 iniziò l’aggressione nazista contro l’Unione Sovietica.
(Pubblicato il 2 giugno 2013 – © «Il Sole 24 Ore»)